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«D’accordo.» Mi avviai, felice di allontanarmi.

«Ehi, bamboccio!»

Mi voltai di malavoglia.

«L’hai vista?»

«Eh?»

«Non prendermi per scemo», ghignò con un’aria cattiva. «So che cosa combinavi là dentro. Non sei il primo e non sarai l’ultimo. Allora, l’hai vista?»

«E tu?»

«No, mai», mi rispose, fissandomi con i suoi occhietti aguzzi che spiccavano sul volto asciutto e bruciato dal sole. Quanti anni poteva avere? Trenta? Sessanta? Difficile dirlo, come era impossibile stabilire se stava mentendo. Non mi importava. Volevo solo tenermene alla larga. Mi metteva a disagio.

Eddie sollevò le mani coperte dai guanti. «L’assassino portava un paio di questi. Lo sapevi?»

Annuii. «E una camicia in più.»

«Esatto.» Il ghigno si allargò. «Per non macchiarsi di sangue. E ha funzionato. Non l’hanno mai preso. Adesso sparisci di qui.»

Quando raggiunsi la Ruota del Sud, fu l’ombra di Lane a darmi il benvenuto. Lui era a metà giostra, arrampicato sull’intelaiatura. Prima di appoggiare tutto il peso sulle traverse d’acciaio, le saggiava col piede. Una borsa per gli attrezzi di cuoio gli penzolava da un fianco; ogni tanto ci ficcava dentro la mano, sfilando una chiave a bussola. Joyland disponeva di una sola attrazione al buio, ma quelle veloci o a grande altezza da terra, come la ruota panoramica, il Lampo, il Muro del Tuono e il Delirio Cosmico, erano numerose. D’estate, una squadra di manutenzione di tre elementi ne verificava il funzionamento tutti i giorni prima dello svegliarino, senza contare le visite (spesso senza preavviso) degli ispettori dei parchi divertimenti della Carolina del Nord. Però, secondo Lane, chi non si occupava in prima persona della propria giostra era pigro e irresponsabile. Un punto di vista che mi spinse a chiedermi quando Eddie Parks fosse salito per l’ultima volta su una vetturaaadel Castello, controllando le sbarre di sicurezzaaa.

Lane abbassò lo sguardo, si accorse di me e urlò: «Ma quel brutto figlio di puttana ti ha mandato in pausa pranzo?»

«Ho continuato a lavorare e ho perso il conto del tempo.» Comunque mi era venuta fame.

«Nella mia tana ho dell’insalata di pasta. Prendila pure. Ieri sera ne ho preparata troppa.»

Entrai nel piccolo gabbiotto, scovai un grande contenitore Tupperware e lo aprii. Quando Lane scese a terra, l’insalata era già nel mio stomaco e stavo ingollando un paio di biscotti farciti.

«Grazie, Lane. Davvero saporita.»

«Sì, sarei un’ottima moglie. Sganciami un biscotto prima di spazzolarmeli via tutti.»

Gli porsi la confezione. «Com’è messa la ruota?»

«Di rava o di fava, è brava e se la cava. Dopo avere digerito, ti andrebbe di darmi una mano con il motore?»

«Certo.»

Si sfilò la bombetta, facendosela rigirare attorno a un dito. Aveva i capelli neri raccolti in un piccolo codino e mi accorsi di qualche filo bianco che non avevo notato all’inizio dell’estate. «Ascoltami bene, Jonesy, Eddie Parks sarà anche un figlio del carrozzone, ma ciò non toglie che sia uno sporco figlio di troia. Ai suoi occhi, tu hai due difetti imperdonabili: sei giovane e non ti sei fermato alla terza media. Quando sarai stanco di sopportare le sue menate, fammi un fischio e lo obbligherò a lasciarti stare.»

«Grazie, ma al momento non ne ho bisogno.»

«Ne ero sicuro. Ho visto che te la sai cavare e ne sono rimasto colpito. Però con Eddie bisogna stare attenti.»

«È un prepotente.»

«Il bello è che, gratta gratta, sotto un bullo troverai sempre un codardo. Eddie non sfugge alla regola. Ha paura di molti dipendenti del parco, me compreso. Gli ho già dato un paio di lezioni in passato e non avrei problemi a rifarlo. Insomma, se un giorno ti andrà di tirare il fiato, sai a chi rivolgerti.»

«Posso chiederti un’informazione su di lui?»

«Spara.»

«Perché non si toglie mai quei guanti?»

