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Avendo lavorato nella squadra di Pop, sapevo che la risposta nascondeva una certa malafede. Il vecchio Allen non avrebbe sprecato nemmeno un secondoa controllare le tacche. Se i bifolchi si fossero rivelati dei tiratori provetti, lui sarebbe stato costretto a sganciare più premi… che pagava di tasca propria, al pari degli altri gestori dei baracconi. Era merce di scarso valore, ma non gratuita.

«Spara alto e a sinistra», disse la donna tra sé e sé. Poi alzò il fucile, lo appoggiò all’incavo della spalla destra e tirò il grilletto dieci volte di fila. Esaurì subito i colpi, senza pause a intervallarli, non badando a papere e coniglietti. Si dedicò ai pulcini di ceramica, mandandone otto in frantumi.

Quando Annie riappoggiò lo schioppo sul bancone, Lane usò un fazzoletto per strofinarsi via dalla nuca una crosta di sudiciume. «Gesù Cristo santissimo. Nessuno aveva mai beccato otto pio-pio», commentò a voce bassa.

«Ho preso l’ultimo di striscio e comunque a questa distanza avrei dovuto abbatterli tutti.» Non si stava vantando, ma comunicava un semplice dato di fatto.

«Ve l’avevo detto che era brava», affermò Mike quasi scusandosi. Strinse la mano a pugno e ci tossì dentro. «Voleva partecipare alle olimpiadi, ma poi è stata costretta a lasciare il college e ha avuto altri pensieri per la testa.»

«Lei è davveroAnnie Oakley», continuò Lane, riponendo il fazzoletto in una delle tasche posteriori. «Un premio a sua scelta. Uno qualsiasi.»

«Ho già più di quanto possa desiderare. Che giornata stupenda. Non vi sarò mai abbastanza riconoscente.» Si girò verso di me. «E devo ringraziare soprattutto lui.Che ha sudato sette camicie per convincermi a venire. Perché sono un’idiota.» Baciò il figlio in cima alla testa. «Ma adesso è meglio che riporti a casa il mio piccolo. Dove si è cacciato Milo?»

Ci guardammo attorno: era a metà della Passeggiata, accucciato davanti al Castello del Brivido con la coda tra le zampe.

«Qui, bello!» lo chiamò Annie.

Il cane drizzò le orecchie ma non le obbedì. Non si voltò neanche nella sua direzione, continuando a fissare la facciata dell’unica attrazione al buio del parco. Per un attimo credetti che stesse leggendo l’invito sbrodolante, adorno di ragnatele: ENTRATE SE NE AVETE IL CORAGGIO.

Mentre Annie era occupata a osservare Milo, guardai Mike con la coda dell’occhio. All’eccitazione era subentrata una profonda stanchezza, ma la sua espressione era inconfondibile. Era compiacimento. So che è folle pensare che lui e il suo Jack Russell si fossero preparati con largo anticipo, eppure non riuscii a non farlo.

Ne sono ancora convinto dopo tutto il tempo che è passato.

«Spingimi fin laggiù, mamma. A me darà retta.»

«Non ce n’è bisogno», intervenne Lane. «Se avete un guinzaglio, sarò felice di occuparmene io.»

«È nella tasca posteriore della sedia a rotelle», gli rispose la donna.

«Uh, forse no», ribatté il ragazzino. «Date un’occhiata, ma ho paura di averlo dimenticato da qualche parte.»

La madre controllò, mentre io pensai: Dimenticato un par di balle.

«Oh, Mike», lo sgridò Annie. «È il tuocane e sei tua esserne responsabile. Quante volte te l’ho ripetuto?»

«Scusami.» Poi, a Fred e a Lane: «Non usiamo quasi mai il guinzaglio. Milo arriva sempre».

«Tranne quando dobbiamo andarcene.» La donna portò alla bocca le mani a coppa. «Forza, bello! Si torna a casa!» Poi, con un tono più suadente: «Il biscotto! Vieni a prendere il biscotto!»

Con quella voce mi avrebbe fatto scattare di corsa, probabilmente con la lingua a penzoloni, ma Milo restò immobile.

«Forza, Dev», mi spronò Mike, come se avessi un ruolo nella messinscena e mi fossi incantato. Afferrai la sedia a rotelle per le maniglie e la spinsi giù verso il tunnel dell’orrore. Annie mi seguì a ruota. Lane rimase dov’era insieme con Fred, appoggiato al bancone tra i fucili legati alle catenelle.

