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Era un cerchietto per capelli azzurro.

Tornammo al furgone. Milo, di nuovo irreprensibile, zampettava a fianco della sedia a rotelle.

«Mi farò rivedere non appena li avrò lasciati a casa, per qualche ora di straordinario», dissi a Fred.

Lui scosse il capo. «Dieci-sette. Fine servizio. Va’ a letto presto e presentati domattina alle sei. Portati dietro un paio di tramezzini in più perché sgobberemo fino a tardi. A quanto pare, la tempesta si sta avvicinando più velocemente di quanto prevedessero gli annunciatori meteo.»

Annie sembrò agitarsi. «Crede che dovrei fare i bagagli e trasferirmi con Mike in città? È molto stanco, ma…»

«Stasera ascolti la radio», le consigliò Fred. «Se dovessero diramare un ordine di evacuazione delle coste, sarà comunque in tempo. Ma non penso che si arriverà a tanto. Probabilmente sarà solo una bufera di vento, punto e basta. Sono un po’ preoccupato per le attrazioni più alte: il Muro del Tuono, il Delirio Cosmico e la Ruota del Sud.»

«Se la caveranno», intervenne Lane. «L’anno scorso hanno resistito ad Agnes, che era un uragano coi fiocchi.»

«Hanno già battezzato questa tempesta?» domandò il ragazzino.

«L’hanno soprannominata Gilda», rispose Lane. «Ma sarà la solita depressione subtropicale.»

«Il vento si farà più forte intorno a mezzanotte», proseguì Fred. «L’acquazzone arriverà un paio d’ore dopo. Probabilmente Lane ha ragione, ma domani sarà comunque una giornata impegnativa. Hai un impermeabile, Dev?»

«Certo.»

«Ricordati di mettertelo.»

Mentre ci allontanavamo dal parco, il bollettino meteo della stazione radio di Wilmington contribuì a calmare Annie. Il vento non avrebbe toccato i cinquanta chilometri orari, con raffiche sparse di maggiore intensità. Erano previste leggere erosioni del litorale, qualche allegamento di scarsa entità nell’entroterra, e poco altro. L’annunciatore disse che era «un tempo perfetto per fare volare gli aquiloni», un’affermazione che scatenò una risata generale, segno che ormai avevamo delle esperienze in comune. Una bella sensazione.

Quando arrivammo alla grande casa vittoriana su Beach Row, Mike si era quasi addormentato. Lo presi in braccio, sistemandolo sulla sedia a rotelle. Non fu una grande fatica; negli ultimi quattro mesi mi ero irrobustito e lui, senza quegli orribili tutori di metallo, non doveva pesare più di trenta chili. Con Milo che ci saltellava intorno, lo spinsi su per la rampa e dentro la villa.

Mike aveva bisogno di andare in bagno. La madre si apprestò ad accompagnarlo, ma lui chiese che ci pensassi io. Lo portai a destinazione, aiutandolo a mettersi in piedi e calandogli i pantaloni della tuta mentre si aggrappava alle barre di sostegno.

«Odio quando deve aiutarmi. Mi sento un poppante.»

Forse, ma pisciava col vigore dei coetanei. Poi, quando si piegò in avanti per azionare lo sciacquone, barcollò, rischiando di finire a testa in giù nella tazza. Fortunatamente lo agguantai al volo.

«Grazie, Dev. Oggi mi sono già lavato i capelli.» La battuta mi strappò una risata e lui sorrise. «Mi piacerebbe se arrivasse un uragano. Sarebbe una figata.»

«Se capitasse veramente, forse non la penseresti così.» Ancora mi ricordavo di Doria, sei anni prima. Aveva colpito il New Hampshire e il Maine con raffiche di vento fino a centocinquanta chilometri orari, abbattendo decine di alberi a Portsmouth, Kittery, Sanford e Berwick. Un grande, vecchio pino aveva mancato la nostra casa per un pelo, la cantina si era allagata e per quattro giorni eravamo rimasti senza energia elettrica.

«Di sicuro non voglio che succeda niente al parco. È il posto più fantastico che conosca al mondo.»

«Bene. Forza, lasciati tirare su i calzoni. Non sarebbe bello se mostrassi le chiappe a tua madre.»

Mike sghignazzò, ma presto cominciò a tossire. Quando uscimmo dal bagno, fu Annie a spingerlo lungo il corridoio fino alla stanza da letto. «Non provare a svignartela, Devin», gridò la donna voltandosi appena.

