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Lane Hardy mi fece arrivare fino in cima, per poi fermare la ruota. Restai seduto nella cabina ondeggiante, aggrappato alla sbarra di sicurezza, impegnato a scrutare un mondo completamente nuovo. A ovest si stendevano i bassopiani della Carolina del Nord, incredibilmente verdi per un ragazzo del New England che considerava marzo un mese gelido e piovoso, pallido anticipo della primavera autentica. A est l’oceano, di un blu metallico finché non si abbatteva con cavalloni bianchi sul litorale, dove io sarei andato a passeggiare pochi mesi più tardi portandomi appresso il mio povero cuore martoriato. Sotto di me, l’innocente guazzabuglio di Joyland, le attrazioni grandi e piccole, l’auditorium, baracconi e baracchini, i negozi di souvenir e la Navetta di Howie, che portava i frequentatori ai vicini motel e, naturalmente, alla spiaggia. A nord, Heaven’s Bay. Dall’alto del parco (dove il cielo è pulito e il panorama garantito), la città sembrava fatta di mattoncini per costruzioni, con una torre campanaria per ciascun punto cardinale.

La ruota ricominciò a girare. Iniziai a scendere sentendomi come un bambino in un racconto di Rudyard Kipling, a cavalcioni sulla proboscide di un elefante. Lane Hardy fermò la giostra, ma senza aprirmi lo sportello; d’altronde, ero quasi un dipendente.

«Ti è piaciuto?»

«Da pazzi», risposi.

«Sì, è una roba da vecchiette ma non è malaccio.» Si risistemò la bombetta, inclinandola dalla parte opposta, e mi squadrò da capo a piedi. «Quanto sei, uno e novanta?»

«Uno e novantaquattro.»

«Bene. Vedremo se con la tua stazza ti piacerà farti un giro sulla ruota a metà luglio, indossando la pelliccia e cantando buon compleanno a qualche moccioso viziato con un bastoncino di zucchero filato in una mano e un super cono gelato Lassie nell’altra.»

«Quale pelliccia?»

L’uomo non rispose, già tornato ai suoi comandi. Forse la mia domanda fu soffocata dal suono della radio, che in quel momento sparava Crocodile Rocka pieno volume, o forse Lane Hardy preferiva che il mio futuro reclutamento nelle truppe degli Allegri Aiutanti risultasse una sorpresa.

Avevo a disposizione più di un’ora prima di rivedere Fred Dean e così passeggiai per la Strada del Segugio verso un carrettino degli hot dog molto promettente. A Joyland quasi tutto aveva a che fare con i cani, perciò la specialità si chiamava Cucciolotto Goloso. Ero tirato da matti coi soldi, per questa spedizione, ma potevo permettermi di sperperare un paio di dollari per un chili dog e una vaschetta di patate fritte.

Quando arrivai al baraccone dell’indovina, Madame Fortuna mi si piazzò davanti. In verità la donna si faceva chiamare così solo dal quindici maggio alla festa del Lavoro. Durante quelle sedici settimane, si vestiva con gonne lunghe fino ai piedi, strati di camicette trasparenti e foulard decorati con vari simboli occulti. Cerchi d’oro le pendevano dalle orecchie, così pesanti da allungarle i lobi, e parlava con un forte accento rumeno. Sembrava uscita da un film dell’orrore degli anni Trenta, uno di quelli con i manieri avvolti nella nebbia e gli ululati dei lupi.

Per il resto dell’anno, era una vedova di Brooklyn che collezionava statuine e adorava i film piagnoni in cui una tipa si becca la leucemia e nel corso di una scena stupenda esala l’ultimo respiro. Quel giorno si presentava sobriamente vestita con un abito pantalone nero e scarpe basse. Una sciarpa rosa confetto attorno al collo aggiungeva una nota di colore. Nei panni di Fortuna, sfoggiava una cascata di indomabili riccioli grigi, ma era una parrucca, al momento conservata dentro una teca di vetro nella sua minuscola abitazione di Heaven’s Bay. I suoi veri capelli erano tinti di nero, corti e tagliati a caschetto. L’estimatrice di Love Storyoriginaria di Brooklyn e Fortuna la Veggente avevano solo un punto in comune: entrambe erano convinte di possedere facoltà paranormali.

«Un’ombra grava su di te, giovanotto», dichiarò.

Abbassai lo sguardo, rendendomi conto che aveva ragione. La Ruota del Sud proiettava la sua sagoma su di noi.

