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Uscii allo scoperto, impegnandomi nel solito balletto, una specie di folle tip-tap canino. Mike restò a bocca aperta. Annie si strinse la testa tra le mani, quasi fosse caduta improvvisamente vittima di una tremenda emicrania, e poi scoppiò a ridere fragorosamente. A seguire, quella che ritengo una delle mie migliori esibizioni. Saltellai e balzellai attorno alla sedia a rotelle, accorgendomi appena che Milo mi stava imitando girando dalla parte opposta. Hound Doglasciò il posto alla versione dei Rolling Stones di Walking the Dog.Un pezzo breve, per mia fortuna: non mi ero accorto di quanto fossi fuori forma.

Per il gran finale, spalancai le braccia strillando: «Mike! Mike! Mike!»Howie non aveva mai parlato prima di allora, e a mia difesa devo confessare che somigliava più a un latrato.

Il bambino si alzò, allargò a sua volta le braccia e si tuffò in avanti. Sapeva che l’avrei afferrato al volo, e così accadde. Marmocchi con la metà dei suoi anni mi avevano stropicciato per tutta l’estate, ma nessun abbraccio mi aveva mai mandato in brodo di giuggiole quanto il suo. Mi sarebbe piaciuto rigirarmi Mike tra le mani e stringerlo forte come avevo fatto con Hallie Stansfield, costringendolo a sputare fuori il male che l’affliggeva quasi fosse stato un boccone di hot dog andato di traverso.

«Sei un Howie fantastico, Dev», mormorò il ragazzino con il volto affondato nel pelo del costume.

Gli accarezzai la testa con la zampa, scalzandogli via il cancappello. Nei panni di Howie non ero autorizzato a rispondergli, e mi ero già spinto fin troppo in là ululando il suo nome, ma pensai ugualmente: Un bravo bambino si merita un bravo cane. Milo può dirlo.

Mike alzò lo sguardo, fissando gli occhioni azzurri di rete della mascotte di Joyland. «Vieni anche tu sul montacarichi?»

Annuii con enfasi esagerata, strofinandogli di nuovo il capo. Lane raccolse il cancappello e glielo rimise sulla cocuzza.

Annie si avvicinò. Teneva le mani giunte in grembo, con un atteggiamento composto e riservato, ma gli occhi sprizzavano allegria. «Le abbasso la cerniera, signor Howie?»

Per me poteva, eccome, ma non era consentito. Ogni spettacolo ha le sue regole e quella di Joyland, rigorosa e inflessibile, sanciva che il Simpatico Howie non doveva maiessere altro che se stesso. Guai a levarsi il costume in presenza dei frollocconi.

Ritornai di soppiatto nella Sotterranea, lasciando il travestimento nella macchinetta elettrica, e mi ricongiunsi a Mike e Annie sulla pedana che saliva alla Ruota del Sud. Annie sollevò lo sguardo con una punta di agitazione. «Ne sei proprio sicuro, tesoro?»

«Sì! È la mia preferita!»

«Allora va bene. O almeno lo spero.» Poi, rivolgendosi a me: «Non soffro di vertigini, ma le grandi altezze non mi fanno esattamente impazzire».

Lane stava tenendo aperto lo sportello di una cabina. «Tutti a bordo! Vi spedirò su, dove il cielo è pulito e il panorama garantito.» Si chinò, dando una grattatina a Milo giusto dietro alle orecchie. «Stavolta resterai a terra, bello.»

Mi sistemai in fondo, vicino alla ruota. Annie si piazzò in mezzo e Mike verso l’esterno, dove si godeva della vista migliore. Lane abbassò la sbarra di sicurezza e si riposizionò ai comandi, spostandosi di lato la bombetta. «Che la meraviglia abbia inizio!» urlò, e cominciammo a salire lentamente, come a incoronare un sogno.

A poco a poco, il mondo sottostante si svelò davanti ai nostri occhi: prima il parco, poi l’oceano blu cobalto sulla sinistra e i bassopiani della Carolina del Nord sulla destra. Quando arrivammo in cima, Mike mollò la sbarra di sicurezza, alzò le braccia sopra la testa e si mise a gridare. «Stiamo volando!»

Una mano sulla mia coscia. Era quella di Annie. La fissai e lei sillabò in silenzio un’unica parola: grazie.Non so quanti giri facemmo. Mi sembrò una corsa più lunga del solito, ma non ne sono certo. Mi ricordo soprattutto il viso di Mike, pallido ed estasiato, e le dita di Annie lungo la gamba, calde e quasi brucianti. Le spostò solo quando ci fermammo.

