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Con un nome come Emmalina Shoplaw era difficile non immaginarsi una padrona di casa rubizza e prosperosa uscita da un romanzo di Charles Dickens, sempre indaffaratissima e capace di uscirsene con esclamazioni tipo: «Che il Signore ci salvi!» Avrebbe servito tè e dolcetti sotto lo sguardo compiaciuto di una combriccola di tizi stravaganti ma di buon cuore; forse mi avrebbe persino pizzicato la guancia mentre eravamo seduti ad arrostire le castagne su un fuocherello scoppiettante.

Però, nel nostro universo raramente otteniamo ciò che immaginiamo e la donna che rispose al campanello era alta, sulla cinquantina, senza seno e pallida come un pupazzo di neve. In una mano aveva un antiquato posacenere a sacchetto e nell’altra una sigaretta fumante. Spessi boccoli castano chiaro le coprivano le orecchie, rendendola simile alla versione invecchiata della principessa di una fiaba dei fratelli Grimm. Le spiegai il motivo della mia visita.

«E così lavorerà a Joyland. Be’, meglio che entri. Ha delle referenze?»

«No, non per un affitto, vivo nel dormitorio. Però ho una raccomandazione da parte del responsabile della mensa all’UNH, che è…»

«So che cos’è l’Università del New Hampshire, non sono nata ieri.» Mi fece accomodare nel salotto, uno stanzone che attraversava l’intera casa, stipato di mobili scompagnati e in cui troneggiava un enorme televisore da tavolo. La donna lo indicò. «È a colori. I miei inquilini possono usufruire di stanza e televisione a loro piacimento, fino alle dieci nei giorni feriali e a mezzanotte nei fine settimana. Di tanto in tanto mi unisco a loro per un film o la partita di baseball del sabato pomeriggio. Preparo i popcorn oppure ordiniamo una pizza. È uno sfizio.»

Uno sfizio, pensai. E in effetti sembrava sfizioso.

«Mi dica, signor Jones, lei beve e diventa molesto? A differenza di altri, ritengo un simile comportamento incivile.»

«No, signora.» Bevevo un pochino, ma raramente davo fastidio. Dopo un paio di birre, di solito mi veniva sonno.

«Credo sia inutile chiederle se fa uso di stupefacenti, perché in ogni caso mi risponderebbe di no. Naturalmente, è un vizio che prima o poi salta fuori, e quando succede in genere invito l’inquilino a trovarsi una nuova sistemazione. Non tollero neanche l’erba, d’accordo?»

«Sì.»

Mi scrutò a fondo. «Non ha l’aria di uno che si fa le canne.»

«No, non lo sono.»

«Ho posto per quattro ospiti. Finora solo uno è occupato, dalla signorina Ackerley, una bibliotecaria. Sono camere singole, però molto più belle di quelle di un normale motel. Per lei pensavo a una stanza del primo piano. Ha il bagno e la doccia, a differenza di quelle al secondo. E anche una scala esterna, che risulta comoda se ha qualche amica fra il gentil sesso. Non ho nulla in contrario, del resto anch’io faccio parte del gentil sesso e si può ben dire che sia amichevole. Per caso ha una fidanzatina?»

«Sì, ma quest’estate lavorerà a Boston.»

«Be’, forse incontrerà qualcuno qui. Come dice una canzone, l’amore è a portata di mano.»

Mi limitai a sorridere. Nella primavera del 1973, non potevo concepire di amare altri che Wendy Keegan.

«Immagino che abbia un’auto. Sul retro ci sono solo due posti per quattro inquilini; come ogni estate, chi primo arriva meglio alloggia. Lei è arrivato adesso e per il momento mi sta bene. Se scoprirò che le cose stanno diversamente, la pregherò di tornarsene da dove è venuto. Le pare un accordo onesto?»

«Sì, signora.»

«Bene, visto che lo è. Avrò bisogno delle solite sciocchezze: due mesi anticipati e una cauzione.» Anche la cifra era equa. Comunque, avrebbe scavato una profonda voragine nel mio conto fiduciario della First New Hampshire.

«Un assegno va bene?»

«È coperto?»

«Dovrebbe.»

La signora Shoplaw gettò all’indietro la testa, scoppiando a ridere. «Allora lo accetterò, sempre che voglia ancora la stanza dopo averla vista.» Spense il mozzicone e si alzò. «Tra parentesi, di sopra è proibito fumare, per via dell’assicurazione. E anche qui lo sarà, non appena arriverà il resto degli affittuari. È una questione di semplice cortesia. Sa che il vecchio Easterbrook sta estendendo lo stesso divieto all’intero parco?»

«L’ho sentito dire. Probabilmente gli incassi ne soffriranno.»

