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Mike gli obbedì con entusiasmo. Credo non si fosse mai sentito così vivo.

«Devo schizzare via», soggiunse Lane. «Oggi ho parecchi compiti da sbrigare, tanti quanti i miei cappelli.» Mi strizzò l’occhio.

Annie proibì al figlio di salire sulle Tazze Ballerine, ma gli permise con una certa apprensione di provare i seggiolini volanti. Mi strinse il braccio ancora più forte della mano non appena il sedile di Mike si librò a una decina di metri da terra, iniziando a inclinarsi, ma allentò la presa quando lo sentì ridere.

«Dio!» esclamò la donna. «Guardagli i capelli! Gli svolazzano dietro come una coda!» Sorrideva e piangeva insieme, ma non se ne rendeva conto. Non sembrava accorgersi neanche del mio braccio che le circondava i fianchi.

Fred era ai comandi, attento a mantenere una velocità media, senza spingersi fino alla massima potenza; in quel caso Mike si sarebbe ritrovato parallelo al suolo, sostenuto unicamente dalla forza centrifuga. Quando il ragazzino riatterrò, gli girava troppo la testa per reggersi in piedi. Annie e io lo prendemmo sottobraccio, conducendolo verso la sedia a rotelle. Fred si occupò delle grucce.

«Oh, cribbio!» Non sembrava riuscire a dire altro. «Oh, cribbio! Oh, cribbio!»

Dopo fu la volta dei Battelli Ubriachi, un’attrazione che non si svolgeva in acqua a dispetto del nome. Mike solcò le onde di cartapesta insieme con Milo ed entrambi si divertirono un mondo. Annie e io ci imbarcammo su un secondo battello. Anche se lavoravo a Joyland da più di quattro mesi, non ero mai stato su quella giostra, e mi sorpresi a urlare la prima volta che la nostra prua sembrò schiantarsi contro l’imbarcazione di Mike e Milo, solo per cambiare direzione all’ultimo secondo.

«Fifone!»mi urlò Annie dentro l’orecchio.

Quando scendemmo, il ragazzino ansimava ma non stava tossendo. Lo trasportammo in sedia a rotelle lungo la Strada del Segugio e ordinammo tre bibite. Il rincitrullo si rifiutò di accettare il cinquone di Annie. «Offre la casa, signora.»

«Posso prendermi un hot dog, mamma? E dello zucchero filato?»

Lei si accigliò, poi tirò un sospiro stringendosi nelle spalle. «E va bene. Però devi capire che quella robaccia ti è comunque proibita, bello mio. Oggi fa eccezione. E basta con le giostre troppo veloci.»

Girando le ruote con le mani, Mike puntò al chiosco dei Cucciolotti Golosi seguito dal suo terrier, goloso pure lui. Annie si voltò verso di me. «Non credere sia fissata con l’alimentazione sana. Se gli viene la nausea, rischia di vomitare, che è pericolosissimo per i bambini nelle sue condizioni. Rischiano di…»

La baciai, sfiorandole appena le labbra. Fu come ingoiare una goccia di un liquido incredibilmente dolce. «Zitta. Ti pare stia male?»

Lei sgranò gli occhi. Per un attimo fui certo che mi avrebbe mollato un ceffone per poi eclissarsi. La giornata sarebbe finita in malo modo e sarebbe stata solo colpa mia, accidenti. Poi sorrise, fissandomi con uno sguardo interessato che mi fece sentire un brivido nello stomaco. «Scommetto che potresti combinare di meglio, se ti lasciassi fare.»

Prima che riuscissi a trovare una risposta, si gettò alla rincorsa del figlio. Anche se fosse rimasta non sarebbe cambiato nulla, perché ero totalmente sconcertato.

Annie, Mike e Milo si stiparono in una cabina della Teleferica Stellare, che passava sopra l’intero parco in diagonale. Fred Dean e io li seguimmo da terra in uno dei trabiccoli elettrici, con la sedia del ragazzino ripiegata nella parte posteriore.

«Mi sembra un bambino formidabile», commentò Fred.

«Lo è, ma non mi sarei mai aspettato un’accoglienza del genere.»

«È per lui ma anche per te. Hai fatto più bene al parco di quanto ti renda conto, Dev. Quando ho comunicato al signor Easterbrook che volevo esagerare, mi ha subito dato il via libera.»

«L’ha chiamato?»

«Certo.»

«Il trucco delle rose… come c’è riuscito?»

