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Erin scosse la testa, allungandomi di nuovo la foto delle Tazze Ballerine. «Qual è quella con sopra l’uccello?»

Lo sconosciuto era alla sinistra di Linda e le cingeva i fianchi con un braccio, tenendola appoggiata al sedere…

«La destra.»

«Giusto. Ma la ragazza, dopo avere notato l’uomo al cinema, ha detto che sulla destra aveva la croce.»

Ci rimuginai sopra. «Si è sbagliata. Succede di continuo, con i testimoni.»

«Certo. Mio padre potrebbe passare l’intera giornata a parlarne. Però guarda qui, Dev.»

Erin mi porse l’immagine del tirassegno, la migliore di tutte perché i due non si limitavano a far parte dello sfondo. Una Sirena di Hollywood in cerca di prede li aveva adocchiati, aveva notato la bella inquadratura e li aveva fotografati, sperando in una vendita facile. Peccato che il tipo avesse reagito in malo modo, quasi spintonandola via, secondo la signora Shoplaw. Mi ritornò in mente la sua descrizione: fianco a fianco, vicini vicini, lui che le insegna a reggere il fucile, come fanno sempre i ragazzi.La signora S. doveva averne osservata una riproduzione su carta da giornale, tutta sgranata. Quella era l’originale, così nitida e limpida che mi venne voglia di saltarci dentro per mettere in guardia la povera Linda. Erano davvero appiccicati; lo sconosciuto che l’aiutava a prendere la mira, la sua mano sopra quelle della giovane che reggevano il calibro ventidue ad aria compressa.

La sua mano sinistra, senza traccia di tatuaggi.

«L’hai visto о no?» domandò Erin.

«Non c’è niente da vedere.»

«Per l’appunto, Dev. Per l’appunto.»

«Credi che si tratti di due uomini diversi? Quello con la croce ha ucciso Claudine Sharp mentre l’altro con l’uccello ha spacciato Linda Gray? Mi pare improbabile.»

«Perfettamente d’accordo.»

«E allora?»

«E allora ho notato qualcosa in una delle foto, ma non ne ero certa, e così ho portato stampa e negativo a un dottorando di nome Phil Hendron. È un genio della camera oscura che praticamente vive nel dipartimento di fotografia della Bard. Hai presente le ingombranti macchine a soffietto che noi Sirene ci portavamo sempre dietro?»

«Come no.»

«Erano soprattutto per fare scena, dei cimeli in mano a ragazze carine, ma a sentire Phil sono comunque ottimi apparecchi. Dai negativi si può tirare fuori quasi di tutto. Per esempio…»

Mi diede un ingrandimento della foto delle Tazze Ballerine. Il vero obiettivo delle Sirene era una giovane coppia con in mezzo il figlio di pochi anni, che però erano praticamente scomparsi. Nella nuova versione, il centro dell’immagine era occupato da Linda Gray e dal suo accompagnatore omicida.

«Guardagli la mano, Dev! Guardagli il tatuaggio!»

Le obbedii, aggrottando la fronte. «Non è così nitida», mi lamentai. «E la mano è più sfocata del resto.»

«Non mi pare.»

L’avvicinai agli occhi. «Gesù, Erin, l’inchiostro… è leggermente sbavato?»

Lei sfoderò un sorriso trionfante. «Luglio 1969. Una notte bollente del profondo Sud. Tutti sudavano come fontane. Se hai qualche dubbio, controlla le altre foto e osserva gli aloni sotto le ascelle. E il nostro amico aveva una ragione in più per sentire caldo. Stava progettando un omicidio, e neanche di poco conto.»

«Oh, cazzo. Il Pirata Peter.»

Mi puntò contro l’indice. «Tombola.»

Il Pirata Peterera il negozio di souvenir appena fuori dal Tuffo del Capitano Nemo, con la bandiera dalle tibie incrociate che sventolava garrula sul tetto. All’interno si poteva trovare la solita mercanzia: magliette, tazzone da caffè, teli da bagno, persino costumi da nuoto nel caso tuo figlio si fosse dimenticato il suo a casa, tutto rigorosamente contrassegnato dal marchio di Joyland. C’era anche un bancone con un vasto assortimento di tatuaggi fasulli. Se non eri capace di applicarti da solo la tua decalcomania, per un piccolo sovrapprezzo ti venivano in aiuto il Pirata Peter in persona o uno dei pivelli che gli davano manforte.

