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Una notizia incoraggiante.

In effetti era nel mondo dei sogni. Aveva gli occhi chiusi e, con i raggi del sole appena sbucato dalle nuvole a illuminargli il volto, compresi l’assurdità della mia ipotesi: non sarebbe mai potuto essere il fidanzato di Linda Gray. Sembrava avere appena compiuto cent’anni o addirittura centoventi. Notai anche che non gli servivano i guanti. Qualcuno gli aveva bendato le mani, probabilmente dopo aver trattato la psoriasi con un farmaco più efficace della normale crema da banco che era abituato a usare. Osservando quelle zampacce bianche da mummia, provai con riluttanza uno strano senso di pietà.

Attraversai la stanza il più silenziosamente possibile e infilai i guanti nel cassetto, insieme con i vestiti che aveva indosso al momento dell’ammissione. Restava il famoso qualcos’altro, una fotografia che avevo trovato sulla parete della sua piccola tana disordinata e puzzolente di fumo, accanto a un calendario ingiallito di due anni prima. Nell’immagine, Eddie e una donna dall’aria anonima erano nel cortile invaso dalle erbacce di un villino qualsiasi. Parks dimostrava circa venticinque anni e la cingeva con il braccio. Lei gli sorrideva e, meraviglia delle meraviglie, lui faceva altrettanto.

Di fianco al letto, un tavolino a rotelle con una caraffa di plastica e un bicchiere. Mi parve una stupidaggine; con le mani fasciate così, non sarebbe stato in grado di versarsi da bere per parecchio tempo. La caraffa comunque mi tornò utile. Ci appoggiai contro la foto, in modo che la vedesse non appena sveglio, e mi avviai verso la porta.

L’avevo quasi raggiunta quando lui mi parlò con un sussurro distante anni luce dal suo solito gracchiare irascibile. «Bamboccio…»

Tornai senza troppo entusiasmo al suo capezzale. Nell’angolo notai una sedia, ma non avevo nessuna intenzione di spostarla o usarla. «Come stai, Eddie?»

«Non lo so. Fatico… a respirare. Mi hanno incerottato da cima a fondo.»

«Ti ho portato i guanti, ma vedo che hanno già…» indicai le mani con un cenno del capo.

«Sì», ansimò. «Se non altro, in mezzo a tutta questa scalogna, forse qui riusciranno a curarmele. Non smettono mai di prudermi, le bastarde.» Lanciò uno sguardo alla fotografia. «Perché l’hai presa? E che cazzo ci facevi nella mia tana?»

«Ho rimesso a posto i tuoi guanti, come mi aveva detto Lane. Subito dopo ho pensato che forse ne avresti avuto bisogno. E che ti avrebbe fatto piacere rivedere la foto. Vuoi che Fred Dean chiami la donna ritratta con te?»

«Corinne?» domandò lui con una risatina nasale. «È crepata vent’anni fa. Versami dell’acqua, bamboccio. Ho la gola secca come una merda di cane abbrustolita dal sole.»

Gli obbedii, reggendogli il bicchiere e persino asciugandogli gli angoli della bocca quando si sbrodolò. Tutto fin troppo intimo, ma poi mi ricordai che avevo slinguato quel povero figlio di buona donna solo poche ore prima.

Non si sprecò a ringraziarmi, come da copione, limitandosi a ordinare: «Solleva la foto». Non trovai la forza di oppormi. La fissò intensamente per parecchi secondi e alla fine sospirò. «Brutta puttana traditrice. Solo brava a lamentarsi. Mollarla e mettermi a lavorare nei Royal American Show è stata la più grande pensata della mia vita.» Una lacrima gli guizzò all’angolo dell’occhio destro, per poi scendergli lungo la guancia dopo un attimo di esitazione.

«Vuoi che la porti via e la riattacchi nella tua tana, Eddie?»

«No, lasciala pure. Avevamo una figlia, sai?»

«Davvero?»

«Sì, è stata investita da un’auto. Aveva tre anni ed è morta come un cane rognoso in mezzo alla strada. Quella troia stava cianciando al telefono invece di starle dietro.» Si girò, serrando le palpebre. «Forza, sparisci. Sono stanco e mi fa male parlare. Mi sembra di avere un elefante seduto sul petto.»

«D’accordo. Stammi bene.»

Abbozzò una smorfia, senza riaprire gli occhi. «Ti va di scherzare? Come pensi sia possibile? Sono messo malissimo: non ho parenti, amici, risparmi o uno straccio di assicurazione. Come me la caverò?»

