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«Signor Jones», gridò la donna.

Mi girai. Stava ben dritta e non teneva più il capo chino. Aveva la maglietta appiccicata addosso dal sudore e sfoggiava un seno da brivido.

«SignorinaRoss, per la precisione. Ma visto che ormai ci siamo presentati formalmente, perché non mi chiama Annie?»

«Certo.» Indicai la maglietta. «Posizione prona?»

«È la maglietta di un torneo di tiro. Significa sparare appoggiando la pancia a terra», spiegò il figlio, come se stesse imbracciando un fucile.

«Roba di secoli fa», replicò lei bruscamente, per sottolineare che considerava chiuso l’argomento.

Niente da obiettare. Salutai Mike con un cenno della mano che lui ricambiò. Stava sorridendo a trentadue denti. Gli riusciva benissimo.

Dopo una cinquantina di metri, mi voltai per un’altra occhiata. L’aquilone stava scendendo, ma era ancora governato dal vento. Lo fissavano entrambi, lo sguardo all’insù. La donna teneva la mano appoggiata sopra la spalla del figlio.

Signorina e non signora, rimuginai. Ci sarà anche un signor vattelapesca nella grande vecchia casa vittoriana con settanta bagni? Solo perché non l’avevo mai visto, non significava che non esistesse, anche se ne dubitavo. Ero quasi sicuro che là dentro abitassero solo loro due.

La mattina seguente non ottenni nessuna spiegazione da Annie Ross, ma Mike si sprecò in chiacchiere. Il frullato era delizioso, con yogurt fatto in casa e uno strato di fragole fresche arrivate da chissà dove. Avevo portato i croissant e qualche muffin ai mirtilli. Il ragazzino evitò i dolci, ma si scolò un bicchiere di frullato e pretese il bis. Dallo stupore della madre, immaginai si trattasse di una magnifica novità.

«Sicuro di volerne un altro?»

«Magari solo metà. Che problema c’è, mamma? Sei stata tu a dirmi che lo yogurt mi aiuta ad andare di corpo.»

«Non credo sia necessario discutere delle tue abitudini intestinali alle sette del mattino.» La donna si alzò, lanciandomi un’occhiata sospettosa.

«Non preoccuparti di lui», replicò allegro Mike. «Se solo prova a smanazzarmi, gli scateno contro Milo.»

La donna arrossì all’istante. «Michael Everett Ross!»

«Scusami», replicò lui, pur non sembrando assolutamente dispiaciuto. Gli brillavano gli occhi.

«Porgi le tue scuse al signor Jones, non a me.»

«Accettate, accettate.»

«Mi farebbe il favore di sorvegliarlo un attimo, Jones? Non ci metterò molto.»

«Solo se mi chiami Devin.»

«D’accordo.» Si affrettò su per la passerella, fermandosi a metà e voltandosi. Forse aveva tutte le intenzioni di tornare indietro, ma non voleva perdere l’occasione di imbottire di preziose calorie il corpo scheletrico del figlio, e prosegui per la sua strada.

Mike sospirò, osservandola salire i gradini che portavano alla veranda sul retro della villa. «E ora sarò obbligato a berlo.»

«Be’, sì. Non l’hai chiesto tu?»

«Solo per parlarti senza lei tra i piedi. Le voglio molto bene, ma si intromette sempre. Come se la mia malattia fosse questo grande scandaloso segreto da non rivelare a nessuno.» Alzò le spalle. «Ho la distrofia muscolare, punto e basta. Per questo mi ritrovo su una sedia a rotelle. Posso ancora camminare, ma i tutori per le gambe e le stampelle sono un vero strazio.»

«Mi dispiace. Che fregatura.»

«Probabile, però almeno non ricordo come sia nonaverla. Purtroppo è una forma particolare della malattia. Si chiama distrofia di Duchenne. Chi ne viene colpito in genere schiatta nell’adolescenza o appena dopo i venti.»

Allora, ditemi un po’: che cosa avreste risposto a un ragazzino di dieci anni che vi ha appena rivelato di essere condannato a una morte prematura?

«Però…»Sollevò l’indice con aria dottorale. «Ricordi quando lei parlava di quanto sono stato male lo scorso anno?»

«Mike, non sentirti costretto a raccontarmi niente.»

«No, mi fa piacere.» Mi fissava con notevole intensità, quasi con insistenza. «Perché vuoi e devi saperlo.»

