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«Credi che non lo sappia?»

«Secondo me sa fin troppo. Per esempio, sa che mi restano altri tre mesi decenti e poi quattro o cinque da schifo, durante i quali mi limiterò a succhiare l’ossigeno delle bombole e guardare in tivù MASHe il ciccione Albertone?L’unico suo dubbio è se lasciar partecipare al mio funerale il nonno e la nonna.» Aveva tossito con tale violenza da farsi lacrimare gli occhi, ma non lo scambiai per un pianto disperato. Era triste ma padrone di sé. La sera prima, quando l’aquilone era salito in cielo e lui aveva sentito strattonare lo spago, mi era sembrato molto più giovane della sua età. Ora lo vedevo lottare per essere più adulto. E ci riusciva sorprendentemente bene. Mi fissò dritto negli occhi. «Lei lo sa, ma non sa che io lo so.»

La porta sul retro sbatacchiò. Annie attraversò il portico, diretta alla passerella.

«E perché dovrei esserne informato anch’io, Mike?»

Scosse il capo. «Non ne ho la minima idea. Però non metterti a discuterne con mamma. La butta giù. Io sono tutto quello che le resta.» Pronunciò l’ultima frase non con orgoglio ma con cupo realismo.

«D’accordo.»

«Oh, un’ultima sciocchezza. A momenti me ne dimenticavo.» Lanciò un’occhiata alla madre, accorgendosi che era appena a metà strada, e si rigirò verso di me. «Non è bianco.»

«Che significa?»

Mike Ross parve disorientato. «Mah. Quando mi sono svegliato stamattina, mi sono ricordato che saresti venuto a colazione e mi sono saltate in mente queste parole. Pensavo che tul’avresti saputo.»

Arrivò Annie. Aveva versato un minifrullato in un bicchierino. A guarnirlo, una sola fragola.

«Gnam! Grazie, mamma!»

Lei notò la maglietta bagnata del figlio ma restò in silenzio. Mi chiese se volevo dell’altra spremuta e Mike mi strizzò l’occhio. Le risposi che l’avrei accettata volentieri. Mentre era impegnata a servirmi, il ragazzino ingozzò Milo con due enormi cucchiaiate di frullato.

Annie si voltò di nuovo verso Mike, osservando il bicchiere semivuoto. «Accidenti, sei davveroaffamato!»

«Te l’avevo detto.»

«Di che cosa stavate chiacchierando tu e il signor Jones… anzi, tu e Devin?»

«Niente di importante. Era giù di umore, ma adesso sta meglio.»

Non aprii bocca, ma di sicuro le guance mi si colorarono di rosso. Quando trovai il coraggio di guardare Annie, lei mi sorrise.

«Benvenuto nel mondo di Mike, Devin!» esclamò la donna, e probabilmente feci un’espressione buffa perché lei scoppiò in una fragorosa risata. Era un gran bel suono.

Quella sera, tornando da Joyland, la trovai ad aspettarmi alla fine della passerella di legno. Per la prima volta la vidi con una camicetta e una gonna, e senza il figlio.

«Devin? Hai un minuto?»

«Certo.» Superai la duna e la raggiunsi. «Dov’è Mike?»

«Fa fisioterapia tre volte alla settimana. Lo segue Janice, che di solito arriva al mattino, ma l’ho avvertita di venire stasera, perché avevo bisogno di parlarti a quattr’occhi.»

«Lui ne è al corrente?»

Annie sorrise con una punta di amarezza. «Quasi sicuramente. Mike sa molto più di quanto dovrebbe. Non voglio chiederti l’argomento delle conversazioni di stamattina, dopo che lui si era liberato di me, ma immagino che le sue… rivelazioni… non ti abbiano sorpreso più di tanto.»

«Mi ha spiegato perché si ritrova su una sedia a rotelle, tutto qui. E mi ha raccontato che ha avuto la polmonite per il Ringraziamento.»

«Volevo ringraziarti per l’aquilone, Dev. Le notti di mio figlio sono parecchio agitate. Non sente dolore, non esattamente, ma quando è addormentato respira male. Una specie di apnea. È obbligato a riposare stando quasi seduto, e questo certo non l’aiuta. Talvolta rischia di soffocare e, quando capita, viene svegliato da un allarme. Ma la notte scorsa, dopo avere giocato con l’aquilone, è riuscito a farsi un lungo sonno ristoratore. Sono persino entrata in camera sua, intorno alle due del mattino, per controllare che il rilevatore funzionasse a dovere. Dormiva come un angioletto. Non si rigirava irrequieto nel letto, non era afflitto dai soliti incubi e non si lamentava.

