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«Io…»

Riagganciò. Abbassai lo sguardo sulle foto lucide. Aprii il cassetto del tavolino dello Scarabeo, tirai fuori uno dei blocchetti e cercai a tentoni la matita automatica che Tina Ackerley si intestardiva a usare per segnare il punteggio. Scrissi: Signora S., se sta leggendo queste righe, significa che mi è successo qualcosa. So chi ha ucciso Linda Gray. E anche le altre ragazze.

Aggiunsi il nome del colpevole in lettere maiuscole.

Poi acciuffai l’impermeabile e mi precipitai alla porta.

Il motorino d’avviamento della Ford girò a vuoto e arrancò, senza innestarsi. Alla fine iniziò a rallentare. Durante tutta l’estate mi ero ripetuto di comprare una batteria nuova, ma avevo sempre trovato qualcosa di più importante per cui spendere i soldi.

La voce di mio padre: La stai ingolfando, Devin.

Tolsi il piede dall’acceleratore, restando seduto al buio. Il tempo sembrava passare sempre più in fretta. Una parte di me voleva tornare dentro di corsa e avvertire la polizia. Non potevo chiamare Annie perché non avevo il suo cazzo di numero; di certo non figurava sull’elenco telefonico, considerata la fama del padre. L’assassino lo sapeva? Forse no, ma aveva una fortuna sfacciata. Temerario com’era, quel dannato figlio di puttana si sarebbe meritato di venire catturato già tre o quattro volte, ma non era andata così. Perché il diavolo era dalla sua parte.

Annie lo sentirà entrare di soppiatto e gli sparerà.

Peccato che le armi fossero custodite in cassaforte. Era stata lei a rivelarmelo. Anche se fosse riuscita a prenderne una, quello stronzo l’avrebbe preceduta, premendo il suo rasoio contro la gola di Mike.

Girai di nuovo la chiave. Senza schiacciare l’acceleratore e con il carburatore zeppo di benzina, l’auto partì all’istante. Uscii a marcia indietro dal vialetto e puntai in direzione di Joyland. Il neon rosso che circondava la Ruota del Sud e i ghirigori blu elettrici del Muro del Tuono si stagliavano contro le nuvole basse spinte dal vento. Le luci delle due attrazioni erano sempre accese nelle notti di bufera, in parte come fari per le navi, in parte perché non ci andasse a sbattere contro qualche apparecchio da turismo che volava a bassa quota, diretto all’aeroporto di Parish County.

Beach Row era deserta. Raffiche di vento abbastanza forti da scuotere la Ford sollevavano spesse nuvole di sabbia. Sottili dune si stavano già formando lungo l’asfalto. Sotto i fari dell’auto, sembravano le dita di uno scheletro.

Mentre superavo il centro commerciale, notai un’ombra in mezzo al parcheggio, vicino a uno dei camioncini di Joyland. Mi salutò con un cenno della mano, rigido e solenne.

Subito dopo oltrepassai la casa vittoriana sulla spiaggia. In cucina splendeva una luce. Lui non mi aveva mentito. Probabilmente era la lampada al neon sopra il lavello. Mi tornò in mente Annie che entrava nella stanza con il maglione tra le dita. Il suo ventre abbronzato. Il reggiseno della stessa sfumatura dei jeans. Ti andrebbe di venire su con me, Devin?

Nello specchietto retrovisore apparvero un paio di fanali in avvicinamento. Stava usando gli abbaglianti e non riuscivo a distinguere il veicolo, ma non ne avevo bisogno. Sapevo che era il camioncino della manutenzione, così come ero certo che mi avesse mentito quando mi aveva assicurato che non mi avrebbe ucciso. Al sorgere del sole, la signora Shoplaw avrebbe trovato l’appunto che le avevo lasciato. L’avrebbe letto da cima a fondo, compreso il nome che avevo scritto a grandi lettere maiuscole. L’unica domanda era quanto tempo ci avrebbe messo a crederci. Lui era così affascinante, con le sue tiritere in rima, il sorriso da un milione di dollari, la bombetta sulle ventitré. Sì, tutte le donne adoravano Lane Hardy.

I cancelli erano spalancati, come promesso. Li oltrepassai e cercai di parcheggiare davanti al baraccone ormai chiuso del Tirassegno di Buffalo Bill. Lui diede un colpetto di clacson d’avvertimento, segnalando con gli abbaglianti di proseguire. Non appena raggiunsi la ruota panoramica, nuovo segnale. Stop. Spensi il motore, ben sapendo che forse non l’avrei riacceso mai più. Il neon rosso del montafessi bagnava di luce color sangue la postazione di comando, i sedili e la mia pelle.

