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Gray s’incamminò nella direzione opposta. Dovevano essere al sicuro per un paio d’ore. Guardò l’orologio. C’era tutto il tempo di arrivare all’aeroporto e Monk sarebbe atterrato di lì a poco.

Fiona zoppicava accanto a lui, dando un’occhiata indietro ogni tanto.

Alle loro spalle, l’anatroccolo starnazzava nella notte.

«Mi mancherà», disse la ragazza.

«Anche a me.»

Himalaya,

ore 04.35

Painter era in piedi accanto al camino. Si era alzato dopo l’annuncio della sua sentenza di morte.

La corpulenta guardia aveva fatto tre passi avanti, ma Anna l’aveva fermata con un cenno della mano. «Nein, Klaus. Alles ist ganz recht.»

Painter aspettò che la guardia, Klaus, ritornasse al suo posto, accanto alla porta. «Non c’è cura?»

«È la verità.»

«Allora perché Painter non manifesta la stessa follia dei monaci?» chiese Lisa.

Anna guardò Painter. «Lei si era allontanato dal monastero, ja? Era nel villaggio vicino. La sua esposizione è stata inferiore. Invece della degenerazione neurologica rapida, sta subendo un deterioramento fisico, più lento e generalizzato. Ma è pur sempre una sentenza di morte.» Anna doveva avergli letto qualcosa in volto. «Anche se non c’è cura, c’è la speranza di rallentare il deterioramento. Negli anni, facendo esperimenti sugli animali, abbiamo ideato alcuni modelli promettenti. Possiamo prolungarle la vita. O almeno avremmo potuto…»

«Che cosa intende?» chiese Lisa.

Anna si alzò. «È il motivo per cui vi ho fatto venire qui. Per mostrarvi una cosa.» Fece un cenno alla guardia, che aprì la porta. «Seguitemi. Forse troveremo un modo per aiutarci a vicenda.»

Painter porse una mano a Lisa, mentre Anna s’incamminava. Bruciava dalla curiosità. Intuiva sia una trappola sia un minimo di speranza.

Non ci poteva essere esca migliore.

Lisa si chinò verso di lui mentre si alzava. «Che succede?»

«Non ne sono certo.» Painter guardò Anna che parlava con Klaus.

Forse troveremo un modo per aiutarci a vicenda.

Painter si era proposto di dire la stessa cosa ad Anna e ne aveva anche parlato con Lisa qualche tempo prima: contrattare le loro vite per guadagnare tempo. Qualcuno li aveva ascoltati di nascosto con delle microspie? Oppure le cose erano peggiorate al punto che quella gente aveva bisogno della loro collaborazione?

Era preoccupato.

«Deve avere a che fare con quell’esplosione che abbiamo sentito», ipotizzò Lisa.

Painter annuì, però aveva bisogno di altre informazioni. Fino a quel momento aveva messo da parte le preoccupazioni per la sua salute… anche se era difficile, mentre un’altra emicrania cominciava a farsi sentire dietro gli occhi e nei molari posteriori, ricordandogli la malattia.

Anna fece cenno di raggiungerla e Klaus si mise da parte. Non sembrava contento. D’altronde, Painter non lo aveva ancora visto contento e, per qualche motivo, sperava che non succedesse mai. Qualsiasi cosa facesse felice quell’uomo probabilmente implicava urla e spargimenti di sangue.

«Se non vi spiace, seguitemi», disse Anna, con fredda cortesia, poi uscì dalla porta affiancata da due delle guardie rimaste fuori.

Klaus scortò Lisa e Painter, con gli altri due uomini armati al seguito.

Andarono in una direzione diversa rispetto alla loro confortevole cella. Dopo qualche svolta, nel cuore della montagna si estendeva un tunnel diritto, più largo di tutti gli altri. Era illuminato da una serie di lampadine elettriche, allineate in gabbiotti metallici lungo una parete. Era la prima traccia di modernità.

Painter notò l’odore di fumo nell’aria, sempre più intenso via via che procedevano. Rivolse nuovamente la sua attenzione ad Anna. «Quindi lei sa che cosa ha causato la mia malattia.»

«È stato l’incidente, come ho detto prima.»

«Un incidente che ha riguardato che cosa, esattamente?» incalzò lui.

