James Rollins
L’ordine del sole nero
«L’evoluzione è la spina dorsale della biologia e la biologia si trova dunque nella peculiare condizione di essere una scienza fondata su una teoria migliorata; perciò è una scienza o una fede?»
«La scienza senza religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca.»
«Chi dice che io non sono sotto la speciale protezione di Dio?»
A David,
per tutte le avventure.
PROLOGO
1945
Città-fortezza di Breslavia, Polonia,
4 maggio, ore 06.22
Il corpo galleggiava nella melma che si riversava nelle fognature. Era il cadavere di un ragazzo, gonfio e rosicchiato dai topi, spogliato degli stivali, dei pantaloni e della camicia. Nella città sotto assedio, nulla andava sprecato.
Jakob Sporrenberg, Obergruppenführer delle SS, scostò il cadavere, rimescolando quel sudiciume. Interiora ed escrementi. Sangue e bile. Il fazzoletto bagnato che gli copriva il naso e la bocca poteva ben poco contro il fetore. A quello si era ridotta la grande guerra. I potenti costretti a strisciare nelle fogne per fuggire. D’altro canto, lui aveva ordini da eseguire.
Sopra di loro, i colpi dell’artiglieria russa martellavano la città. A ogni esplosione, lui sentiva l’onda d’urto comprimergli le budella. I russi avevano sfondato le porte della città e bombardato l’aeroporto. Intanto i carri armati continuavano a macinare le strade e gli aerei da trasporto atterravano sulla Kaiserstrasse. La via era stata trasformata in una pista grazie a file parallele di fusti di olio combustibile in fiamme, che aggiungevano altro fumo ai cieli già asfittici di quella mattina, tenendo a bada l’alba. Gli scontri imperversavano in tutte le strade e in tutte le case, dalle soffitte alle cantine.
Fare di ogni casa una fortezza. Era l’ultimo ordine impartito alle masse dal Gauleiter Hanke. La città doveva resistere il più a lungo possibile. Il futuro del Terzo Reich dipendeva da quello.
E da Jakob Sporrenberg.
«Mach schnell», disse lui, esortando gli uomini alle sue spalle.
Era il suo reparto del Sicherheitsdienst, denominato Commando Speciale di Evacuazione. Quattordici uomini, immersi nella melma fino alle ginocchia: tutti armati, vestiti di nero e oberati da pesanti carichi. In mezzo al gruppo, quattro degli uomini più massicci, ex scaricatori di porto del mare del Nord, portavano in spalla lunghi bastoni sui quali erano poggiate casse enormi.
Se i russi avevano attaccato quella città isolata nel bel mezzo dei Sudeti, tra la Germania e la Polonia, un motivo c’era. Le fortificazioni di Breslavia difendevano l’accesso alle montagne circostanti. Nei due anni precedenti, i detenuti del campo di concentramento di Gross-Rosen erano stati costretti a scavare la sommità di un monte vicino: cento chilometri di gallerie, aperte a forza di esplosioni e picconate, il tutto al servizio di un progetto segreto, da tenere nascosto agli occhi indiscreti degli Alleati.
Der Riese. Il Gigante.
Eppure si era sparsa la voce. Forse un abitante del villaggio nei pressi della miniera di Wenceslas aveva spifferato qualcosa sulla malattia, sull’improvviso malessere che colpiva anche chi era ben distante dal complesso.
Se soltanto avessero avuto più tempo per completare la ricerca… Però Jakob Sporrenberg sentiva una certa resistenza dentro di sé. Non era al corrente di tutte le implicazioni del progetto segreto; in effetti ne conosceva soltanto il nome in codice: Chronos. Ma era già abbastanza. Aveva visto i corpi utilizzati negli esperimenti, aveva sentito le urla.
