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Stavo salendo per l’ennesima volta. Gocce nero inchiostro scendevano dai capelli di Lane, raccogliendosi nel suo grembo. « Aspetta finché non sono tornato giù!»

«Che cosa?»

Non cercai di ripeterlo: le mie parole si sarebbero perse nel vento. Mi augurai che non premesse a fondo il bottone rosso mentre mi trovavo ancora in cima. La carrozza sfidava l’occhio della tempesta e il cielo venne attraversato da un terzo fulmine, per l’occasione accompagnato dal rombo del tuono. Come svegliato dal fragore, Lane sollevò il capo e mi fissò. O almeno ci provava. Le iridi erano ritornate al centro delle orbite, ma puntavano in direzioni opposte. Un’immagine tremenda che non mi ha mai lasciato e che torna a ghermirmi nei momenti più impensati: quando supero un casello autostradale, bevo la prima tazza di caffè mentre la CNN sbraita le cattive notizie della giornata oppure mi alzo a pisciare alle tre del mattino, che qualche poeta ha giustamente soprannominato l’ora del lupo.

Lane aprì la bocca e ne sgorgò un fiotto di sangue. Dalle labbra gli uscì un rumore frusciante, da insetto, simile a quello di una cicala che si fa il buco nel tronco di un albero. Venne scosso da uno spasmo. Per un attimo i suoi piedi ballarono il tip-tap sul pavimento di acciaio della cabina. Poi si bloccarono, e la testa gli cadde di nuovo in avanti.

Adesso muori, una volta per tutte. Per favore.

Mentre la Ruota del Sud ritornava al punto di partenza, un lampo centrò il Muro del Tuono. Per un paio di secondi le rotaie si illuminarono. Avrei potuto fare quella fine, schiattando fulminato.Una raffica violentissima colpì la carrozza. Mi aggrappai alla sbarra di sicurezza con tutte le mie energie. Lane ballonzolò come una grande bambola di pezza.

Abbassai lo sguardo su Annie: la faccia pallida rivolta all’insù, gli occhi socchiusi per ripararli dalla pioggia. Era al di là della balaustra, accanto al motore. Ottimo. Mi circondai la bocca con le mani. «Il bottone rosso!»

«Ce l’ho davanti!»

«Non schiacciarlo finché non te lo dico io!»

La terra si stava avvicinando. Strinsi la sbarra. Quando era ai comandi il fu Lane Hardy (di certo mi auguravo fosse crepato), la ruota panoramica si fermava sempre senza scossoni, con le carrozze più alte che dondolavano dolcemente. Non avevo idea di che cosa aspettarmi da una frenata d’emergenza, ma presto l’avrei scoperto.

«Ora, Annie! Premilo!»

Fortunatamente mi tenni saldo. La mia cabina si bloccò di colpo a tre metri da dove scendevano i passeggeri e a un metro e mezzo dal suolo, inclinandosi bruscamente. Lane venne scagliato in avanti, con la testa e il torace oltre la sbarra di sicurezza. D’istinto, lo afferrai per la camicia e lo tirai verso di me. Mi ritrovai con una delle sue mani in grembo e la spostai con una smorfia di disgusto.

La sbarra era incastrata e ci sgusciai sotto.

«Stai attento, Dev!» Annie era lì accanto, le braccia tese verso l’alto, come ad acchiapparmi al volo. Aveva appoggiato il fucile usato per ammazzare Lane contro l’alloggiamento del motore.

«Tirati indietro», le gridai, sollevando una gamba oltre il bordo della cabina. Altri lampi illuminarono il cielo. Il vento ruggiva e la Ruota del Sud gli rispondeva con la sua aspra voce metallica. Mi appesi a una trave.

Le mani scivolarono sull’acciaio bagnato e piombai a terra, cadendo sulle ginocchia. Nel giro di un secondo Annie mi aiutò ad alzarmi.

«Stai bene?»

«Sì.»

Non era vero. Mi girava la testa e stavo per perdere i sensi. Chinai il capo, mi afferrai le gambe appena sopra le ginocchia e iniziai a fare grandi respiri. Per un attimo mi sentii ancora sul punto di svenire ma poi la situazione iniziò a migliorare. Mi drizzai, attento a non muovermi troppo velocemente.

