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Davanti agli occhi mi comparve la terribile immagine di Lane Hardy su un treno per Annandale, con un rasoio a mano libera in tasca. «Erin non sa nulla.»

«Oh, rilassati. Credi che mi metterei sulle sue tracce? Calmati, bello, e adopera il cervello. Nel mentre, fa’ una passeggiatina su per la rampa, dove la capra non campa. Tu e io partiremo per un giretto, ometto. Su su su, dove il cielo è pulito e il panorama garantito.»

Mi venne voglia di chiedergli se fosse pazzo, ma ormai sarebbe stata una domanda stupida e inutile.

«Che hai da ghignare, Jonesy?»

«Niente, niente. Non avrai davvero intenzione di salire là sopra con questo tempaccio?» Però, il motore della Ruota del Sud stava funzionando a pieno ritmo. Non me ero reso conto, non con il frastuono del vento e delle onde, o con lo stridore che veniva dalla struttura metallica, ma alla fine me ne accorsi. Era un brontolio costante, quasi un ronfare sommesso. Mi venne in mente un particolare piuttosto ovvio: probabilmente, dopo avermi finito, avrebbe usato la pistola contro di sé. Forse avrei dovuto pensarci prima, perché i pazzi lo fanno spesso, come si legge sovente sui giornali. Però, cercate di comprendermi: la tensione era alle stelle.

«La vecchia ruota è solida come una roccia», ribatté. «Ci monterei sopra anche se il vento soffiasse a novanta chilometri orari invece che a quaranta. Ha resistito addirittura alle raffiche di Carla un paio di anni fa, quando hanno spazzato la costa.»

«Come farai ad azionarla non appena saremo entrambi a bordo?»

«Entra e lo vedrai.» Sollevò l’arma. «Oppure ti posso stendere qui. Per me non c’è differenza.»

Mi incamminai su per la pedana. Aprii lo sportello della cabina, ferma nel punto dove di solito salivano i passeggeri. Feci per sistemarmi.

«No, no, no», mi bloccò lui. «Siediti verso l’esterno. La vista è migliore a tutte le ore. Fatti in là, bello. E ficcati le mani in tasca.»

Lane mi passò di fianco, la pistola alzata. Il sangue continuava a gocciolarmi sugli occhi e lungo le guance, ma non trovai il coraggio di muovere le dita e di asciugarlo con l’impermeabile. Lane aveva l’indice premuto contro il grilletto. Alla fine si accomodò nella parte interna.

«Ora tocca a te.»

Mi sedetti. Non avevo scelta.

«E chiudi lo sportello, che è lì per quello.»

«Sembri il dottor Seuss.»

Fece un sorriso storto. «Adularmi non ti servirà a nulla. Chiudilo o ti pianto una pallottola nel ginocchio. Credi che con questo vento qualcuno sentirebbe il colpo? Scommetto di no.»

Gli obbedii. Quando riportai lo sguardo su di lui, con una mano reggeva la pistola e con l’altra uno strano aggeggio metallico con una corta antenna. «Come ti ho detto, adoro questi giocattolini. È un normale apriporta per garage con un paio di piccole modifiche. Invia un segnale radio. L’ho mostrato a Easterbrook la scorsa primavera, assicurandogli che era la soluzione ideale per manovrare la ruota quando non c’erano pivelli o rincitrulli alla postazione di comando. Lui mi ha risposto che non potevamo utilizzarlo perché non era stato approvato dalla commissione di Stato per la sicurezza. Quel vecchio figlio di puttana, così ligio alle regole. Pensavo di brevettarlo, ma ormai è troppo tardi. Forza, prendilo.»

Lo afferrai. Era davvero un apriporta. Mio padre ne aveva uno della stessa marca, quasi identico.

«Vedi il pulsante con la freccia puntata verso l’alto?»

«Sì.»

«Premilo.»

Ci appoggiai sopra il pollice, senza schiacciare. In basso il vento era forte; sarebbe stato peggio lassù, dove il cielo era pulito e il panorama garantito? Stiamo volando!aveva urlato Mike.

«Fallo o ti becchi una pallottola nel ginocchio, Jonesy.»

Di nuovo, obbedii. La ruota panoramica ingranò all’improvviso e la cabina iniziò a sollevarsi.

«Adesso buttalo giù.»

«Cosa?»