Ripensai a Madame Fortuna. Una bambina con un cappello rosso e un ragazzino con un cane. Mi aveva predetto che uno di loro possedeva un potere speciale, ma non era certa chi fosse dei due. Forse l’avevo appena scoperto.

«Mamma sostiene che io sono sicuro di essermi ripreso. Secondo te?»

«Hai una brutta tosse», azzardai, «ma comunque…» Non trovai il modo di terminare la frase. Comunque le tue gambe sono due stecchi? Comunque sei talmente magro che tua madre e io potremmo legarti a un filo e farti volare come un aquilone? Comunque, se dovessi scommettere chi vivrà più a lungo tra te e Milo, punterei tutto sul cane?

«Mi sono beccato la polmonite appena passato il giorno del Ringraziamento. Quando non sono migliorato dopo due settimane in ospedale, il medico ha avvisato mia madre di prepararsi al peggio e che probabilmente sarei morto.»

Ma non gliel’ha detto in tua presenza, pensai. Non lo fanno mai.

«Però ne sono uscito», continuò con un certa fierezza. «Mio nonno ha chiamato la mamma e si sono parlati per la prima volta da secoli. Non ho idea di come lo fosse venuto a sapere, ma lui ha spie dappertutto. Avrebbe potuto riferirglielo chiunque.»

Lui ha spie dappertuttosuonava leggermente paranoico, ma non aprii bocca. In seguito venni a sapere che Mike non stava esagerando. Suo nonno aveva davvero legioni di fedeli disseminati per il Paese, devoti a Dio, alla bandiera e alle armi, ma non necessariamente in quell’ordine.

«Secondo il nonno, ero sopravvissuto grazie a un intervento celeste. Mamma gli ha risposto che erano un sacco di stronzate, come la sua teoria secondo cui la Duchenne era una punizione dell’Altissimo. Io ero un osso duro e Dio non c’entrava niente, fine della storia. Poi gli ha appeso il telefono in faccia.»

Mike doveva avere sentito le parole della madre, ma non quelle del nonno, ed ero quasi certo che lei non gliele avesse riferite. Però non sospettavo che se le stesse inventando. Con mia sorpresa, sperai che Annie non si affrettasse a ritornare. Era diverso dall’ascoltare Madame Fortuna. Dopo tutti gli anni che sono passati, sono ancora convinto che Rozzie possedesse una briciola di autentiche facoltà paranormali, amplificate da una scaltra consapevolezza della natura umana e abbellite con un fracco di chiacchiere da circo. Il dono di Mike era più limpido. Più semplice. Più puro.Non come vedere lo spettro di Linda Gray, ma ci andavamo vicino. Come toccare un altro mondo.

«Mamma aveva giurato che non avrebbe mai rimesso piede in questa casa, ma eccoci qui. Perché io desideravo andare in spiaggia, giocare con un aquilone e anche perché non arriverò mai ai dodici anni, figuriamoci ai venti. Mi hanno dato del cortisone, e mi ha fatto bene, ma questa cazzo di polmonite insieme con la Duchenne mi ha fottuto per sempre cuore e polmoni.»

Mi scrutò con un’infantile aria di sfida, per verificare come avrei reagito a quella che ora viene pudicamente definita «parolaccia con la effe». Naturalmente restai impassibile. Ero troppo occupato a digerire il suo discorso per preoccuparmi di quello.

«In sintesi, mi stai suggerendo che un frullato in più non ti salverà la vita», affermai.

Mike gettò indietro la testa e scoppiò in una sonora risata, che si trasformò nel peggiore accesso di tosse fino a quel momento. Spaventato, mi avvicinai, dandogli un paio di pacche sulla schiena, molto delicate. Sembrava ci fossero solo ossa di pollo, là sotto. Milo abbaiò, appoggiandogli le zampe sulle gambe rattrappite.

Sul tavolo c’erano una caraffa d’acqua e una di spremuta d’arancia. Mike indicò la prima e gli riempii un bicchiere. Quando feci per reggerglielo, mi lanciò uno sguardo insofferente e se la cavò da solo, anche nel bel mezzo dell’attacco. Si sbrodolò, ma riuscì a bere una lunga sorsata, e la tosse parve calmarsi.

«Questo è stato davvero tosto», ansimò, massaggiandosi il petto. «Ho il cuore che batte come un cazzo di tamburo. Non andare a raccontarlo a mamma.»