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«Sì», risposi.

«D’accordo. Ricordatevi che per voi valgono le stesse regole degli altri. Tenete dentro quelle cazzo di mani.»

«Sissignore», affermò Tom, abbozzando un saluto militare. Eddie lo fissò come se fosse stato uno strano tipo di insetto e tornò alla postazione di comando, che consisteva di tre manopole fissate su una torretta che gli arrivava alla cintola. Qua e là, qualche bottone illuminato da una lampada da tavolo, piegata verso il basso per nascondere il suo bagliore bianco e per niente spettrale.

«Che tipo adorabile», borbottò Tom.

Erin ci prese a braccetto, stringendoci a sé. «Ma sta simpatico a qualcuno?»

«No», rispose lui. «Nemmeno ai membri della sua squadra. Ne ha già buttati fuori due.»

Il resto del nostro gruppo ci raggiunse proprio quando arrivò un trenino zeppo di frollocconi in preda alle risate (più un paio di bambini in lacrime, i cui genitori avrebbero dovuto dare retta all’avvertimento e uscire attraverso la sala giochi). Erin chiese a una ragazza se faceva paura.

«No, più che altro è stato difficile costringerlo a tenere a posto le mani», replicò lei, per poi strillare di felicità mentre il fidanzato le sbaciucchiava il collo trascinandola verso i flipper.

Salimmo a bordo, stipati in un vagoncino progettato al massimo per due persone. Sentii la coscia di Erin premere contro la mia e il suo seno sfiorarmi il braccio. Provai un improvviso e piacevole formicolio nelle parti basse. Fantasie erotiche a parte, sono convinto che quasi tutti gli uomini siano fedeli dalla nuca in su. Sotto la cintola, però, hanno un trapano a percussione che non si ferma davanti a nulla.

«Tenete dentro le maaani!»urlò Eddie Parks con un tono monocorde e annoiato, l’esatto opposto dell'allegro invito di Lane Hardy. «Tenete dentro le maaani!Se avete un bambino sotto il metro, prendetelo in grembo o scendete dalla vetturaaa!Rimanete fermi e state attenti alla sbarra di sicurezzaaa!»

La sbarra si abbassò con uno scatto metallico, accompagnato dai gridolini di un paio di ragazze, quasi un preliminare per le melodie che avrebbero intonato in mezzo alle tenebre.

Con uno scossone improvviso, ci avventurammo nel Castello del Brivido.

Dieci minuti dopo, scendemmo per poi uscire attraverso la sala giochi con il resto della compagnia. Dietro di noi, Eddie raccomandava ai nuovi arrivati di tenere dentro le maaanie di stare attenti alla sbarra di sicurezzaaa.Manco si voltò a guardarci.

«La parte delle Segrete non metteva paura, anche perché tutti i prigionieri erano dei Dob», commentò Erin. «Quello travestito da pirata era Billy Ruggerio.» Aveva le guance colorite e i capelli scompigliati dai getti d’aria. Pensai che non era mai stata tanto bella. «Ma il Teschio Urlante mi ha colta di sorpresa e la Sala delle Torture… Dio mio!»

«Abbastanza tosta», concordai. Durante il liceo mi ero sparato parecchi film dell’orrore e pensavo di averci fatto il callo, ma mi ero cagato sotto vedendo la testa con un occhio fuori dall’orbita rotolare giù dalla ghigliottina lungo un’asse inclinata. Accidenti, la bocca si muoveva ancora.

Tornati sulla Passeggiata di Joyland, notammo Cam Jorgensen della Squadra Setter intento a vendere limonata. «Ne volete un bicchiere?» domandò Erin, ancora in preda all’eccitazione. «Offro io!»

«Ci sto», risposi.

«Tom?»

Lui abbozzò un cenno di assenso alzando le spalle. Erin lo fissò perplessa e poi corse a prendere da bere. Diedi un’occhiata a Tom, ma era occupato a osservare l’allegro girotondo del Razzo Lunare. O forse ci stava guardando attraverso, quasi non fosse esistito.

Erin tornò con tre bicchieroni, mezzo limone a galleggiare sulla cima di ognuno. Ce li portammo sulle panchine del giardinetto appena giù dalla Borgata, sedendoci all’ombra. Lei stava parlando dei pipistrelli alla fine della corsa; sapeva benissimo che erano giocattoli a molla appesi a fili trasparenti, ma quelle bestiacce l’avevano sempre spaventata a morte e…

A quel punto si bloccò di colpo. «Tom, stai bene? Non hai ancora aperto bocca. Ti è venuta la nausea dopo la giravolta nella Botte?»