Con il pomeriggio libero, non avevo nessuna intenzione di filarmela, se lei desiderava che restassi ancora un po’. Vagabondai in salotto, osservando oggetti forse pregevoli ma di scarsissimo interesse, almeno per un ragazzo di ventun anni. Una gigantesca finestra panoramica, che occupava quasi l’intera parete, riscattava quella che sarebbe stata una stanza molto buia, inondandola di luce. La vetrata si affacciava sul portico, la passerella di legno e l’oceano. Le prime nuvole stavano addensandosi verso sudest, ma il cielo sopra di noi era ancora sereno. Ricordo di aver pensato che alla fin fine ero riuscito a entrare nella casa, ma forse non avrei mai avuto occasione di contarne i bagni. Mi ritornò in mente pure il cerchietto per capelli; chissà se Lane l’avrebbe notato mentre rimetteva a posto il vagoncino ribelle. Che altro? Be’, pensai che avevo finalmente visto un fantasma, anche se non quello di una persona.

Ritornò Annie. «Vuole parlarti, ma non trattenerti troppo.»

«D’accordo.»

«Terza porta a destra.»

Percorsi il corridoio, bussai piano ed entrai. A parte le sbarre di sostegno, le bombole di ossigeno in un angolo e i tutori di metallo ritti di fianco al letto, poteva essere la stanza di un ragazzino qualsiasi. Mancavano un guanto da baseball e uno skateboard appoggiato alla parete, ma c’erano i poster di Mark Spitz e di Larry Csonka, il giocatore dei Miami Dolphins. Al posto d’onore sopra il letto, l’immagine dei Beatles che attraversano Abbey Road.

Nella camera aleggiava un vago odore di olio canforato. Mike sembrava minuscolo, perso sotto una trapunta verde. Milo gli era acciambellato accanto, il naso a toccare la coda, e lui lo accarezzava distrattamente. Non sembrava neanche lo stesso ragazzino che aveva alzato le braccia sopra la testa in segno di trionfo in cima alla Ruota del Sud. Però non era triste. Aveva un’aria quasi radiosa.

«L’hai vista, Dev? L’hai vista quando se n’è andata?»

Scossi il capo con un sorriso. Potevo essere geloso di Tom, ma non di Mike. Mai e poi mai.

«Mi sarebbe piaciuto se il nonno fosse stato lì con noi. Lui avrebbe sentito che cosa ha detto prima di sparire.»

«Cioè?»

«Ci ha ringraziati. E ha aggiunto che devi stare attento. Sei sicuro di non averla sentita? Nemmeno un po’?»

Scossi di nuovo la testa. No, nemmeno un po’.

«Però lo sai.»Aveva il volto pallido e stanco e segnato dalla malattia, ma gli occhi erano vivi e sprizzavano energia. «Lo sai,non è vero?»

«Sì.» Pensai al cerchietto per capelli. «Mike, hai idea di che cosa le sia successo?»

«Be’, è stata uccisa.» In un sussurro.

«D’accordo, ma non ti ha detto chi…»

Prima che potessi finire, scosse il capo.

«Ora hai bisogno di dormire», continuai.

«Sì, mi sento sempre alla grande dopo un sonnellino.»

Chiuse gli occhi, per poi riaprirli lentamente. «La ruota è stata il meglio. Il montacarichi. È come volare.»

«Sì», risposi. «Proprio così.»

Riabbassò le palpebre, senza rialzarle. Raggiunsi la porta il più silenziosamente possibile. Non appena strinsi la maniglia, lui mormorò: «Sta’ attento, Dev. Non è bianco».

Mi voltai. Stava dormendo. Ne ero certo. Solo Milo mi fissava. Me ne andai, chiudendomi delicatamente la porta alle spalle.

Annie era in cucina. «Sto preparando il caffè, ma forse preferisci una birra? Una Blue Ribbon?»

«Il caffè va benissimo.»

«Come ti sembra la casa?»

Decisi di confessarle la verità. «L’arredo è un po’ vecchiotto per i miei gusti, ma non sono mai andato a scuola d’arredamento.»

«Neanch’io. Non ho neppure finito l’università.»

«Benvenuta nel club.»

«Ah, ma tu ci riuscirai. Dimenticherai la ragazza che ti ha scaricato, tornerai al college e arriverai alla laurea, destinato a un brillante futuro.»

«Come fai a sapere…»

«Della tua ex? Primo, è così evidente che potresti girare con un cartellino appiccicato in fronte. Secondo, Mike ne è a conoscenza. Me l’ha detto. È lui il miobrillante futuro. Tanto, tanto tempo fa ero certa che mi sarei specializzata in antropologia. Che avrei vinto una medaglia d’oro alle olimpiadi. Che avrei visitato terre lontane e meravigliose, diventando la Margaret Mead della mia generazione. Che avrei scritto molti libri e fatto del mio meglio per riconquistare l’amore di mio padre. Sai chi è?»