«Forse, all’inizio. Poi risaliranno. Sono pronta a scommetterci: lui è uno scaltro, un figlio del carrozzone.» Pensai di chiederle di spiegarsi meglio, ma era già passata ad altro. «Allora, diamo un’occhiata alla camera?»

Una sbirciatina mi bastò per capire che andava bene.

Il letto era grande e, ancora meglio, la finestra si affacciava sull’oceano. Il bagno era una presa in giro, così microscopico che sedendo sulla tazza mi sarei ritrovato con i piedi nella doccia, ma gli studenti universitari con le tasche piene di ragnatele non possono fare gli schizzinosi. E la vista era il fattore decisivo. Dubitavo che i ricconi ne godessero di una migliore, dalle loro case di villeggiatura lungo Beach Row. Mi immaginai di portare lì Wendy, per ammirare il panorama, e poi… dentro il lettone con il tranquillo, costante rumore della risacca…

Lo avremmo fatto, finalmente.

«La voglio», esclamai, sentendomi arrossire. Non mi riferivo soltanto alla stanza.

«L’ho capito dall’espressione che ha in faccia», rispose lei, quasi mi avesse letto nel pensiero. Allargò le labbra in un sorriso così grande da avvicinarsi a un personaggio di Dickens, nonostante le tette piallate e il colorito pallido. «Un piccolo nido. Non è la reggia di Versailles, ma è tutto suo. È un po’ diverso dalla stanza di un dormitorio, persino da una singola.»

«Assolutamente sì», ammisi. Mi venne in mente che avrei dovuto convincere mio padre a mettermi altri cinquecento dollari sul conto, in modo da non finire in rosso prima che fosse arrivato lo stipendio. Avrebbe brontolato ma poi si sarebbe arreso. Pregai di non essere costretto a giocarmi la carta della mamma defunta. Era morta da quasi quattro anni, ma papà custodiva una decina di sue fotografie nel portafoglio e portava ancora la fede.

«Un lavoro e un appartamento tutti tuoi», continuò la donna con un tono sognante. «Non trovi che sia stupendo, Devin? Posso darti del tu?»

«Certo, e mi chiami Dev.»

«D’accordo.» Diede un’occhiata alla piccola camera con il soffitto inclinato (era sotto uno spiovente) e sospirò. «È un entusiasmo di breve durata, ma quando succede è magnifico. Quel senso di indipendenza… Credo che starai bene qui. Sembri fatto apposta per la vita di Joyland.»

«Lei è la seconda persona a dirmi una cosa del genere.» Poi ripensai alla conversazione con Lane Hardy nel parcheggio. «La terza, in realtà.»

«E scommetto che conosco gli altri due. Vuoi guardare meglio il resto? Lo so, il bagno non è granché, ma è sempre meglio che farla nel cesso di un dormitorio mentre un paio di tipi davanti ai lavabi scorreggiano e raccontano palle sulle ragazze con cui hanno pomiciato la sera prima.»

Scoppiai in una fragorosa risata, imitato da Emmalina Shoplaw.

Scendemmo dalla scala esterna. «Come se la passa Lane Hardy?» mi chiese lei, arrivati al pianterreno. «Porta sempre quella stupida berretta?»

«A me è sembrata una bombetta.»

La donna fece spallucce. «Berretta, bombetta, che differenza c’è?»

«Lui sta bene, ma mi ha raccontato una storia…»

Emmalina mi fissò con il capo inclinato, abbozzando un sorriso.

«Mi ha rivelato che il tunnel dell’orrore di Joyland, il Castello del Brivido, è infestato dagli spettri. Gli ho chiesto se mi stesse prendendo in giro e mi ha risposto di no. Ha aggiunto che lei ne era a conoscenza.»

«Ma davvero?»

«Sì. E che riguardo al parco ne sa più di lui.»

«Be’, diciamo che ho una discreta esperienza in materia», replicò, sfilando un pacchetto di Winston dalla tasca dei pantaloni. «Prima di morire di infarto, mio marito ci lavorava come capocantiere. Quando si è scoperto che la sua assicurazione sulla vita era una truffa, e per di più spolpata fino all’osso, ho iniziato ad affittare i due piani superiori della casa. Cos’altro avrei dovuto fare? Era appena nata la nostra unica figlia, che adesso è su a New York, impiegata in un’agenzia pubblicitaria.» Accese la sigaretta e tirò una boccata. Il fumo le uscì dalle labbra insieme con uno sghignazzo. «La piccola sta anche cercando disperatamente di perdere l’accento del Sud, ma questo non c’entra. La nostra ridicola, gigantesca abitazione era il giocattolino preferito di Howard, e io gliel’ho sempre concesso. Almeno il mutuo è stato estinto. E poi mi piace rimanere legata al parco, perché è come se lui fosse ancora qui con me. Riesci a capirmi?»