«Migliorerà, vedrai», risposi senza eccessiva convinzione.

«Sicuro. Nei film succede di continuo. Avanti, fila via.»

Quando si rivolse di nuovo a me, ero già fuori dalla porta.

«Avresti dovuto lasciarmi schiattare, bamboccio.» Lo disse senza tanti drammi, quasi fosse una considerazione di scarsa importanza. «Così avrei raggiunto la mia piccolina.»

Quando ritornai all’entrata dell’ospedale mi bloccai di colpo, sulle prime incerto di chi o che cosa stessi vedendo. Era lei, senza dubbio, con un esemplare della sua infinita collezione di «mattoni» spalancato davanti.

«Annie?»

La donna alzò lo sguardo, inizialmente guardinga, per poi sorridere non appena mi riconobbe. «Dev! Che ci fai qui?»

«Oggi un collega del parco ha avuto un infarto. Sono venuto a trovarlo.»

«Mio Dio, mi dispiace moltissimo. Si rimetterà?»

Mi sedetti accanto a lei, anche se non mi aveva invitato a farlo. Rivedere Eddie mi aveva messo addosso un’agitazione che non riuscivo a definire e mi sentivo i nervi a fior di pelle. Non era tristezza o commozione. Si trattava di una strana, vaga rabbia che aveva qualcosa a che spartire con il sapore schifoso di peperoncini verdi che ancora sentivo in bocca. E con Wendy, chissà perché. Era dura scoprire che non l’avevo dimenticata, non del tutto. Un braccio fratturato sarebbe guarito più in fretta.

«Non ne ho idea. Non ho sentito un medico. Che mi dici di Mike

«Solo una visita di controllo. Una radiografia del torace e un emocromo completo, per via della polmonite. Fortunatamente è guarito. Ora sta bene, a parte un residuo di tosse.» Non aveva chiuso il libro. Probabilmente desiderava che mi levassi di torno: un atteggiamento che rinfocolò la mia ira. Ricordatevi che quello era il famoso anno in cui tuttivolevano liberarsi di me, compreso il tipo a cui avevo appena salvato la pelle.

E così la mia risposta fu: «Mike non pensa assolutamente di stare bene. A chi devo dare retta, Annie?»

Il suo sguardo si fece prima stupefatto e poi distaccato. «Non mi importa a chi o a che cosa tu creda, Devin. Non sono affari tuoi, poco ma sicuro.»

«Invece sì», disse una voce alla nostre spalle. Mike si era avvicinato in sedia a rotelle. Non era elettrica e lui era costretto a girare le ruote con le mani. Un ragazzino robusto, tosse o meno. Però aveva sbagliato ad abbottonarsi la camicia.

Annie si voltò verso il figlio, sorpresa. «Che ci fai qui? Doveva essere l’infermiera a…»

«Le ho assicurato che me la sarei cavata da solo e mi ha lasciato andare. Da radiologia sono appena una svolta a sinistra e due a destra. Non sono cieco, sto solo mor…»

«Mike, il signor Jones era venuto a trovare un suo amico.» Il signor Jones.Ero stato retrocesso. La donna chiuse il libro con un colpo secco. «Probabilmente non vede l’ora di tornare a casa e anche tu sarai molto stan…»

«Voglio che Dev ci porti tutti e due al parco», ribatté Mike con un tono calmo ma abbastanza stentoreo da far voltare la gente attorno. «Tutti e due.»

«Mike, sai che non è…»

«A Joyland. La terra della gioia», proseguì, sempre sereno ma con la voce che aumentava di volume. Ormai lo stavano fissando tutti. Le gote di Annie erano rosse come il fuoco. «Forza portatemi.» Ormai gridava. «Portatemi a Joyland prima che muoia.»

La madre si coprì la bocca con la mano. Aveva gli occhi fuori dalla testa. La risposta tardò ad arrivare, bofonchiata ma comprensibile. «Mike, tu non morirai. Chi ti ha detto…» Si girò di scatto verso di me. «Sei tu che devo ringraziare per avergli messo in testa un’idea simile?»

«No, naturalmente.» Mi rendevo perfettamente conto che il nostro pubblico stava crescendo, che alla piccola folla si erano aggiunti un paio di infermiere e un medico in camice e zoccoli azzurri, ma non me ne fregava nulla.