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Al parco il tempo non bastava mai: il lavoro era meno vario e interessante rispetto all’estate, ma non costava così tanta fatica ed era più regolare. Ebbi persino occasione di reinterpretare il premiatissimo ruolo di Howie, nonché di unirmi al coro dell’ennesima festa di compleanno alla Borgata Incantata. Joyland restava aperto per i tre fine settimana di inizio settembre, ma le presenze erano calate drasticamente e non riuscii a svalvolare nessuna attrazione. Nemmeno la Ruota del Sud, superata in popolarità solo dalla giostrina dei cavalli.

«Su nel New England, quasi tutti i parchi non chiudono i battenti fino alla festa di Halloween», mi raccontò Fred Dean. Eravamo seduti su una panchina, intenti a divorare un sano pasto a base di chili burger e ciccioli fritti. «Giù in Florida, rimangono aperti tutto l’anno. Noi ci troviamo in una specie di zona d’ombra. Anni fa il signor Easterbrook ha tentato di promuovere una stagione autunnale, spendendo un capitale per un grande lancio pubblicitario, ma non ha funzionato granché. Quando le sere cominciano a farsi fredde, in genere i nostri frequentatori sciamano verso le fiere di paese. E comunque, molti vecchi dipendenti volano a sud o a ovest per la brutta stagione.» Scrutò il deserto di Strada del Segugio, tirando un sospiro. «D’inverno Joyland diventa un posto abbastanza desolato.»

«A me piace», risposi. Era vero. Era l’anno giusto per restare da solo. Ogni tanto andavo al cinema di Lumberton o Myrtle Beach con la signora Shoplaw e Tina Ackerley, la bibliotecaria con i fanali, ma passavo quasi tutte le sere nella mia stanza, rileggendo Il signore degli anellie scrivendo lettere a Erin, Tom e papà. Buttai giù anche una discreta quantità di poesie, il cui pensiero ancora mi imbarazza. Grazie a Dio le ho bruciate. Aggiunsi un nuovo disco sufficientemente lugubre alla mia sparuta collezione, The Dark Side of the Moon.Nel Libro dei Proverbi, si viene avvertiti che «come un cane ritorna al suo vomito, così lo stolto ripete le sue stoltezze». Quell’autunno ascoltai i Pink Floyd a ripetizione, rintanandomi nella mia metà oscura, mettendoli da parte solo per bearmi una volta in più della voce di Jim Morrison: «Questa è la fine, una bella amica». Lo so, lo so, classiche ingenuità da ventunenne.

Se non altro, a Joyland non avevo occasione di restare con le mani in mano. Le prime due settimane, mentre il parco funzionava a ritmo ridotto, vennero dedicate alle pulizie autunnali. Fred Dean mi affidò una combriccola di rincitrulli e quando ai cancelli venne appesa l’insegna chiusura stagionale, avevamo rastrellato e tagliato i prati, sistemato le aiuole per l’arrivo dell’inverno, tirato a lucido spacci e sparaspara. Nel cortiletto montammo alla svelta un prefabbricato di lamiera ondulata, mettendo al riparo dalle intemperie i baracchini del popcorn, delle granite e dei Cucciolotti Golosi (i porta pappa, secondo la Parlata), coprendoli con un telone verde.

Non appena i rincitrulli migrarono a nord per la raccolta delle mele, continuai a preparare il parco per la brutta stagione con Lane Hardy e Eddie Parks, che durante l’estate era stato il burbero responsabile del Castello del Brivido e della Squadra Dobermann. Svuotammo la fontana all’incrocio tra la Passeggiata di Joyland e la Strada del Segugio e ci stavamo occupando del Tuffo del Capitano Nemo, un compito parecchio più ingrato, quando arrivò Bradley Easterbrook in perfetta tenuta da viaggio con il suo immancabile completo nero.

«Stasera partirò per Sarasota», ci comunicò. «Come al solito, Brenda Rafferty verrà con me.» Sorrise, sfoderando i denti da cavallo. «Sto facendo un giro per ringraziare i pochi superstiti.»

«Passi un ottimo inverno, signore», gli augurò Lane.

Eddie biascicò un saluto incomprensibile che suonò come gaggio,mentre probabilmente era faccia buon viaggio.

«Grazie di tutto», dissi.

Ci strinse la mano, tenendomi per ultimo. «Conto di rivederti la prossima estate, Jonesy. Non sei un figlio del baraccone, però ci vai vicino.»