Era difficile dirlo con la pioggia che scendeva a catinelle, ma il volto di Annie mi sembrò rigato di lacrime. «Ho dovuto sparargli. Stava per ucciderti. Per favore, Dev, rispondimi che è davvero così. Mike ne era sicuro…»

«Non preoccuparti. E comunque non sarei stato la sua prima vittima. Aveva già ucciso quattro donne.» Mi tornarono in mente i ragionamenti di Erin sugli anni in cui non era stato scoperto nessun cadavere. «Forse di più. Moltoprobabilmente di più. Chiamiamo la polizia. C’è un telefono nel…»

Feci per incamminarmi verso il Labirinto di Mysterio, ma lei mi afferrò per il braccio. «No. Non puoi. Non ancora.»

«Annie…»

Avvicinò la faccia alla mia, come per schioccarmi un bacio, anche se di sicuro una simile idea non le passò neanche per l’anticamera del cervello. «Come ho fatto ad arrivare qui? Dovrei spiegare agli agenti che un fantasma è apparso nella stanza di mio figlio in piena notte raccontandogli che, se non fossi venuta subito, saresti morto sulla ruota panoramica? Mike non può restare coinvolto in questa faccenda, e se mi rispondi che mi sto comportando da madre iperprotettiva, io ti… ti ammazzo con le mie stesse mani.»

«No, non te lo dirò.»

«E allora come ne usciamo?»

All’inizio non ne avevo idea. Vi prego di ricordare che ero ancora spaventato. Anzi, di più. Parecchio di più. Ero in stato di shock. Invece che al labirinto, la portai al suo furgoncino, aiutandola a sistemarsi al posto di guida. Poi feci il giro e mi sistemai sul sedile del passeggero. Di colpo mi si presentò una soluzione. Era semplice e secondo me avrebbe funzionato. Chiusi la portiera e sfilai il portafoglio dalla tasca posteriore dei calzoni. Quasi mi cadde a terra quando lo aprii: le mani mi tremavano da impazzire. All’interno, parecchi fogli e foglietti, ma niente con cui scriverci sopra.

«Ti prego, Annie, dimmi che hai una penna o una matita.»

«Forse nel cassetto del cruscotto. Prima o poi sarai obbligato ad avvisare la polizia, Dev. Io devo tornare da Mike. Se mi arrestano per avere lasciato la scena del crimine… o per omicidio…»

«Nessuno ti arresterà. Mi hai salvato la vita.» Mentre parlavo, ero occupato a frugare nello scomparto.

C’erano il libretto d’istruzioni della macchina, mucchi di ricevute della carta di credito per la benzina, un pacchetto di mentine, un sacchetto di M&M’s, persino un opuscolo dei testimoni di Geova che chiedeva se sapevo dove sarei finito dopo la morte, ma niente penne o matite.

«Non puoi aspettare… in una situazione simile… me l’hanno sempre raccomandato.» Le parole le uscivano a spizzichi e bocconi perché le stavano battendo i denti. «Prendi la mira… e premi il grilletto… prima di venire… assalito dal dubbio… Avrei dovuto centrarlo… in mezzo agli occhi… ma il vento… colpa del vento…»

Annie allungò di scatto una mano, stringendomi il braccio fino a farmi male. Gli occhi le luccicavano enormi dentro le orbite.

«Ho ferito anche te, Dev? Hai un taglio sulla fronte e la camicia sporca di sangue!»

«No. È stato lui a colpirmi con la pistola. Ascolta, qui non c’è niente per…»

Alla fine la vidi: una penna a sfera in fondo al cassetto. Sopra c’era stampata la pubblicità di una catena di supermercati, sbiadita ma ancora leggibile: BENVENUTI DA KROGER! Quell’oggetto non solo salvò i Ross da eventuali strascichi giudiziari, ma risparmiò loro una sfilza di domande sul motivo che aveva portato Annie a Joyland in una notte buia e tempestosa.

Le passai la penna e un biglietto da visita preso dal mio portafoglio, dal lato bianco. Poco prima, seduto nella mia Ford e temendo che lei e il figlio sarebbero morti perché avevo sempre rimandato l’acquisto di una batteria nuova, avevo pensato di tornare sui miei passi per avvertirla… solo che non avevo il suo numero di telefono. In quel preciso istante le ordinai di scriverlo. «E sotto, aggiungi: Chiamami per qualsiasi variazione di programma

Nel mentre, avviai il motore, sparando al massimo il riscaldamento. Annie mi restituì il biglietto. Lo ficcai di nuovo nel portafoglio, che infilai in tasca, e gettai la penna nello scomparto del cruscotto. Abbracciai Annie e la baciai sulla guancia, fredda come il marmo. I brividi che la scuotevano si placarono leggermente.