Lane scoppiò a ridere, calcandosi in testa la bombetta dandole l’inclinazione voluta. «Soffre di psoriasi. Ha le mani coperte di scaglie, o almeno così racconta. Non ricordo l’ultima volta che gliele ho viste. Dice che senza guanti se le gratta fino a farsele sanguinare.»

«Forse per questo è tanto irascibile.»

«Penso funzioni al contrario: quel caratteraccio gli ha rovinato la pelle.» Si picchiettò una tempia con l’indice. «È sempre la mente a controllare il corpo. Forza, Jonesy, rimbocchiamoci le maniche.»

Sistemammo la Ruota del Sud per il suo lungo riposo invernale, per poi dedicarci all’impianto di irrigazione. Quando finimmo di pulire le tubature con l’aria compressa e di riempire gli scarichi con litri di liquido antigelo, il sole stava calando dietro gli alberi a ovest del parco e le ombre iniziavano ad allungarsi.

«Per oggi basta e avanza», affermò Lane. «Portami il cartellino da firmare.»

Indicai l’orologio, per sottolineare che erano solo le cinque e un quarto.

Lui scosse la testa, sorridendo. «Non ho problemi a scriverci sopra che sei uscito alle sei. Ci hai dato dentro ed è come se avessi lavorato almeno dodici ore, bamboccio.»

«Va bene, ma non usare più quella parola. Luimi chiama così.» Indicai il Castello del Brivido con un cenno del capo.

«Lo terrò a mente. Portami il cartellino e poi fila via.»

Nel corso del pomeriggio il vento si era calmato, ma quando mi incamminai lungo la spiaggia spirava ancora una brezza calda. Mentre tornavo in città, di solito mi divertivo a guardare la mia lunga ombra stagliarsi sulle onde, ma quella sera quasi non riuscivo a sollevare la testa. Ero esausto. Non desideravo altro che un tramezzino al prosciutto e formaggio di Betty’s Bakerye un paio di birre del supermercato accanto. Sarei salito nella mia stanza, stravaccandomi sulla sedia davanti alla finestra, e mentre mangiavo mi sarei dedicato a Tolkien. Ero impegnato nella lettura de Le due torri.

La voce del ragazzino mi spinse ad alzare lo sguardo. Con il vento a favore, lo sentii chiaramente. «Più in fretta, mamma! Ce l'hai quasi fa…»Fu costretto a interrompersi per un accesso di tosse. E poi: «Ce l’hai quasi fatta!»

Quella sera la madre di Mike non era sotto l’ombrellone ma sulla spiaggia. Stava correndo nella mia direzione ma non si accorse di me, troppo presa a fissare l’aquilone che reggeva sopra la testa. Era il ragazzino a stringere il capo del filo, dalla sedia a rotelle alla fine della passerella di legno.

Stai andando nel verso sbagliato, mammina cara, pensai.

Mollò l’aquilone, che si alzò per una cinquantina di centimetri, ballonzolando capriccioso, per poi crollare a terra in picchiata. Il vento aumentò di intensità, trascinandolo con sé. La donna si mise a rincorrerlo.

«Ancora!»gridò Mike. «L’ultima volta…»Nuovi colpi di tosse, forti e profondi. « L’ultima volta ci eri quasi riuscita!»

«Non è vero», ribatté lei. Aveva la voce stanca e seccata. «Quel maledetto affare ce l’ha con me. Torniamo in casa per la ce…»

Milo era accucciato accanto alla sedia a rotelle e si stava godendo lo spettacolo con i suoi occhietti vispi. Non appena mi notò, partì a razzo abbaiando. Quando lo vidi arrivare, mi ricordai della predizione di Madame Fortuna nel giorno del nostro incontro: Nel tuo avvenire scorgo una bambina e un ragazzino. Lui ha un cane.

«Milo, qui!» urlò la donna. Dopo i tentativi con l’aquilone, i capelli si erano sciolti e le penzolavano davanti al volto in ciocche disordinate. Se li scostò dagli occhi con il dorso delle mani, l’espressione abbattuta.

Il terrier non le diede retta. Mi si bloccò di fronte scivolando sulla spiaggia, le zampe anteriori a spruzzare sabbia dappertutto, e improvvisò il suo solito giochetto. Scoppiai a ridere e gli accarezzai la testa. «Fattelo bastare, bello; stasera niente croissant.»

Mi abbaiò contro e poi ritornò zampettando dalla madre di Mike, immobile nella sabbia che le arrivava alle caviglie, il respiro affannato e lo sguardo diffidente.