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Vedevo la mia Ford e il camioncino della manutenzione farsi sempre più grandi man mano che la carrozza si abbassava. Dietro di loro, qualcosa si muoveva lungo la Passeggiata di Joyland, forse un telone trascinato dal vento.

«Non ti stavi tirando via dello sporco, ma della tintura per capelli. Stava colando, proprio come il tatuaggio. E come sta capitando adesso. Ne hai il collo pieno. Quelle ciocche che ho osservato non erano bianche, ma bionde.»

Lane si passò una mano sulla nuca e fissò la macchia nera sopra il palmo. Fui sul punto di balzargli addosso, ma lui sollevò la pistola e all’improvviso mi ritrovai davanti il foro della canna. Era piccolo ma terribile.

« Una voltaero biondo», rispose, «ma sotto la tintura adesso sono quasi completamente grigio. Ho avuto una vita molto stressante, Jonesy.» Sorrise con un’espressione mesta, quasi avesse fatto una battuta che solo noi due eravamo in grado di comprendere.

Stavamo salendo di nuovo. All’improvviso mi venne in mente: forse la sagoma che avevo visto agitarsi lungo il viale principale, scambiandola per un grande telone, era una macchina con i fari spenti. Era un’idea folle, ma la speranza è sempre l’ultima a morire.

L’acquazzone si accaniva contro di noi. Il mio impermeabile si increspava sotto la forza del vento. I capelli di Lane si agitavano come una vecchia bandiera sfilacciata.

Forse sarei riuscito a non fargli premere il grilletto per un altro giro. O magari due? Possibile ma non probabile.

«Alla fine mi sono convinto che eri l’assassino di Linda Gray. Non è stato facile, Lane, non dopo che mi avevi accolto da amico, insegnandomi i trucchi del mestiere. Però, non appena l’ho fatto, sono svaniti il cappello, il pizzo, gli occhiali da sole. E ho visto te.All’epoca non lavoravi qui…»

«Manovravo un muletto in un magazzino di Florence.» Gli scappò una smorfia. «Un mestiere da bifolchi. Lo odiavo.»

«Avevi un impiego a Florence, lì hai incontrato Linda Gray, ma sapevi tutto del parco di Joyland nella Carolina del Nord. O mi sbaglio? Forse non ci sei nato, ma non sei mai riuscito a stare lontano dai luna park. E quando le hai proposto una gita, lei ha accettato subito.»

«Ero il suo fidanzato segreto. Le ho detto che non poteva essere altrimenti. Perché avevo qualche anno in più.» Sorrise. «Lei c’è cascata, come le altre. Non hai idea di quanto siano credulone le ragazzine.»

Brutto psicopatico di merda.

«Siete arrivati a Heaven’s Bay, avete passato la notte in un motel, e poi l’hai uccisa a Joyland anche se sapevi delle Sirene di Hollyood che ronzavano attorno con le loro macchine fotografiche. Che coraggio sfacciato. Ma faceva parte del divertimento, no? D’altronde, l’hai ammazzata su una giostra zeppa di frollocconi…»

«Di bifolchi», mi corresse. La ruota venne scossa da una raffica più violenta delle precedenti, ma lui non parve sentirla. Certo, era seduto verso l’interno, parzialmente al riparo. «Chiamali con il loro nome. Sono solo bifolchi, tutti quanti. Non vedono niente. È come se avessero gli occhi collegati non al cervello, ma al buco del culo. Se ne stanno lì con lo sguardo perso nel vuoto.»

«Il rischio ti eccita, vero? Per questo sei tornato e ti sei fatto assumere.»

«Nemmeno un mese dopo.» Il sorriso si allargò. «E sono rimasto qui sotto il loro naso per tutto questo tempo. Però mi sono… comportato bene, dopo quella sera nel tunnel dell’orrore. Mi sono lasciato alle spalle le mie malefatte. Forse avrei continuato a rigare dritto. Mi piace Joyland. Mi stavo facendo una nuova vita. Mi ero costruito il mio giocattolino e stavo per brevettarlo.»

«Oh, secondo me prima o poi ci saresti ricascato.» Ancora una volta in cima, con il vento e la pioggia a sferzarci. Ero scosso dai brividi. Avevo i vestiti fradici. Le guance di Lane erano scure di tintura per capelli. Il colore gli scorreva in rivoli lungo la pelle.

La sua mente è così, nera. Nel profondo, dove non sorride mai.

«No. Mi era passata. Devo sbarazzarmi di te, Jonesy, ma solo perché hai ficcato il becco in faccende che non ti riguardano. Peccato, mi piacevi. Non sto scherzando.»