Erin continuava ad annuire. «Dubito che se lo sia procurato lì: sarebbe stata una scemenza e questo tipo è tutt’altro che scemo. Però non è un vero tatuaggio, come non lo è la croce copta notata dalunga tesa quella ragazza nel cinema di Rocky Mount.» Si curvò in avanti, stringendomi il braccio. «Sai che cosa penso? Che lo faccia per attirare l’attenzione su un particolare. La gente guarda il tatuaggio mentre il resto…» Picchiettò il dito contro le forme indistinte che avevano costituito il soggetto della foto prima che il suo amico della Bard la ingrandisse.

«Il resto di lui passa in secondo piano», conclusi.

«Esatto. E dopo se lo lava via.»

«Gli sbirri ne sono al corrente?»

«Non ne ho idea. Potresti dirglielo tu - io no, sto per tornare all’università - ma probabilmente ormai non gliene importa nulla.»

Esaminai di nuovo le immagini. Non avevo dubbi che Erin avesse davvero scoperto qualcosa, ma temevo che non bastasse ad assicurare la cattura del Killer del Castello del Brivido. E poi le foto suggerivano dell’ altro.Era come avere una parola sulla punta della lingua e non riuscire a tirarla fuori, né più, né meno.

«Dopo Linda Gray, ci sono stati altri assassinii simili a questi cinque? O a questi quattro, escludendo Eva Longbottom? Hai controllato?»

«Ci ho provato. In soldoni: non lo so ma non sono in grado di affermarlo con certezza. Ho passato in rassegna almeno cinquanta omicidi di ragazze e giovani donne, ma non ne ho trovato nessuno con le stesse costanti.» Iniziò a enumerarle. «Sempre in estate. Sempre dopo un appuntamento con uno sconosciuto più anziano. Sempre la gola tagliata. E sempre il collegamento con spettacoli itineranti, fiere o par…»

«Salve, ragazzi.»

Alzammo lo sguardo di scatto. Era Fred Dean. Indossava una polo, un paio di larghi pantaloni rosso fiammante e un berretto dalla lunga tesa con HEAVEN’S BAY COUNTRY CLUB ricamato in oro sul bordo. Ero abituato a vederlo in abiti formali, quando il massimo della rilassatezza consisteva nella cravatta allentata o nel colletto della camicia slacciato. In quella tenuta da golfista sembrava incredibilmente giovane, tranne che per le tempie brizzolate.

«Buongiorno, signor Dean», rispose Erin, alzandosi. In una mano stringeva ancora gran parte delle scartoffie e delle fotografie. Nell’altra aveva la cartellina. «Non so se si ricorda di me…»

«Ma certo», disse, avvicinandosi. «Non mi dimentico mai di una Sirena di Hollywood, anche se talvolta rischio di confondere i nomi. Sei Ashley o Jerri?»

Lei sorrise, infilando il materiale nel raccoglitore e consegnandomelo. «Sono Erin.»

«Ma sicuro. Erin Cook.» Mi strizzò l’occhio, un gesto che mi sembrò addirittura più fuori posto dei suoi pantaloni chiassosi. «Hai un ottimo gusto in quanto a ragazze, Jonesy.»

«Vero?» Sarebbe stato troppo complicato spiegargli che Erin in realtà stava con Tom Kennedy. Probabilmente Fred manco si ricordava di lui, non avendolo mai visto con i tacchi e un seducente vestitino verde.

«Sono passato da queste parti per recuperare i libri mastri. Si avvicinano i versamenti trimestrali delle imposte. Una grande rottura di zebedei. Ti stai godendo la tua piccola gita da ex dipendente, Erin?»

«Sì, parecchio.»

«Tornerai il prossimo anno?»

La domanda sembrò metterla un po’ a disagio, ma non abbastanza da spingerla a mentire. «Credo di no.»

«D’accordo, ma se dovessi cambiare idea, sono certo che Brenda Rafferty riuscirà a trovarti un posto.» Riportò la sua attenzione su di me. «Jonesy, a proposito del ragazzino che hai in mente di scarrozzare al parco: hai fissato una data con la madre?»

«Martedì. Mercoledì o giovedì al massimo, in caso di brutto tempo. È meglio che il nostro piccolo ospite non si bagni.»

Erin mi fissava incuriosita.

«Ti consiglio martedì. Lungo la costa sta per abbattersi un temporale. Non un uragano, grazie a Dio, ma una tempesta tropicale. Pioggia a catinelle e raffiche di vento forza otto, a sentire le previsioni. Dovrebbe arrivare da queste parti nella tarda mattinata di mercoledì.»