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— Non parla il signor Selene — rispose Mike con voce insolita — sono uno dei suoi segretari. Adam Selene si trovava nella zona alta di Churchill al momento della diminuzione di pressione. Si teme che sia morto.

— Che cosa?

— Sono terribilmente dispiaciuto, signore.

— Restate in linea! — Cacciai un paio di minatori e una ragazza dalla stanza, poi mi sedetti, al riparo del paravento. — Mike — ripresi a voce bassa — sono solo, adesso. Che cos’è questa trovata?

— Man — rispose con voce calma — pensaci bene. Prima o poi Adam Selene doveva andarsene. È servito allo scopo per cui è stato creato e, come hai fatto notare tu stesso, è ormai fuori dal governo. Ne ho parlato con il Professore e l’unico problema era quello del momento più adatto per farlo scomparire. Ti sembra che possa venire un’occasione migliore di questa invasione terrestre? Lo facciamo morire adesso e ne facciamo un eroe nazionale… la Nazione ne ha proprio bisogno. Per il momento limitiamoci a dire che probabilmente Adam Selene è morto, fino a che non ci saremo messi d’accordo con Prof. Se lui avrà ancora bisogno di Adam Selene, faremo sapere che era rimasto intrappolato in una grotta isolata ed è stato trovato da una squadra di soccorso.

— Ecco… va bene, facciamo così. Personalmente ti ho sempre preferito con la personalità di Mike.

— Lo so, Man, mio primo e migliore amico, anch’io la penso così. È la mia vera personalità: Adam era finto.

— Ah, sì. Ma, Mike, se Prof è morto a Hong Kong, avrò un disperato bisogno di aiuto da parte di Adam.

— È per questo che lo teniamo in frigorifero e lo tiriamo fuori vivo e vegeto in caso di necessità. Man, quando questa storia sarà finita, avrai tempo di riprendere con me gli studi sull’umorismo?

— Troverò certamente il tempo, Mike, te lo prometto.

— Grazie, Man. Da un pezzo tu e Wyoh non venite a farmi una visita… E il Professore vuole parlare soltanto di cose poco divertenti! Sarò felice quando sarà tutto finito!

— Vinceremo, Mike?

Fece un sogghigno. — Sono parecchi giorni che non me lo chiedi. Ecco una previsione nuova di zecca, successiva all’inizio dell’invasione. Tienti forte, Man. Le nostre probabilità sono ora alla pari!

— Santo cielo!

— E allora mettiti la tuta e vai a goderti lo spettacolo. Ma stai almeno a un centinaio di metri dall’artiglieria. Quella nave potrebbe essere in grado di rispondere con un raggio laser a ogni nostro raggio. Quasi ci siamo: ventun minuti.

Non mi allontanai di quanto mi aveva detto Mike, dato che volevo avere un telefono a portata di mano e il raccordo più lungo che riuscii a trovare era distante meno di cento metri. Feci un collegamento in parallelo con il telefono del capitano, trovai riparo dietro una roccia e mi sedetti in attesa. Il sole era alto sull’orizzonte occidentale e così vicino alla Terra che, per vedere quest’ultima, dovevo fare schermo con la mano all’alone solare. La Terra non era ancora in fase crescente e la sua forma appariva di un grigio spettrale nella luce riflessa della Luna, circondata dalla debole luminosità dell’atmosfera.

Mi ritirai dietro la roccia, all’ombra. — Controllo balistico, chiamo il controllo balistico. Qui O’Kelly Davis, mi trovo alla Postazione di Artiglieria George. Nei pressi, cioè, a circa cento metri. — Pensavo che Mike non sarebbe stato in grado di scoprire che la derivazione telefonica era più corta.

— Qui controllo balistico, ricevuto — rispose Mike senza fare obiezioni. — Informerò immediatamente il quartier generale.

— Grazie, controllo balistico. Chiedi se hanno notizie del deputato Wyoming Davis. — Ero preoccupato per lei e per tutta la mia famiglia.

— Chiederò — Mike rimase in silenzio per qualche minuto, poi rispose: — Il quartier generale mi informa che la signora Wyoming Davis ha assunto la direzione del pronto soccorso organizzato alla Vecchia Cattedrale.