Probabilmente diceva la verità. Il che rendeva ancora più terribile ciò che stava succedendo.

Di nuovo in basso. Il mondo sotto di noi era tormentato dal vento e dalla pioggia. Non c’era mai stata un’auto con i fari spenti, solo un telone in preda alle forti raffiche. La smania di salvezza gioca brutti tiri. Non stavano arrivando i rinforzi. Una simile convinzione avrebbe portato alla mia fine prematura. Ero obbligato a cavarmela senza l’aiuto di nessuno, e per riuscirci avrei dovuto farlo arrabbiare. Arrabbiare sul serio.

«Il rischio ti eccita, ma non la violenza sessuale. In caso contrario, le avresti trascinate in un posticino appartato. Forse quella roba che le tue fidanzate segrete nascondono tra le gambe ti spaventa fino a fartelo ammosciare. Che combini dopo averle uccise? Ti stendi a letto e ti spari una sega pensando quanto sei stato coraggioso ad ammazzare delle povere ragazze indifese?»

«Chiudi il becco.»

«Puoi conquistarle ma non scoparle.» Il vento ululava. La carrozza rischiava di ribaltarsi. Stavo per morire e non me ne fregava un cazzo. Non sapevo se lo stavo facendo arrabbiare, ma ero abbastanza furente per entrambi. «Come mai sei diventato così? Tua madre te lo pinzava con una molletta da bucato quando pisciavi a letto? Tuo zio Stan ti costringeva a succhiarglielo? Oppure…»

«Chiudi il becco!»Si alzò, mezzo rannicchiato, la sbarra di sicurezza stretta in una mano e l’arma puntata contro di me nell’altra. Venne illuminato a giorno da un lampo: occhi vitrei, capelli appiccicati ai lati del volto, la bocca in continuo movimento. E la pistola. «Chiudi quel cazzo di…»

«Devin, giù!»

Non me lo feci ripetere due volte. Sentii uno schiocco simile a un colpo di frusta, seguito da un suono liquido nel mezzo della bufera notturna. Il proiettile passò a un pelo da me ma non me ne accorsi nemmeno, come invece capita ai personaggi dei romanzi. La cabina superò rapida il punto di carico passeggeri e vidi Annie Ross dritta sulla rampa con un fucile tra le braccia. Il furgone le era alle spalle. Aveva i capelli arruffati dal vento e la faccia più bianca di un teschio.

Un nuovo giro. Spostai lo sguardo su Lane. Era immobile, la bocca spalancata. La tintura gli colava giù dalle guance. Gli occhi erano rovesciati e le iridi scomparivano nell’orbita. Gli mancava buona parte del naso. Un lembo di cartilagine penzolava sopra il labbro superiore, ma il resto era un buco nero grande quanto una monetina, circondato da una poltiglia rossa.

Crollò pesantemente sul sedile. Una manciata di denti anteriori gli cascò di bocca. Gli sfilai la pistola di mano, scagliandola nell’oscurità. Non provavo… nulla. Solo nel profondo di me stavo inziando a capire che forse quella notte non sarei morto.

«Oh», mormorò lui. Poi: «Ah». Alla fine chinò il capo in avanti, il mento premuto conto il petto. Pareva immerso in meditazione, mentre valutava le possibilità che gli restavano.

Sulla cima, un altro fulmine illuminò il mio vicino di posto con un bagliore bluastro. Il vento scosse la Ruota del Sud che si lamentò in segno di protesta. Stavamo di nuovo scendendo.

Dabbasso, un urlo che quasi si perse nel boato della tempesta: « Come la fermo, Dev?»

Sulle prime mi venne in mente di dirle di recuperare il comando a distanza, ma in mezzo al temporale avrebbe potuto cercarlo per ore senza scovarlo. Magari era rotto in due o a mollo in una pozzanghera, i circuiti interni danneggiati dall’acqua. E comunque esisteva un sistema migliore.

«Raggiungi il motore!»gridai. « Trova il bottone rosso!

Il bottone rosso, Annie! È quello del freno d'emergenza!»

La superai in volata, notando che aveva gli stessi jeans e lo stesso maglione di poche ore prima, ormai zuppi e incollati al corpo. Niente giubbotto, niente cappello. Era arrivata di fretta e sapevo chi l’aveva mandata. Sarebbe stato tutto molto più semplice se Mike avesse avuto presentimenti su Lane fin dall’inizio. Però nemmeno Rozzie c’era riuscita, pur conoscendolo da anni, e più tardi venni a scoprire che Mike non aveva sospettato di lui una sola volta.