Invece non ci incontrammo mai più. Il signor Easterbrook morì il primo giorno del nuovo anno in un appartamento su John Ringling Boulevard, a cinquecento metri da dove sverna il famoso e omonimo circo.

«Vecchio, pazzo figlio di puttana», borbottò Parks, guardandolo allontanarsi verso l’auto, con Brenda pronta ad accoglierlo e aiutarlo.

«Chiudi la ciabatta, Eddie», gli intimò Lane dopo averlo scrutato a fondo per una manciata di secondi.

L’altro gli diede retta. Saggia decisione.

Una mattina, mentre ero diretto a Joyland con i miei croissant, il Jack Russell finalmente si decise ad attraversare la spiaggia per conoscermi meglio.

«Milo, qui!» lo chiamò la donna.

Il cane si voltò a guardarla, per poi tornare a fissarmi con i suoi occhi nero brillante. D’impulso, presi un pezzetto della mia colazione, mi accovacciai e glielo porsi. Milo schizzò lesto verso di me.

«Non gli dia da mangiare!» strillò lei.

«Oh, mamma, piantala», intervenne il ragazzino.

Milo la ascoltò e non accettò subito la mia offerta, rimanendo però seduto davanti a me con le zampe tese in avanti. Gli passai il boccone.

«Non lo farò più», promisi, alzandomi. «Ma un simile numero da circo non poteva andare sprecato.»

La donna sbuffò, tornando al suo libro. Era voluminoso e sembrava difficile. «Lo rimpinziamo tutto il tempo, ma lui corre sempre e non ingrassa», urlò il ragazzino.

«Sai che non devi parlare con gli sconosciuti, Mike», lo sgridò la madre, senza alzare lo sguardo dalle pagine.

«Non è esattamente uno sconosciuto. Ci passa davanti tutti i giorni», puntualizzò lui. Non aveva torto, almeno dal mio punto di vista.

Mi presentai. «Sono Devin Jones. Abito giù lungo la spiaggia. Lavoro a Joyland.»

«Allora è meglio che si sbrighi. Non vorrà arrivare in ritardo», rispose la donna, gli occhi perennemente abbassati.

Il figlio si strinse nelle spalle, come a dirmi: è fatta così. Era pallido e curvo più di un vecchio, ma la sua reazione e il suo sguardo rivelavano un notevole senso dell’umorismo. Feci anch’io spallucce, riprendendo la marcia. La mattina dopo, mi preoccupai di finire i croissant prima di raggiungere la grande casa vittoriana, in modo da non indurre Milo in tentazione, ma non mi trattenni dal salutarli. Mike mi imitò. La donna era al suo solito posto sotto l’ombrellone verde, senza libro, ma come da copione non mosse un muscolo. Il suo volto delizioso sembrava di ghiaccio. Qui non c’è niente per te,aveva scritto in fronte. Corri al tuo parco pidocchioso e lasciaci in pace.

Non mi restò che obbedirle, pur continuando a salutare, ricambiato da Mike. Mattina e sera, lui mi salutava sempre.

Il mattino successivo alla partenza di Gary «Pop» Allen per la Florida (più precisamente per l’Alston’s All-Star Carnival di Jacksonville, dove avrebbe capitanato uno sparaspara), giunsi a Joyland e trovai Eddie Parks, il più antipatico tra i dipendenti della vecchia guardia, seduto davanti al Castello sopra una cassetta della frutta. Fumare all’interno del parco era rigorosamente verboten,ma il signor Easterbrook era partito, Fred Dean non era nei paraggi, e Parks si sentiva abbastanza al sicuro da infischiarsene. Aveva una sigaretta tra le dita coperte dai guanti; un particolare curioso, se non li avesse indossati sempre.

«Eccoti qui, bamboccio, e con appena cinque minuti di ritardo.» Chiunque altro mi chiamava Dev o Jonesy, ma per Eddie ero «bamboccio» e lo sarei sempre stato.

«Sono le sette e mezzo in punto», gli risposi, picchiettando l’orologio con l’indice.

«Si vede che è indietro. Perché non usi l’auto come tutti? Ci metteresti un attimo.»

«Mi piace la spiaggia.»

«Non me ne sbatte un bigolo di che cosa ti piace, bamboccio. Preoccupati di essere puntuale. Qui non sei a lezione e non puoi entrare o uscire quando ti gira. Qui lavorie, adesso che il tuo capo ha levato l’ancora, devi darci dentro.»