Fred tese le braccia, sfoggiando i polsini e abbozzando un’aria modesta. «Un prestigiatore non svela mai i suoi segreti. Non lo sapevi?»

«Quando lavorava per i Blitz Brothers, trafficava con le carte, i conigli e i cappelli a cilindro?»

«Nossignore. Per i Blitz manovravo le attrazioni e facevo l’imbonitore. Poi, anche se non avevo la patente adatta, ogni tanto guidavo un camion quando eravamo obbligati a schizzare via come schegge da un paesino di bifolchi in piena notte.»

«E dove ha imparato i trucchi?»

Fred allungò la mano dietro il mio orecchio, tirando fuori una moneta d’argento da un dollaro e lasciandomela cadere in grembo. «Qua e là, a zonzo per la città. Tira il collo a questo macinino, Jonesy. Ci stanno superando.»

Dalla Stazione Stellare, dove terminava il viaggio della teleferica, ci spostammo alla giostrina dei cavalli. Lane Hardy era lì ad aspettarci. Aveva abbandonato il berretto da macchinista, ritornando alla solita bombetta. Gli altoparlanti ci stavano ancora rintronando con vari pezzi rock, ma sotto la volta di quella che nella Parlata è nota come la giannetta, la loro musica era sovrastata dalle note di organetto di Daisy Bell.Era registrata, ma conservava la dolcezza dei tempi andati.

Prima che Mike guadagnasse la sua postazione, Fred si appoggiò a terra con un ginocchio e lo squadrò con un’espressione severa. «Non puoi salire sulla giannetta senza un berretto di Joyland. Noi li chiamiamo cancappelli. Ne hai uno?»

«No», replicò il ragazzino. Ancora non tossiva, ma aveva il volto segnato da occhiaie bluastre. A parte le gote rosse per l’eccitazione, era molto pallido. «Non sapevo che…»

Fred si levò il copricapo, sbirciò al suo interno e lo rivolse verso di noi. Era vuoto, come tutti i cilindri da prestigiatore quando vengono mostrati al pubblico. Controllò una seconda volta e gli brillò lo sguardo. «Ah!» Fece comparire un cancappello nuovo di zecca e lo calcò in testa a Mike. «Perfetto. Dunque, su quale animale vuoi salire? Non ci sono solo cavalli, anche se è la loro giostra! Preferisci un unicorno? Lena la sirena? Leo il Leone?»

«Sì, sì, il leone, per favore!» gridò il ragazzino. «Mamma, mettiti sulla tigre vicino a me!»

«Ci puoi scommettere», rispose lei. «Ho sempre desiderato cavalcarne una.»

«Ehi, campione della settimana», intervenne Lane, «lascia che ti dia una mano a montare sulla pedana.»

Nel mentre, Annie si indirizzò a Fred abbassando la voce. «Basta così, direi. È stato stupendo e non dimenticherà mai questa giornata, ma…»

«Si sta stancando. Capisco.»

La donna salì a cavalcioni della tigre con gli occhi verdi e le fauci spalancate in un ruggito, proprio di fianco al leone del figlio. Milo si accucciò tra i due, sorridendo un sorriso da cane. Non appena la giostra cominciò a girare, Daisy Belllasciò il posto a Twelfth Street Rag.Fred mi appoggiò una mano sulla spalla. «Rivediamoci alla Ruota del Sud. Sarà la sua ultima corsa, ma prima devi filare in sartoria. Muoviti.»

Feci per chiedergliene il motivo, ma poi mi accorsi di non averne bisogno. Mi diressi verso la mia meta. E di corsa.

Quel martedì mattina dell’ottobre del 1973 indossai il costume di Howie per l’ultima volta. Me lo infilai in sartoria e attraversai la Sotterranea per ritornare a metà del parco, tirando il collo a uno dei trabiccoli elettrici, con la maschera che mi ballonzolava sulla spalla. Sbucai appena in tempo dietro al baraccone di Madame Fortuna. Lane, Annie e Mike stavano risalendo lungo il viale principale. Lane spingeva la sedia a rotelle. Nessuno di loro mi sorprese a sbirciare da dietro l’angolo; erano troppo occupati a fissare la ruota panoramica con il collo teso all’insù. Invece Fred mi vide. Sollevai una zampa. Lui annuì, si voltò e alzò la sua, di zampa, per lanciare un segnale a chiunque ci stesse osservando dalla piccola cabina di regia sopra il centro di accoglienza visitatori. Un attimo dopo, i classici motivetti da Howie fuoriuscirono dagli altoparlanti. Per primo, Hound Dogcantato da Elvis Presley.