«No, lo stomaco è a posto.» Bevve un sorso di limonata quasi a dimostrarcelo. «Sai che cosa indossava, Dev? Lo sai?»

«Eh?»

«La ragazza assassinata. Laurie Gray.»

«LindaGray.»

«Laurie, Larkin, Linda, fa lo stesso. Che cosa indossava? Una gonna lunga e una camicetta senza maniche?»

Lo guardammo fissi, Erin e io, dapprima convinti che si trattasse di uno dei suoi soliti scherzi. Solo che sembrava serio. Anzi, osservandolo meglio, era terrorizzato.

«Tom?» Erin gli sfiorò la spalla. «L’hai vista? Su, non prenderci in giro.»

Lui le appoggiò la mano sopra le sue, senza guardarla e continuando a scrutarmi. «Sì. Aveva una gonna lunga e una camicetta senza maniche. La nostra amica Shoplaw te l’ha raccontato di certo.»

«Di che colore?» gli domandai.

«Difficile dirlo in mezzo a tutte quelle luci intermittenti. Entrambe azzurre, credo.»

Finalmente Erin capì che non si stava divertendo alle nostre spalle. «Merda santissima», buttò fuori in una specie di lungo sospiro. Le guance le si impallidirono all’istante.

C’era dell’altro. Un particolare che la polizia aveva tenuto nascosto a lungo, secondo la signora Shoplaw.

«E i capelli, Tom? A coda di cavallo, giusto?»

Lui scosse la testa. Trangugiò un po’ di limonata. Si strofinò le labbra con il dorso della destra. Non era incanutito all’improvviso, non aveva lo sguardo vitreo, non gli tremavano le mani, ma non era più lo stesso Tom che aveva continuato a scherzare lungo il labirinto degli specchi e attraverso la Stanza della Botte e del Ponte. Sembrava che gli avessero fatto un clistere di sano realismo, liberandolo da tutte le stronzate da sbarbatello con un lavoro estivo.

«No, non a coda da cavallo. Lunghi, con uno di quei cosi in testa per non farli cadere sulla faccia.»

«Un cerchietto?» chiese Erin.

«Esatto. Anche quello azzurro, mi pare. Aveva le mani tese.» Sporse in avanti la sua proprio come aveva fatto Emmalina Shoplaw quando mi aveva narrato la storia. «Sembrava chiedere aiuto.»

«Sbaglio o è stata la nostra proprietaria di casa a spifferarti tutto?» gli domandai. «Puoi dircelo, tanto non ci arrabbieremo. Non è vero, Erin?»

«No, per niente», confermò lei.

Tom scosse il capo. «Vi sto raccontando la verità. Voi non l’avete vista?»

Risposta negativa da entrambi.

«Perché ha scelto me?» si lamentò Tom. «Manco pensavo a lei, dentro al Castello. Mi stavo solo divertendo. Allora, perché?»

Erin cercò di cavargli di bocca altri particolari mentre tornavamo a Heaven’s Bay sul mio catorcio. Lui rispose alle prime due o tre domande, poi affermò di non volerne parlare più con un tono brusco che non gli avevo mai sentito usare con Erin. Probabilmente anche per lei fu una novità, perché si ammutolì per il resto del viaggio. Forse ne discussero in privato, ma Tom non mi rivelo più nulla fino a un mese prima della morte, senza dilungarsi. Capitò alla fine di una conversazione telefonica, resa dolorosa dalla sua voce incerta e nasale e dalla confusione che gli annebbiava la mente.

«Almeno… so… che c’è qualcosa», sussurrò. «L’ho visto… con i miei occhi… quell’estate. Dentro il Castello del Razzo.» Non mi preoccupai di correggerlo; sapevo che cosa voleva dire. «Te lo… ricordi?»

«Me lo ricordo», risposi.

«Però non so se è… qualcosa di buono… o di cattivo.» Stava morendo e il suo tono trasudava orrore. «Il modo in cui lei… Dev, il modo in cui lei tendeva le mani…»

Sì.

Il modo in cui lei tendeva le mani.

La volta in cui ebbi di nuovo giornata libera fu circa a metà agosto; la marea di frollocconi stava lentamente scemando. Non avevo più bisogno di aprirmi la strada a forza di spintoni su per la Passeggiata di Joyland fino alla Ruota del Sud… e al baraccone di Madame Fortuna, sotto l’ombra in perenne movimento della giostra.