Quando raggiungemmo il cane, la donna lo incenerì con lo sguardo. «Che c’è, Milo?»

Il Jack Russell scodinzolò non appena sentì la voce di Annie, ma non girò la testa e non si spostò di un millimetro. Stava facendo la guardia e non voleva saperne di muoversi, a costo di essere trascinato via di peso.

«Per favore, Mike, di’ al tuo cane di alzare le chiappe in modo che possiamo tornarcene a casa. Hai bisogno di ripo…»

Prima che finisse la frase, capitarono due cose, anche se non sono certo dell’ordine esatto. Ci sono ritornato sopra con il passare degli anni, specialmente nel corso di lunghe notti insonni, ma ancora non ne sono sicuro. Credoche prima sia arrivato il frastuono del vagoncino lungo la monorotaia. Però potrebbe anche essersi trattato del tonfo del lucchetto cascato improvvisamente a terra. È persino probabile che sia accaduto tutto insieme.

L’enorme lucchetto si staccò dalla doppia porta sotto la facciata del Castello, atterrando sull’assito e luccicando ai raggi del sole di ottobre. Fred Dean dichiarò più tardi che probabilmente l’anello non era stato spinto bene dentro il meccanismo di chiusura e che le vibrazioni della vettura in corsa l’avevano fatto scattare. Una spiegazione assolutamente sensata: in effetti l’anello era aperto quando lo ispezionai.

Però erano tutte stronzate.

Ero stato io stesso a fissarlo e ricordo ancora il suono metallico di quando si era chiuso. Gli avevo persino dato un paio di strattoni per accertarmene, come è sempre bene fare. Comunque, ecco una domanda a cui Fred non tentò nemmeno di rispondere: con gli interruttori dell’energia elettrica disattivati, come diavolo fece il vagoncino a muoversi? Poi, riguardo a ciò che capitò dopo…

Una corsa attraverso il tunnel dell’orrore finiva così: in fondo alla Sala delle Torture, proprio quando immaginavi che il peggio fosse passato e abbassavi la guardia, uno scheletro sghignazzante (soprannominato dai pivelli Hagar l’Orribile) volava dritto verso di te, apparentemente destinato a schiantarsi contro la tua vettura. Quando invece ti schivava per un soffio, ti si parava davanti un muro di pietra. Sopra, in verde fluorescente, spiccava l’immagine di uno zombi putrefatto e di una lapide con la scritta FINE DELLA CORSA.Naturalmente il finto muro si spalancava appena in tempo per lasciarti passare, ma quella doppietta in rapida successione era estremamente efficace. Quando il vagoncino riemergeva per un attimo alla luce del sole, disegnando una rapida parabola all’esterno prima di rientrare attraverso un’altra doppia porta e fermarsi, persino gli adulti strillavano come pazzi. Quelle ultime urla, immancabilmente accompagnate da risate di vergogna e di sollievo, costituivano la migliore pubblicità per l’attrazione.

Quel giorno invece regnava il silenzio. Anche perché la carrozza uscì dal tunnel completamente vuota. Fece il suo mezzo giro sul percorso sopraelevato, urtò debolmente contro l’altra doppia porta, e si bloccò.

«Bene così», mormorò Mike in un sussurro talmente debole che lo sentii a malapena. Annie non se ne accorse, la sua attenzione concentrata sul vagoncino. Il figlio stava sorridendo.

«Com’è possibile?» chiese la donna.

«Non ne ho idea», replicai. «Colpa di un cortocircuito, forse. O di uno sbalzo di tensione.» Ottime spiegazioni, per chi non sapesse che gli interruttori erano abbassati.

Mi alzai sulla punta dei piedi, sbirciando dentro la vettura. Notai subito che la sbarra era sollevata. Anche quando Eddie Parks o uno dei novellini che l’aiutavano si dimenticavano di abbassarla, la sbarra scattava in posizione non appena iniziava un nuovo giro. Era una misura di sicurezza a norma di legge. In fondo quella stranezza aveva una sua bizzarra giustificazione: Fred e Lane avevano azionato la corrente elettrica solo per le attrazioni riservate a Mike.

Vidi qualcosa sotto il sedile a mezzaluna, qualcosa che era vero e reale quanto le rose che Fred aveva regalato ad Annie. Però non era rosso.