I fari del camioncino si spensero. La portiera si aprì e si richiuse. Il vento soffiava tra i montanti. Sembrava l’urlo di un’arpia, accompagnato da uno sferragliare costante e sincopato. La ruota stava oscillando lungo l’asse centrale, spesso come il tronco di una quercia.

L’assassino di Linda Gray (e di DeeDee Mowbray, di Claudine Sharp, di Darlene Stamnacher) raggiunse la mia Ford e bussò al finestrino con la canna della pistola. Con la mano libera mi fece segno di uscire. Aprii la portiera e scesi.

«Hai detto che non mi avresti ucciso», azzardai con un tono debole quanto le mie gambe.

Lane sfoggiò il suo sorriso da sciupafemmine. «Be’, vedremo che piega prenderà la faccenda.»

Aveva la bombetta inclinata verso destra, ben calcata sulla zucca in modo che non volasse via. I capelli gli fluttuavano attorno al collo, il codino di cavallo ormai sciolto dopo la giornata di lavoro. La ruota venne investita da una folata di vento, sprigionando un lamento acuto. Continuò a ondeggiare tra lo sfarfallio dei neon.

«Non aver paura», riprese lui. «Se fosse tutta d’un pezzo verrebbe spazzata via, ma così le raffiche le passano attraverso. Hai ben altro di cui preoccuparti. Raccontami del vagoncino del Castello del Brivido. Mi interessa, sul serio. Hai usato una specie di comando a distanza? Quegli aggeggi mi fanno impazzire. Sono il futuro, sicuro come l’oro.»

«No, nessun telecomando.»

Sembrò non sentirmi. «E perché, poi? Volevi che uscissi allo scoperto? Non ce n’era bisogno. Eccomi qui.»

«È stata lei.»Non sapevo se fosse vero, non esattamente, ma non avevo intenzione di tirare in ballo Mike. «Linda Gray. Non l’hai notata?»

Il sorriso scomparve. «Non sei capace di inventarti niente di meglio? Mi stai rifilando la vecchia storia dello spettro dentro il tunnel dell’orrore? Coraggio, prova a sforzarti.»

E così neanche lui l’aveva vista. Però doveva sapere che c’era qualcosa.Non potrò mai esserne sicuro, ma forse si era offerto di riacciuffare Milo proprio per quel motivo: non voleva che ci avvicinassimo al Castello.

«Oh, lei era proprio lì. Mi è apparso davanti il suo cerchietto per capelli. Ti ricordi che ho sbirciato dentro la vettura? Era sotto il sedile.»

Si mosse con tale velocità che non trovai neppure il tempo di proteggermi con le mani. La canna della pistola mi colpì in fronte, aprendo una ferita superficiale. Vidi tutte le stelle del firmamento. Il sangue mi colò negli occhi, accecandomi. Barcollando, mi appoggiai alla balaustra lungo la rampa che conduceva alla ruota. La strinsi forte per non crollare a terra. Passai sulla faccia la manica dell’impermeabile.

«Non capisco perché voglia prenderti la briga di spaventarmi con una storia dell’orrore. Così tardi, per giunta. E comunque non mi va a genio», continuò. «Hai notato la fotografia del cerchietto nella cartellina che ti ha consegnato quella tua amichetta puttanella e ficcanaso.» Abbozzò un secondo sorriso, totalmente privo di fascino. Era tutto denti. «Prima regola: mai burlarsi di un burlone.»

«Ma tu… tu non hai mai avuto in mano il raccoglitore di Erin.» Ci arrivai anche con la testa rintronata. «Fred. È stato lui.»

«Esatto. Lunedì. Stavamo pranzando nel suo ufficio. Mi ha raccontato che tu e la puttanella vi divertivate a giocare ai piccoli investigatori, anche se non ha usato esattamente questa espressione. Pensava fosse divertente.

Io no, perché ti avevo adocchiato mentre sfilavi i guanti a Eddie Parks dopo che era gli era venuto l’infarto. Lì ho capito che stavate ficcando il becco in faccende che non vi riguardavano. Riguardo alla cartellina… Fred mi ha riferito che la puttanella aveva pagine su pagine di appunti. Sapevo che era solo questione di tempo prima che mi collegasse allo spettacolo di Wellman e alla Southern Star.»