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I cambiamenti sarebbero stati lenti.

Il posto di lavoro di Khamisi era un piccolo passo, una porta che lui voleva tenere aperta per la generazione successiva. Perciò mantenne la calma. «Sono sicuro che quando gli investigatori esamineranno il sito giustificheranno la mia linea di condotta.»

«Ah, davvero, signor Taylor? Ho mandato una dozzina di uomini, un’ora dopo che l’elicottero di soccorso l’aveva trovata a sguazzare nel fango, dopo la mezzanotte. Hanno fatto rapporto quindici minuti fa. Hanno trovato la carcassa del rinoceronte, ridotta quasi a uno scheletro da sciacalli e iene. Neanche una traccia del cucciolo che lei ha citato. E, soprattutto, neanche una traccia della dottoressa Fairfield.»

Khamisi scosse la testa, cercando una via d’uscita da quelle accuse. Ripensò alla lunga veglia nello stagno. Il giorno sembrava non finire mai, ma la notte era stata anche peggio. Dopo il tramonto, Khamisi si era aspettato di essere attaccato. Invece aveva sentito l’uggiolio delle iene e i latrati degli sciacalli che si riversavano nella valle, accompagnati da ringhi e guaiti dei vari spazzini che si contendevano i resti.

La presenza dei saprofagi aveva quasi indotto Khamisi a pensare di raggiungere la Jeep senza troppi rischi. Se erano ritornati le solite iene e i soliti sciacalli, forse l’ukufa se n’era andato.

Ma poi Khamisi non si era mosso.

Aveva ancora fresca nella memoria l’imboscata che aveva colto di sorpresa la dottoressa Fairfield.

«Sicuramente c’erano altre tracce», disse al sovrintendente.

«C’erano.»

Khamisi s’illuminò. Se c’era una prova…

«Erano tracce di leonesse», proseguì Kellog. «Due femmine adulte, proprio come dicevo prima.»

«Leonesse?»

«Sì. Credo che abbiamo qualche fotografia di quelle strane creature, da qualche parte. Forse è meglio che se le studi, così in futuro le saprà identificare. Con tutto il tempo libero che avrà…»

«Signore?»

«Lei è sospeso.»

Khamisi non poté nascondere lo stupore. Sapeva che se fosse capitato a un altro guardacaccia — a un qualsiasi guardacaccia bianco — ci sarebbe stata maggiore indulgenza, maggiore fiducia. Ma non per uno che aveva la pelle della tribù. Sapeva che era inutile discutere, avrebbe soltanto peggiorato le cose.

«Senza retribuzione, signor Taylor. Finché non sarà completata un’indagine approfondita.»

Un’indagine approfondita. Khamisi sapeva come sarebbe andata a finire.

«E la polizia locale mi ha chiesto di riferirle che non deve lasciare la zona. Bisogna chiarire anche le eventuali responsabilità penali.»

Khamisi chiuse gli occhi. Anche se il sole stava sorgendo, l’incubo non voleva saperne di terminare.

Dieci minuti dopo, Gerald Kellog era ancora seduto alla sua scrivania, da solo. Si passò una mano sudata sulla testa, come se lustrasse una mela. Le labbra, serrate in un’espressione arcigna, si rifiutavano di distendersi. La notte era stata interminabile, aveva dovuto spegnere un incendio dopo l’altro; e c’erano ancora mille dettagli da gestire: parlare coi media, occuparsi della famiglia della biologa, compresa la compagna della dottoressa Fairfield.

Kellog scosse la testa pensando a quella questione. La dottoressa Paula Kane sarebbe stata l’osso più duro della giornata seguente. Sapeva che il rapporto tra le due donne non si limitava al lavoro di ricerca. Era stata Paula Kane a insistere per fare uscire l’elicottero, quella notte, quando la dottoressa Fairfield non era tornata dall’escursione.

Svegliato nel mezzo della notte, Kellog l’aveva invitata a mantenere la calma. A tirarlo giù dal letto fu l’informazione sul luogo in cui la dottoressa Fairfield si era diretta, assieme a uno dei suoi guardacaccia: il confine nordoccidentale del parco, non lontano dalla riserva privata dei Waalenberg.

Una ricerca in quei paraggi richiedeva la sua immediata supervisione.

Era stata una notte frenetica, che aveva richiesto interventi rapidi e coordinamento, ma era quasi finita.

C’era soltanto un ultimo dettaglio di cui occuparsi.

