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Stu chinò la testa senza alzarsi dalla sedia. — Come volete, signore.

— Io… — Entrò Greg. — Mi volevi parlare, Mannie?

— Come va la costruzione della radio?

— Harry crede che per domani sarà pronta. È una vecchia baracca, dice, ma basta fornirle l’energia sufficiente e si farà sentire.

— L’energia non ci manca. E se dice domani, allora vuol dire che sa quello che sta facendo. Perciò il lavoro sarà finito oggi… diciamo fra sei ore. Lavorerò ai suoi ordini. Cara Wyoh, mi procuri le mie braccia? Voglio la protesi numero sei e la numero tre… anche la numero cinque, per favore. E stammi accanto per aiutarmi a cambiare le braccia. Stu, voglio che tu prepari alcuni messaggi spiacevoli… ti darò la traccia generale e tu ci metterai il corrosivo necessario. Greg, non lanceremo quei massi nello spazio, per il momento. Quelli che stanno cadendo ora arriveranno a destinazione nelle prossime diciotto o diciannove ore. Poi, quando le Nazioni Federate annunceranno che tutti i proiettili sono caduti e che la minaccia lunare è finita, interrompiamo la loro trasmissione con la nostra radio e annunciamo i prossimi bombardamenti. Lanceremo i massi sulle orbite più brevi possibili, Greg, dieci ore o anche meno, perciò controlla l’efficienza della catapulta e della centrale nucleare: avremo bisogno di tutta l’energia disponibile.

Wyoh era tornata con le braccia artificiali. Le dissi: — Numero sei — e aggiunsi: — Greg, portami da Harry.

25

Sei ore dopo, la trasmittente era pronta. Era un apparecchio orribile, costruito per lo più con i pezzi di un apparecchio elettronico usato all’inizio dei lavori della catapulta. Ma poteva trasmettere e ricevere sulla frequenza desiderata ed era potente. Le versioni inacidite da Stu dei miei avvertimenti erano state registrate e Harry era pronto a lanciarle nell’etere a super-velocità: tutti i satelliti radio della Terra erano in grado di ricevere a velocità di sessanta a uno e non avevo nessuna intenzione di surriscaldare la nostra trasmittente per più secondi di quelli strettamente necessari. Le squadre di osservazione avevano confermato i miei timori: per lo meno due navi stavano orbitando intorno alla Luna.

Così avvertimmo la Grande Cina che le sue principali città costiere avrebbero ricevuto ciascuna un dono dalla Luna a una distanza di dieci chilometri nelle acque prospicienti: Pusan, Tsing Tao, Taipei, Shangai, Saigon, Bangkok, Singapore, Giacarta, Darwin, e così di seguito, con l’eccezione della vecchia Hong Kong, che si sarebbe presa una carezza proprio sulla cima della sede orientale delle Nazioni Federate; perciò si consigliava a tutti gli esseri umani di allontanarsi da Hong Kong. Stu aveva sottolineato che nel concetto di esseri umani non si comprendevano i funzionari delle Nazioni Federate, questi, anzi, erano invitati caldamente a rimanere alle loro scrivanie.

L’India ricevette un simile avvertimento per le sue città lungo la costa e le fu annunciato che il Quartier Generale mondiale delle Nazioni Federate sarebbe stato risparmiato per un’altra rotazione in segno di rispetto per gli storici monumenti di Agra e per permettere a tutti gli esseri umani di evacuare la zona.

A tutti gli abitanti del resto del mondo fu detto di rimanere ai loro posti: la partita continuava con i tempi supplementari. Nessuno però doveva avvicinarsi agli uffici delle Nazioni Federate, dovunque fossero dislocati. Ancora meglio, si suggeriva di abbandonare ogni città che ospitasse edifici delle Nazioni Federate (al solito i pezzi grossi delle Nazioni Federate erano pregati di non allontanarsi).