«Non in quel senso, stolto. Parlavo del tuo futuro. Sarai presto vittima di un forte desiderio.»

Ne avevo già uno, ma nel giro di poco un Cucciolotto Goloso lungo una spanna mi avrebbe rimesso in sesto. «Davvero interessante, signora…»

«Rosalind Gold», rispose, porgendomi la mano. «Chiamami pure Rozzie, come gli altri. Però, durante la stagione estiva…» Entrò nel personaggio, trasformandosi in una specie di Bela Lugosi con le tette. «In kvelperiodo, io sono… Fortuna

Mi presentai. Se avesse indossato il costume, decine di braccialetti d’oro le avrebbero sbatacchiato rumorosi attorno al polso. «Piacere», risposi. E, cercando di imitarne l’accento: «Io sono… Devin!»

Non sembrò esserne divertita. «Un nome irlandese?»

«Esatto.»

«Gli irlandesi sono gente piena di tristezza e molti di loro hanno il dono della preveggenza. Non so se è anche il tuo caso, ma incontrerai qualcuno con queste qualità.»

In realtà mi sentivo parecchio contento… nonché desideroso di infilarmi nel gargarozzo un hot dog bello farcito di chili. Il mio viaggio stava iniziando a somigliare a un’avventura. Mi dissi che probabilmente avrei cambiato idea quando mi sarei ritrovato a pulire i cessi alla fine di un giorno di punta o a sciacquare via il vomito dai sedili delle Tazze Ballerine; però, fino a quel momento tutto sembrava perfetto.

«Stai provando la tua parte?» le domandai.

La donna si drizzò di colpo. Arrivava a malapena al metro e sessanta. «Kvestanon è una parte, amico mio. Gli ebrei sono la razza più sensitiva dell’intero pianeta.» Mise da parte l’accento. «E comunque, Joyland è sempre meglio di un bugigattolo da chiromante sulla Seconda Avenue. Triste o no, tu mi piaci. Emani delle buone vibrazioni.»

«L’adoro, quella canzone dei Beach Boys.»

«Però una grande afflizione sta per colpirti.» Poi, dopo una classica pausa a effetto: «E forse ti troverai in pericolo».

«Nel mio futuro vedi una bella ragazza con i capelli castani?» Il ritratto di Wendy, insomma.

«No», replicò Rozzie, e la frase successiva mi ghiacciò il sangue nelle vene. «Lei appartiene al passato.»

E va beeene.

L’aggirai, puntando verso il carrettino degli hot dog, attento a non sfiorarla. Era chiaramente una ciarlatana, ma toccarla in quel momento mi pareva una pessima idea.

Niente da fare. Mi seguì. «Nel tuo avvenire scorgo una bambina e un ragazzino. Lui ha un cane.»

«Simpatico, scommetto. Magari si chiama pure Howie.»

Lei ignorò quell’ultimo tocco umoristico. «La bambina porta un cappello rosso e ha una bambola. Uno dei due possiede un potere speciale. Non so chi. Non mi è dato di vederlo.»

Quasi non ascoltai l’ultima parte della tiritera. Stavo ancora pensando alle parole precedenti, pronunciate con un normalissimo accento di Brooklyn: Lei appartiene al passato.

In seguito scoprii che Madame Fortuna sbagliava spesso, ma probabilmente aveva davvero delle doti nascoste; e il giorno in cui mi presentai per il colloquio doveva essere in gran forma.

Venni assunto. Il signor Dean rimase soddisfatto soprattutto dall’attestato della Croce Rossa, che mi ero guadagnato a sedici anni nel campeggio dei metodisti. L’Estate Della Noia Mortale, come la chiamavo. Con il passare del tempo, ho scoperto che anche la monotonia ha i suoi lati positivi.

Comunicai al signor Dean quando sarebbero finiti gli esami della sessione estiva e gli promisi che sarei arrivato due giorni dopo, pronto per l’assegnazione a un gruppo e il periodo di formazione. Dopo esserci stretti la mano, mi diede il benvenuto ufficiale a Joyland. Per un attimo mi chiesi se mi avrebbe chiesto di unirmi a lui nel Latrato del Simpatico Howie, o roba del genere, ma invece si limitò ad augurarmi una buona giornata uscendo con me dalla stanza. Era un ometto con lo sguardo acuto e l’andatura dinoccolata. Sul portichetto di cemento fuori dall’ufficio del personale, ascoltando le onde infrangersi sulla battigia e annusando l’aria salmastra, mi sentii di nuovo eccitato, preso dalla voglia che cominciasse l’estate.