«La risposta non è facile, risale a un momento storico molto lontano.»

«Al tempo in cui eravate nazisti?»

Anna lo guardò. «All’origine della vita su questo pianeta.»

«Davvero? Ma allora quanto è lunga questa storia? Ricordi che mi restano soltanto tre giorni.»

Lei gli sorrise e scosse la testa. «In tal caso, passerò immediatamente al momento in cui mio padre arrivò al Granitschloß, alla fine della guerra. Conosce quel periodo storico tumultuoso? Intendo il caos in Europa, dopo il crollo della Germania.»

«Una gara a chi si accaparrava di più.»

«E non soltanto la terra e le risorse della Germania, ma anche le nostre ricerche. Le forze alleate mandarono scienziati e soldati a razziare le campagne tedesche, in cerca di tecnologie segrete. Fu una… mischia.» Anna li guardò con un’espressione perplessa. «È la parola giusta?»

Entrambi annuirono.

«La sola Gran Bretagna mandò cinquemila persone, tra soldati e civili, col nome in codice di T-Force, Technology Force. Il loro obiettivo dichiarato era individuare le tecnologie tedesche e preservarle dal saccheggio e dalle razzie, ma in realtà il saccheggio e le razzie erano il loro vero obiettivo, in competizione con le controparti americane, francesi e russe. Sapete chi era il fondatore della T-Force britannica?»

Painter scosse la testa. Non poté fare a meno di confrontare la Sigma a quelle organizzazioni della seconda guerra mondiale. Saccheggiatori di tecnologie. Gli sarebbe piaciuto parlarne col fondatore della Sigma, Sean McKnight. Sempre che sopravvivesse così a lungo.

«Chi era il capo?» chiese Lisa.

«Un signore che rispondeva al nome di comandante Ian Fleming.»

Lisa emise uno sbuffo incredulo. «Lo scrittore che ha creato James Bond?»

«Proprio lui. Si dice che si sia ispirato ad alcuni membri della sua squadra per creare il suo personaggio. Ciò vi dà un’idea della brutalità e della noncurante esuberanza di quei ladri.»

«Il bottino di guerra va ai vincitori», commentò Painter, con un’alzata di spalle.

«Forse. Ma mio nonno aveva il dovere di proteggere quelle tecnologie. Era un funzionario del Sicherheitsdienst.» Lanciò un’occhiata a Painter, come per metterlo alla prova.

La partita non era ancora finita e lui raccolse la sfida. «Il Sicherheitsdienst era il commando delle SS impegnato nell’evacuazione dei tesori della Germania: oro, opere d’arte, antichità e tecnologie.»

La donna annuì. «Nei giorni conclusivi della guerra, mentre la Russia premeva sul fronte orientale, a mio nonno fu assegnata quella che voi americani chiamate una missione deep black, di massima segretezza. Riceveva ordini direttamente da Heinrich Himmler, prima che il Reichsführer fosse catturato e si suicidasse.»

«E che ordini aveva?»

«Rimuovere, proteggere e distruggere tutte le prove di un progetto dal nome in codice Chronos. Il cuore del progetto era un dispositivo che si chiamava semplicemente die Glocke, la Campana. Il laboratorio di ricerca era nascosto sottoterra, in una miniera abbandonata nei Sudeti. Lui non aveva idea di quale fosse lo scopo del progetto, ma lo avrebbe scoperto in seguito. All’epoca rischiò di distruggere la Campana, ma aveva degli ordini da eseguire.»

«Perciò fuggì con la Campana. Come?»

«Furono messi in atto due piani contemporanei: una fuga a nord, attraverso la Norvegia, e un’altra a sud, attraverso l’Adriatico. C’erano agenti pronti ad assisterlo lungo entrambi i tragitti. Mio nonno scelse di andare a nord. Himmler gli aveva parlato del Granitschloß. Si rifugiò qui con un gruppo di scienziati nazisti, alcuni dei quali avevano un passato nei campi di concentramento. Tutti avevano bisogno di un nascondiglio. In più, mio nonno li allettò con un progetto al quale pochi scienziati saprebbero resistere.»

«La Campana», concluse Painter.

«Esatto. Offriva qualcosa che molti scienziati all’epoca cercavano con mezzi diversi.»