Kellog sollevò la cornetta e compose il numero privato. Aspettò di prendere la linea, picchiettando una penna su un taccuino.

«Riferisca», fu la risposta laconica a collegamento avvenuto.

«Ho appena concluso il colloquio.»

«E?»

«Non ha visto nulla… nulla di chiaro.»

«Che cosa significa?»

«Sostiene di avere intravisto qualcosa. Nulla che potesse identificare.»

Seguì un lungo silenzio.

Kellog diventò nervoso. «Il suo rapporto sarà modificato. Si è trattato di leonesse, sarà questa la conclusione. Ne abbatteremo qualcuna, tanto per andare sul sicuro, e la questione sarà chiusa tra un giorno o due. Nel frattempo l’ho sospeso.»

«Molto bene. Lei sa che cosa deve fare.»

Kellog protestò. «È stato sospeso, non oserà agitare le acque. L’ho spaventato per bene. Non penso…»

«Esatto, non pensi. Ha ricevuto i suoi ordini. Lo faccia sembrare un incidente.»

La linea fu interrotta.

La stanza era un forno, a dispetto del ronzio dell’aria condizionata e delle pigre rotazioni del ventilatore. Niente poteva davvero contrastare il calore cocente della savana, con l’avanzare della giornata.

Ma non era per la temperatura che la fronte di Kellog era imperlata di sudore.

Ha ricevuto i suoi ordini.

E sapeva bene che non era il caso di disobbedire.

Guardò il taccuino, sulla scrivania. Parlando al telefono aveva fatto qualche scarabocchio distrattamente, segno di quanto lo mettesse a disagio l’uomo all’altro capo della linea.

L'ordine del sole nero pic_9.jpg

Kellog si affrettò a cancellarlo con la penna, strappò il foglio e lo fece a brandelli. Nessuna prova. Mai. Era la regola. E lui aveva i suoi ordini.

Lo faccia sembrare un incidente.

In volo sulla Germania,

ore 04.50

«Atterreremo tra un’ora», disse Monk. «Forse dovresti provare a fare un altro sonnellino.»

Gray si stiracchiò. Il cupo ronzio del jet Challenger 600 l’aveva cullato sino a farlo addormentare, ma la sua mente ritornava agli eventi della giornata, cercando di ricomporre il puzzle. Aveva la Bibbia di Darwin aperta davanti a sé. «Come sta Fiona?»

Con un cenno del capo, Monk indicò il divano in fondo. Fiona era distesa, con una coperta addosso. «È crollata, finalmente. C’è voluto qualche analgesico per metterla fuori gioco. Quella ragazzina non chiude mai la bocca.»

Non aveva smesso di parlare da quando erano arrivati all’aeroporto di Copenhagen. Gray aveva avvertito Monk per telefono e lui aveva organizzato un’auto privata per portarli rapidamente e senza pericolo all’aeroplano che faceva rifornimento. Logan aveva risolto tutte le questioni diplomatiche e di visti.

Tuttavia Gray aveva ripreso a respirare regolarmente soltanto quando il Challenger si era staccato dal suolo e aveva preso quota.

«La sua ferita?»

Monk scrollò le spalle e sprofondò nella poltrona di fronte. «Un graffio. Okay, un graffio brutto e profondo. Le farà un male cane nei prossimi giorni. Ma, con un po’ di antisettico, un cicatrizzante liquido e un buon bendaggio, sarà in gran forma entro un paio di giorni. Pronta per rapinare un altro po’ di gente.»

Monk si tastò la giacca, assicurandosi di avere ancora il portafogli.

«L’ha rubato soltanto per darti il buongiorno», disse Gray, celando un sorriso stanco. Grette Neal gliel’aveva spiegato il giorno prima. Dio, era passato soltanto un giorno?

Mentre Monk si occupava di Fiona, Gray aveva fatto rapporto a Logan. Il direttore ad interim non era felice di sentire le sue avventure dopo l’asta… un’asta alla quale gli era stato vietato di partecipare. Ma il danno era fatto. Per fortuna aveva ancora la chiave USB con le foto di tutti i partecipanti, compresa la coppia dai capelli biondo platino. Aveva inviato tutto quanto a Logan, faxandogli anche alcune pagine della Bibbia e dei suoi appunti. Gli aveva mandato inoltre il disegno del tatuaggio a forma di quadrifoglio che aveva visto sulla mano degli aggressori, di quella specie di squadriglia di sconosciuti assassini biondi.