Trascorsi le successive venti ore insegnando a Junior come fare a perlustrare il cielo con i radar, quando le navi non erano sopra di noi. Quando potevo, riposavo qualche ora e Lenore stava con me e mi svegliava periodicamente. Passate le venti ore, i massi inviati da Mike erano tutti arrivati a segno. Lanciammo il primo proiettile di Junior dalla nuova catapulta con una traiettoria tesa e veloce. Aspettammo per essere certi che il tiro fosse andato in orbita, poi riferimmo alla Terra dove dovevano guardare per vederlo e dove dovevano aspettarselo, in modo che tutti sapessero che gli squilli di vittoria delle Nazioni Federate erano sullo stesso piano delle menzogne che da un secolo diffondevano sul conto della Luna. Il tutto condito dall’offensivo e altezzoso frasario di Stu.

Avremmo voluto destinare il primo colpo alla Grande Cina, ma per motivi balistici lanciammo il masso sulla Confederazione Nord Americana… esattamente sul suo più prezioso gioiello, le isole Hawaii. Junior lo fece cadere in mezzo al triangolo formato da Maui, Molokai, Lanai. Non ebbi bisogno di faticare per programmarlo, Mike aveva pensato a tutto.

Poi, uno dopo l’altro, sparammo altri dieci massi a brevi intervalli (fummo solo costretti a rinviare un lancio per la presenza di una nave nel nostro cielo) e informammo la Cina di quando e dove aspettarseli: sulle città costiere che avevamo nominato il giorno prima.

Erano rimasti solo dodici proiettili, ma decisi che era più sicuro rimanere senza munizioni che dare l’impressione di esserne a corto. Così ne indirizzai altri sette sulle città della costa indiana, scegliendo nuovi bersagli, e Stu si affrettò a chiedere con la massima dolcezza se Agra era stata evacuata. Se non avevano ancora provveduto, lo facessero immediatamente. (In realtà non avevamo in programma di bombardarla.)

All’Egitto fu consigliato di tenere sgombro il canale di Suez, ma era un altro bluff: volevo tenere di riserva gli ultimi cinque massi.

Poi aspettammo.

Colpimmo in pieno il bersaglio delle isole Hawaii. Un centro magnifico, visto sullo schermo, Mike poteva essere orgoglioso del suo discepolo.

Aspettammo ancora.

Trentasette minuti prima dell’inizio del bombardamento sulla costa cinese, la Grande Cina denunciò l’azione delle Nazioni Federate, riconobbe ufficialmente il nostro governo e si dichiarò pronta a trattare con noi. Mi slogai un dito schiacciando i pulsanti per deviare i tiri.

Con il dito che mi doleva, dovetti continuare a premere pulsanti: l’India cedette dopo pochi minuti.

Poi ci riconobbe l’Egitto e seguì una valanga di riconoscimenti e di offerte di trattative.

Stu informò la Terra che avevamo sospeso… solo sospeso, non cessato… i bombardamenti. Ora dovevano ritirare dal nostro cielo tutte le astronavi, immediatamente, poi avremmo accettato i negoziati. Se le navi non potevano fare ritorno alla Terra senza prima rifornirsi di carburante, potevano atterrare a non meno di cinquanta chilometri dalla più vicina grotta, poi aspettare fino a quando avessimo accettato la loro resa. Ma il cielo della Luna doveva essere sgombrato subito!

Fummo costretti a ritardare la trasmissione di questo ultimatum di qualche minuto, per lasciare scomparire dietro l’orizzonte una delle astronavi: non volevamo correre rischi… sarebbe bastato un missile e la Luna era finita.

Aspettammo.

La squadra inviata a riparare le linee tornò indietro. Erano quasi arrivati fino a Luna City e avevano trovato il guasto. Ma i lavori di riparazione erano impediti da migliaia di tonnellate di rocce e allora avevano fatto l’unica cosa possibile: erano tornati indietro fino al primo punto di uscita sulla superficie e avevano eretto una torre con antenna radio orientata verso Luna City, contemporaneamente sparando una dozzina di razzi a intervalli di dieci minuti. Speravano di essere visti e capiti e che qualcuno, a Luna City, rizzasse un’altra antenna per stabilire un ponte radio… Eravamo in comunicazione, ora?

No.

Aspettammo.

Gli osservatori in superficie comunicarono che una nave, passata regolarmente per diciannove volte consecutive, non era apparsa al ventesimo giro. Dieci minuti dopo ci informarono che anche la seconda nave non era riapparsa.