«Ora so come si sente il mio aquilone», affermò il ragazzino voltandosi verso di me.

A dire il vero, lo sapevo anch’io.

Quando Annie comunicò al figlio che la pacchia stava per finire, lui non si oppose. Era a pezzi. Mentre Lane lo caricava sulla sedia, Mike gli tese il palmo. «Dammi il cinque, bello, e sei mio fratello.»

L’uomo obbedì con un sorriso. «Torna a trovarci quando vuoi, piccolo.»

«Grazie. È stato fantastico.»

Lane e io lo spingemmo su per la Passeggiata. I chioschi su entrambi i lati avevano chiuso i battenti, ma uno sparaspara era ancora aperto: il Tirassegno di Buffalo Bill. Davanti al bancone dove venivano rastrellati i verdoni dei bifolchi, dove Pop Allen aveva passato l’intera estate, c’era Fred Dean nel suo completo con panciotto. Alle sue spalle, sagome di papere e di conigli scorrevano lungo un binario in direzioni opposte. Sopra di loro, pulcini di ceramica giallo brillante, immobili ma minuscoli.

«Prima di andartene, ti andrebbe di sfoggiare la tua abilità di tiro?» domandò Fred. «Oggi non ci sono perdenti, solo vin-ci-to-ri.»

Mike si girò verso Annie. «Posso, mamma?»

«Certo, tesoro. Ma non metterci troppo, d’accordo?»

Il ragazzino provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Era distrutto. Lane e io lo sollevammo per le braccia, uno per parte. Mike afferrò un fucile e sparò un paio di colpi, ma gli era difficile reggere l’arma, per quanto fosse leggera. I pallini tondi di acciaio raggiunsero il fondo di tela, scivolando con un tintinnio nella canaletta in basso.

«Troppo scarso», commentò, abbassando lo schioppo.

«Be’, non hai fatto faville», ammise Fred. «Però, come promesso, oggi ci sono solo vincitori», soggiunse, consegnando a Mike l’Howie più grande dello scaffale, uno dei peluche che neanche i tiratori più esperti sarebbero riusciti a guadagnarsi senza spendere otto o nove dollari in ricariche.

Il ragazzino lo ringraziò, tornando a sedersi con l’aria esausta. Quel cavolo di pupazzo era alto quasi quanto lui. «Provaci tu, mamma.»

«No, va bene così», rispose la donna, ma sapevo che ne era tentata. L’avevo capito dal suo sguardo, da come calcolava la distanza tra il bancone e i bersagli.

«Dai, per favore.» Mike mi fissò, per poi passare a Lane. «E bravissima. Prima che nascessi, ha vinto il torneo di tiro di Camp Perry, posizione prona, ed è anche arrivata seconda un paio di volte. Camp Perry è in Ohio.»

«Io non credo che…»

Lane le stava già porgendo uno dei calibro ventidue ad aria compressa. «Avanti. Vediamo se riesce a cavarsela meglio della sua omonima: Annie Oakley, l’amica di Buffalo Bill.»

Lei afferrò l’arma, esaminandola come pochi frollocconi sarebbero stati capaci di fare. «Quanti colpi?»

«Dieci per caricatore.»

«Nel caso, posso fare due giri?»

«Quanti ne desidera. Oggi è il suo giorno fortunato.»

«Mamma si allenava anche al tiro al piattello con il nonno», li informò Mike.

Annie alzò il fucile, sparando dieci colpi intervallati da una pausa di due secondi al massimo. Centrò due papere e tre conigli, evitando accuratamente i microscopici pulcini di ceramica.

«Una vera campionessa!» la adulò Fred. «Scelga un premio qualsiasi del ripiano di mezzo!»

La donna sorrise. «Cinque su dieci è un pessimo risultato. Mio padre si sarebbe coperto la faccia dalla vergogna. Vorrei ricaricare, se possibile.»

Fred tirò fuori da sotto il bancone un cono di carta (un richiamino, nella Parlata), infilandone la punta nella bocca del finto schioppo. Con un sonoro tintinnio, altri dieci pallini scivolarono dentro la canna.

«Le tacche di mira sono state alterate?» gli domandò Annie.

«No. A Joyland non esistono giochi taroccati. Ma le mentirei se le assicurassi che Pop Allen, il responsabile di questo sparaspara, ha passato un’eternità a verificarne la precisione.»