Merito dell’aquilone. È stato capace di appagarlo più di tutto il resto. Certo, non vedrebbe l’ora di entrare in quel tuo disgraziatissimo parco divertimenti, ma non se ne discute neanche.» Si interruppe un attimo, per poi sorridere. «Oh, cazzo, ti sto rintronando di chiacchiere.»

«Non preoccuparti», le risposi.

«La verità è che non ho molta gente con cui parlare. C’è la donna di servizio, una brava signora di Heaven’s Bay, e poi Janice, naturalmente, ma non è la stessa cosa.» Tirò un lungo sospiro. «Però non ho ancora finito. In parecchie occasioni sono stata sgarbata con te, senza un valido motivo. Mi dispiace.»

«Signora… signorina…» Ah, merda! «Annie, non ti devi scusare di niente.»

«E invece sì. Quando mi hai visto in difficoltà con l’aquilone, avresti potuto benissimo tirare dritto, e Mike non avrebbe passato una notte così tranquilla. Il problema è che fatico a fidarmi delle persone.»

Adesso mi invita a cena, pensai. Ma non lo fece, forse per colpa di ciò che dissi dopo.

«Però Mike potrebbevenire a Joyland. Non sarebbe difficile da organizzare e avremmo il parco tutto per noi, ora che è chiuso.»

Il viso di Annie si chiuse come una mano stretta a pugno. «Oh, no. Assolutamente no. Se credi sia possibile, ti ha nascosto la gravità della sua malattia. Per favore, a costo di essere categorica, non suggerirglielo neanche.»

«D’accordo, ma se dovessi cambiare idea…»

Lasciai morire la frase. Non sarebbe mai successo. Annie controllò l’ora e un sorriso nuovo di zecca le attraversò il volto. Era talmente smagliante che quasi non ti accorgevi che non includeva gli occhi. «Oddio, quanto è tardi. Dopo la fisioterapia Mike avrà parecchia fame e io non ho preparato niente per cena. Devo scappare.»

«Nessun problema.»

La guardai correre sulla passerella che saliva verso la casa vittoriana verde, nella quale probabilmente non avrei mai messo piede grazie alla mia boccaccia. Però, l’idea di portare Mike a Joyland mi era sembrata così naturale. Durante l’estate, c’era capitato di accogliere bambini disabili e con vari tipi di problemi: invalidi, ciechi, malati di cancro e handicappati psichici (che nei rozzi anni Settanta definivamo «ritardati»). Non è che avessi intenzione di piazzare Mike nella carrozza di testa del Delirio Cosmico, facendolo schizzare in orbita. Anche se non fosse stato messo a riposo per l’inverno, non ero un completo idiota.

La giostrina dei cavalli però funzionava ancora, e lui non avrebbe avuto problemi a salirci. Lo stesso discorso valeva per il trenino che attraversava la Borgata Incantata. E probabilmente Fred Dean mi avrebbe permesso di fargli da guida attraverso il Labirinto di Mysterio. E invece no. Assolutamente no. Lui era un delicato fiore di serra, e tale sarebbe sempre rimasto per la madre. L’aquilone era stata un’eccezione alla regola e le scuse l’amaro calice che Annie aveva scelto di bere.

Ciò nonostante, non potevo fare a meno di ammirarne l’agilità, l’eleganza e la grazia nei movimenti, qualità di cui il figlio purtroppo sarebbe sempre stato sprovvisto. Osservando le gambe di Annie spuntare nude dalla gonna, non pensai nemmeno per un istante a Wendy Keegan.

Avevo il fine settimana libero, e potete immaginarvi che cosa capitò. L’idea che piova sempre durante i weekend sarà anche falsa, ma di certo non lo sembra; provate a chiederlo a qualsiasi impiegato che abbia progettato di andare in campeggio o a pesca in un giorno festivo.

Be’, mi restava Tolkien. Sabato pomeriggio ero sulla sedia davanti alla finestra e mi stavo addentrando nelle montagne di Mordor in compagnia di Frodo e Sam, quando la signora Shoplaw bussò alla porta e mi chiese se avevo voglia di scendere in salotto per giocare a Scarabeo con lei e Tina Ackerley. Non si è mai trattato del mio passatempo preferito: ero stato costretto a patire infinite umiliazioni per mano delle mie zie Tansy e Naomi, provviste di un vocabolario illimitato di quelle che ho sempre amato definire «bestemmie da Scarabeo», roba tipo suk, krisse bhoot(uno spirito indiano, se proprio vi interessa saperlo). A ogni modo, le risposi che avrei accettato volentieri. Emmalina Shoplaw era la mia padrona di casa e un po’ di diplomazia non fa mai male.