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In mezzo al salotto, sopra il tavolo consacrato allo Scarabeo penzolava una lampada. Dopo tutte le serate di brutali sconfitte, sapevo quanto fosse accecante. Una porta scorrevole separava la stanza dal corridoio che portava alla stanza della signora S. La chiusi per non rischiare di svegliarla. Accesi la lampada, spostai la plancia dello Scarabeo sopra al televisore, e disposi le fotografie. Ero troppo agitato per sedermi. Mi piegai sul tavolo, risistemando di continuo le immagini. Stavo per farlo per la terza volta di seguito quando mi bloccai. Avevo notato il particolare che cercavo. E avevo visto lui.Una prova che nessun tribunale avrebbe mai accettato, no di certo, ma a me bastava. Mi cedettero le gambe e alla fine fui costretto ad abbandonarmi su una sedia.

All’improvviso suonò il telefono che avevo usato così spesso per raggiungere mio padre, non scordandomi mai di annotare ora e durata della chiamata sul foglio per gli ospiti fissato alla parete. Nel silenzio del primo mattino, rotto solo dal vento, il trillo somigliò a un grido. Balzai in avanti e sollevai la cornetta per zittirlo.

«P-p-pron…» Non mi uscì altro. Avevo il cuore in gola.

«Ah, sei tu», disse la voce dall’altro capo del filo, insieme divertita e piacevolmente sorpresa. «Mi aspettavo che rispondesse la tua padrona di casa. Mi ero già preparato una storia su una grave emergenza in famiglia.»

Cercai di parlare, senza riuscirci.

«Devin? Ci sei?» Mi sfotteva. Amenamente.

«Un… un attimo.»

Appoggiai il ricevitore contro il petto, chiedendomi se fosse in grado di ascoltare anche il battito del mio cuore. Strano come funzioni la mente quando è sottoposta a una tensione improvvisa. Drizzai le antenne: la signora Shoplaw continuava placida a russare. Fortunatamente avevo chiuso la porta scorrevole e in camera sua non c’erano derivazioni. Rialzai la cornetta, accostandola all’orecchio. «Che cosa vuoi? Perché hai chiamato?»

«Credo che tu lo sappia, Devin… e anche in caso contrario, adesso è troppo tardi, non pensi?»

«Pure tu sei un sensitivo?» Una frase stupida, ma in quel momento il mio cervello e la mia bocca seguivano due rotte distinte.

«No, quella è Rozzie. La nostra Madame Fortuna.» Scoppiò a ridere. Dalla voce sembrava rilassato, ma dubito che lo fosse. Gli assassini non si mettono a telefonare nel cuore della notte se sono calmi. Soprattutto quando non sono certi di chi possa rispondere.

Ma si era preparato una storia, mi dissi. Cazzo, peggio di un boy scout, sempre preparato anche se completamente pazzo. Prendiamo il tatuaggio, per esempio. Era quel particolare ad attirare la tua attenzione mentre osservavi le foto. Non la faccia. Non il berretto da baseball.

«So che cosa stavi macchinando, ancora prima che la tua amica ti portasse la cartellina con le fotografie», proseguì. «E poi oggi… con la mammina carina e il piccolo storpio… che gli hai raccontato, Devin? Ti hanno aiutato a trovare la soluzione?»

«Loro sono all’oscuro di tutto.»

Il vento stava salendo d’intensità, anche dal suo capo del filo. Come se si trovasse all’aria aperta. «Chissà se posso crederti.»

«Sì. Assolutamente sì.» Lo sguardo abbassato sulle fotografie. L’uomo tatuato con la mano sul culo di Linda Gray. L’uomo tatuato che l’aiuta a prendere la mira al tirassegno.

Lane: Annie, vediamo se riesce a cavarsela meglio della sua omonima.

Fred: Una vera campionessa!

L’uomo tatuato con il suo berretto dei Mudcats, gli occhiali scuri e il pizzetto biondiccio. Si vedeva il disegno sul dorso della mano perché si era sfilato di tasca i guanti solo quando era entrato con Linda Gray nel Castello del Brivido. Quando erano rimasti da soli al buio.

«Chissà», ribadì lui. «Devin, questo pomeriggio ti sei fermato parecchio nella grande villa sulla spiaggia. Sei rimasto a raccontare alla mammina delle fotografie di Erin Cook o te la sei solo sbattuta? Magari entrambe le cose. È un gran bel bocconcino.»

«Non sanno niente.» Tenevo la voce bassa, fissando la porta chiusa del salotto. Mi aspettavo che si aprisse da un momento all’altro e comparisse la signora S. in camicia da notte, la faccia impiastrata di crema, più bianca di un fantasma. «E io non sono in grado di provare nulla.»