Abominio. Quella era l’unica parola che gli era venuta in mente. Gli si era gelato il sangue. Non aveva avuto difficoltà a eliminare gli scienziati, sessantadue tra uomini e donne. Portati all’aperto, si erano presi due colpi in testa per ciascuno. Nessuno doveva sapere che cosa era accaduto negli abissi della miniera di Wenceslas, né i risultati degli esperimenti. Soltanto una ricercatrice era stata risparmiata. Frau Doktorin Tola Hirszfeld. Jakob la sentiva avanzare nella melma, coi polsi legati dietro la schiena, quasi trascinata da uno dei suoi uomini. Era alta, per essere una donna. Tra i venticinque e i trent’anni, aveva il seno piccolo, la vita ampia, un bel paio di gambe, una chioma nera fluente e la pelle bianca come il latte per i mesi trascorsi sottoterra. Avrebbero dovuto ucciderla assieme agli altri, ma suo padre, l’Oberarbeitsleiter Hugo Hirszfeld, supervisore del progetto, alla fine aveva rivelato quanto fosse corrotto il suo sangue, le sue origini per metà ebree. Aveva tentato di distruggere i documenti delle sue ricerche, ma una delle guardie gli aveva sparato, uccidendolo prima che riuscisse a far esplodere l’ufficio sotterraneo con una bomba incendiaria. Fortunatamente per sua figlia, c’era bisogno di qualcuno che conoscesse bene die Glocke e proseguisse il lavoro. La giovane era un genio come il padre e ne conosceva le ricerche meglio di qualunque altro scienziato. Però bisognava blandirla. Ogni volta che Jakob la guardava, lei lo ricambiava con uno sguardo infuocato. L’odio della donna era palpabile, come il calore di un forno aperto. Ma avrebbe collaborato, proprio come suo padre prima di lei.
Jakob sapeva come trattare gli Juden, soprattutto quelli di sangue misto, i Mischlinge. Erano i peggiori. Ebrei a metà. Ce n’erano circa centomila che prestavano servizio militare per il Reich. Soldati ebrei. Deroghe eccezionali alle leggi razziali consentivano ai mezzosangue di prestare comunque servizio e avere così risparmiata la vita. Occorreva una dispensa speciale, ma quei Mischlinge solitamente si rivelavano soldati di grande ferocia, dovendo provare la loro fedeltà al Reich a dispetto della loro razza.
Comunque Jakob non si era mai davvero fidato di loro. E il padre di Tola aveva confermato la validità dei suoi sospetti. Il tentativo di sabotaggio messo in atto dal medico non aveva sorpreso Jakob. Gli Juden non erano degni di fiducia; erano degni soltanto di essere sterminati. La dispensa di Hugo Hirszfeld, però, era firmata dal Führer in persona e non solo risparmiava la vita a lui e alla figlia, ma anche a una coppia di anziani genitori, che vivevano da qualche parte nella Germania centrale. Anche se non si fidava dei Mischlinge, Jakob riponeva la massima fiducia nel Führer. Aveva ordini di una precisione letterale: evacuare dalla miniera le risorse necessarie per proseguire il lavoro e distruggere il resto. Ciò significava risparmiare la donna. E il bambino.
Il neonato era un fagotto di fasce, un bambino ebreo che non aveva più di un mese. Gli era stato somministrato un leggero sedativo, per farlo star quieto durante la fuga.
In quel bambino ardeva il cuore dell’abominio, la vera fonte della repulsione di Jakob. Tutte le speranze del Terzo Reich erano riposte in quelle manine: un neonato ebreo. Il solo pensiero gli faceva salire la bile. Sarebbe stato meglio impalare il bambino su una baionetta. Ma Jakob aveva degli ordini da eseguire. Inoltre aveva notato come Tola guardava il piccolo. Le brillava negli occhi un misto di ardore e di angoscia. Oltre ad assistere il padre nelle ricerche, Tola aveva fatto da madre adottiva al bambino, cullandolo e nutrendolo. Quel bimbo era l’unico motivo per cui la donna era disposta a collaborare. Proprio minacciando la vita del piccolo, Jakob era riuscito a piegare Tola alle sue richieste.