«Obbediscimi o ti azzoppo e non ballerai mai più il tip-tap. Conterò fino a tre. Uno… due…»

Lo scagliai in basso. La Ruota del Sud girava nella notte ventosa. A destra la furia delle onde, la spuma dei cavalloni talmente bianca da sembrare fosforescente. A sinistra, la terra ammantata dalle tenebre e stretta nella morsa del sonno. Su Beach Row nemmeno un paio di fari. Le folate aumentarono di intensità. Ciuffi di capelli impastati di sangue mi vennero spazzati via dalla fronte. La cabina traballò. Lane si gettò prima in avanti e poi all’indietro, facendolo oscillare ancora di più. La pistola non si mosse, puntata contro il mio fianco. La canna scintillava rossa sotto la luce al neon.

«Stanotte non sembra più tanto una giostra per nonnine, eh, Jonesy?»

No di certo. La ruota metteva i brividi. Mentre stavamo per toccare la cima, una potente raffica scosse la struttura portante. I supporti di metallo della cabina presero a sferragliare. La bombetta di Lane volò via, inghiottita dall’oscurità.

«Merda! Be’, tanto ne ho una di scorta.»

Come faremo a scendere? La domanda nacque spontanea, ma non la pronunciai ad alta voce. Avevo troppa paura che mi rispondesse che saremmo rimasti lì, che se la tempesta non avesse travolto la giostra e l’energia elettrica non fosse saltata avremmo continuato a girare in tondo, finché Fred non ci avesse trovato al mattino. Due cadaveri sul montafessi di Joyland. La mia pensata successiva non fu delle più originali.

Lane mi sorrise. «Vuoi tentare di disarmarmi, vero? Te lo leggo negli occhi. Come diceva l’ispettore Callaghan in quel film, devi fare a te stesso una domanda: mi sento fortunato?»

Stavamo scendendo. La cabina non oscillava più così tanto. No, non mi sentivo per niente fortunato.

«Quante ne hai ammazzate, Lane?»

«Non sono cazzi tuoi. E comunque, dovrei essere io a porre le domande, visto che ho la pistola in pugno. Da quando lo sai? Da parecchio o mi sbaglio? Almeno dal momento in cui quella puttanella ti ha mostrato le foto. Ma te lo sei tenuto per te, perché volevi portare il tuo amico storpio in gita al parco. Un bello sbaglio, Jonesy. Un classico errore da bifolco.»

«L’ho scoperto stanotte.»

«Bugiardo bugiardino, ti cresce il nasino!»

Superammo la rampa, pronti per un secondo giro. Probabilmente mi sparerà quando arriveremo in cima. Poi si ucciderà oppure mi butterà giù, scivolerà dalla mia parte e salterà sulla pedana quando il vagone si avvicinerà, cercando di non rompersi una gamba o l’osso del collo.Mi sembrava più probabile l’ipotesi dell’omicidio-suicidio, ma prima avrebbe voluto soddisfare la sua curiosità.

«Chiamami pure stupido, ma non bugiardo», affermai. «Ho guardato per ore le fotografie, mi rendevo conto che c’era un dettaglio familiare ma non riuscivo a capire che cosa fosse. Era il cappello. Negli scatti avevi un berretto da baseball, non una bombetta, ma era inclinato da un lato mentre tu e Linda eravate in coda per le Tazze Ballerine, e dall’altro quando le insegnavi a prendere la mira al tirassegno. Ho controllato il resto delle immagini, dove voi due siete sullo sfondo, e ho notato lo stesso particolare. Avanti e indietro, a destra a sinistra, lo fai sempre. Non ci pensi neanche.»

«Tutto qui? Un cazzo di cappello spostato di fianco?»

«No.»

Stavamo raggiungendo la cima per la seconda volta, ma pensai che avrei resistito almeno ancora un giro. Lui era tutt’orecchi. Poi cominciò a piovere, un acquazzone improvviso, quasi avessero aperto il rubinetto di una doccia. Se non altro mi laverà il sangue dalla faccia.Quando fissai Lane, mi resi conto che non stava portando via solo quello.

«Un giorno ti ho guardato senza berretto e ho pensato che i capelli ti stessero diventando bianchi.» Quasi urlavo per farmi sentire sopra l’ululato del vento e lo scrosciare dell’acqua. La pioggia arrivava di traverso, sferzandoci la faccia. «Ieri ti ho sorpreso a strofinarti la nuca. Credevo fosse sporco. Poi stanotte, dopo avere compreso la faccenda del cappello, ho iniziato a riflettere sul tatuaggio fasullo. Erin si era accorta che il sudore lo faceva sbiadire. Immagino che i poliziotti non abbiano prestato attenzione.»