«Probabilmente no, non ora, ma è solo questione di tempo. Cosa fatta capo ha. Conosci questo vecchio detto?»

«Certo, certo.» Non l’avevo mai sentito, ma in quel preciso istante gli avrei dato ragione anche se mi avesse assicurato che il presidente degli Stati Uniti era Bobby Rydell, una vecchia conoscenza dell’auditorium.

«Ecco che cosa farai. Verrai al parco e risolveremo la questione da uomini. Discutendone a quattr’occhi.»

«E perché? Mi pare un’idiozia, se tu sei davvero…»

«Oh, sicuro che lo sono.» Sembrava impaziente. «Se tu andassi dai poliziotti, scoprirebbero che ho cominciato a lavorare a Joyland giusto un mese dopo l’assassinio di Linda Gray. Poi mi collegherebbero allo spettacolo di Wellman, alla Southern Star, e il resto verrebbe di conseguenza.»

«E allora perché non dovrei chiamarli adesso?»

«Hai idea di dove mi trovo?» Una punta di rabbia nella voce; anzi, di astio. «Hai idea di dove mi trovo ora, brutto stronzo ficcanaso?»

«Probabilmente a Joyland. Nell’ufficio dell’amministrazione.»

«Sbagliato. Al centro commerciale su Beach Row, dove le ricche troie vanno a comprare le loro porcherie macrobiotiche. Ricche troie come la tua amichetta.»

Un brivido gelido mi attraversò lento la spina dorsale, dalla nuca al solco tra le chiappe. Restai in silenzio.

«Fuori dal minimarket c’è un telefono a gettoni. Non una cabina, ma non importa, perché non sta ancora piovendo. Tira solo vento. Da qui riesco a vedere la villa della tua amichetta. La cucina è illuminata, probabilmente resta così tutta la notte, ma il resto della casa è buio. Potrei abbassare la cornetta e arrivarci nel giro di un minuto.»

«C’è un antifurto!» Non sapevo se fosse vero o meno.

Scoppiò a ridere. «A questo punto, credi che me ne freghi qualcosa? Non mi impedirà di sgozzarla. Ma prima la obbligherò a guardarmi mentre taglio la gola al suo piccolo storpio.»

Ma non la violenterai. Neanche se ne avessi l’occasione. Probabilmente non ne sei in grado.

Stavo per dirglielo, ma mi fermai in tempo. Ero terrorizzato e mi sembrava che stuzzicarlo fosse una pessima idea.

«Oggi sei stato gentile con loro», continuai, come se servisse a qualcosa. «I fiori… i premi… i giri in giostra…»

«Sì, sì, quelle cazzate che piacciono tanto ai bifolchi. Piuttosto, raccontami un po’ del vagoncino che è schizzato fuori dal tunnel dell’orrore. Che diavolo è successo?»

«Non ne ho idea.»

«Invece sì. Magari ne discuteremo. A Joyland. Conosco la tua Ford, Jonesy. Ha il fanale sinistro difettoso e quella graziosa girandola in cima all’antenna della radio. Se non vuoi che cominci a sgozzare gente, vedi di montare sopra il tuo trabiccolo e di schizzare giù da Beach Row verso Joyland.»

«Io…»

«Chiudi il becco mentre ti sto parlando. Mentre superi il centro commerciale, mi vedrai accanto a uno dei camioncini del parco. Non appena riaggancerò, avrai cinque minuti per arrivare qui. Se non ti farai vivo, amazzerò la donna e suo figlio. Intesi?»

«Io…»

« Intesi

«Sì!»

«Ti seguirò fino a Joyland. Non preoccuparti del cancello. È già aperto.»

«Insomma, o uccidi me o uccidi loro. Sono io che devo decidere, giusto?»

«Ucciderti?» Il tono era onestamente sorpreso. «Niente affatto, Devin. Non ho intenzione di aggravare la mia posizione. No, mi limiterò a scomparire. Non sarebbe la prima volta e probabilmente non sarà l’ultima. Voglio solo parlarti. Scoprire come sei arrivato a me.»

«Potrei spiegartelo per telefono.»

Cominciò a sghignazzare. «Senza darti l’occasione di fottermi e di diventare l’Eroico Howie una volta di più? Prima la bambina, poi Eddie Parks, e per il gran finale da brivido la mammina da schianto e il suo figlioletto paralitico. Perché rinunciare a una simile possibilità?» Smise di ridere. «Ti restano quattro minuti.»