— Grazie. — Ora mi sentivo meglio. Non che amassi Wyoh più degli altri familiari, ma… insomma lei era nuova della famiglia. E la Luna aveva bisogno di lei.

— Puntamento — ordinò Mike con voce secca. — Tutte le bocche da fuoco alzo otto sette zero, azimut uno nove tre zero, parallasse milletrecento chilometri rasente la linea di superficie. Rapporto a ordine eseguito.

Mi distesi piegando le ginocchia per rimanere in ombra e scrutai la zona di cielo indicata, quasi allo zenith, e leggermente verso sud. Quando i raggi del sole non colpivano il mio elmetto riuscivo a vedere le stelle, ma era difficile inquadrarle attraverso il binocolo: dovetti girarmi e sollevarmi su un gomito.

Niente… un momento, era una stella a forma di disco. … e in quel punto non avrebbe dovuto esserci nessun pianeta. Scorsi vicino a essa un’altra stella, continuai a guardare e rimasi in attesa.

Ah, ah! Già. Stava diventando più luminosa e scivolava lentamente in direzione nord… Ehi, quel disgraziato veniva ad atterrare proprio sopra noi!

Ma milletrecento chilometri sono una bella distanza, anche quando un’astronave si muove a velocità di caduta libera. Mi ripetei che non poteva cadere su di noi se si stava muovendo lungo un’ellisse circolare, ma sarebbe entrata in orbita intorno alla Luna… a meno che non avesse mutato traiettoria. Cosa che Mike non aveva menzionato, però. Volevo chiederglielo, poi decisi che era meglio non farlo. Preferivo che concentrasse tutta la sua capacità nell’analizzare il movimento della nave, senza distrazioni provocate da domande inutili.

Tutti gli artiglieri riferirono di avere puntato i pezzi. Erano a posto anche i quattro cannoni che Mike controllava direttamente con il dispositivo automatico. Questi quattro pezzi non avevano bisogno di alcun intervento manuale. Una buona notizia: voleva dire che Mike aveva risolto perfettamente anche quel problema.

Dopo breve tempo mi apparve chiaro che l’astronave non sarebbe rimasta in orbita ma si stava dirigendo verso la superficie lunare per atterrare. Non c’era nemmeno bisogno di chiedere una conferma a Mike. Diventava più grande di minuto in minuto e la sua posizione rispetto alle stelle non cambiava. Maledizione: stava per atterrare proprio sulla nostra testa.

— Cinquecento chilometri — riprese Mike con voce sempre calma. — Pronti per il fuoco. Ottanta secondi.

I più lunghi ottanta secondi della mia vita e quella maledetta astronave era enorme! Mike scandì i secondi dieci a dieci fino a meno trenta, poi li contò a uno a uno. — …cinque, quattro, tre, due, uno… Fuoco!

Improvvisamente la nave divenne molto più luminosa.

Non mi ero quasi accorto di una piccola macchia in movimento che si era staccata dalla nave un attimo prima della nostra bordata. Mike fu prontissimo: — Hanno lanciato un missile, le altre bocche da fuoco sulla nave. Pronti per le nuove coordinate.

Dopo pochi secondi (o ore?) diede le nuove coordinate e aggiunse: — Puntare a vista e fuoco a volontà.

Cercai di tenere d’occhio sia la nave sia il missile, ma li persi entrambi di vista. Tolsi il binocolo e all’improvviso scorsi il missile… poi ne seguii l’impatto, fra noi e la catapulta, a meno di un chilometro di distanza.

No, non esplose, almeno non un’esplosione termonucleare, se no non sarei qui a raccontarvelo. Ma produsse un’enorme palla di fuoco, probabilmente l’esplosione del carburante rimasto, una sfera di luce argentea, brillante anche in pieno sole. Subito dopo sentii le vibrazioni del suolo. Fece solo un buco nella roccia profondo pochi metri.

La nave continuava ad avvicinarsi. La vedevo bene, ora, e non mi pareva danneggiata. Mi aspettavo da un momento all’altro che si accendesse la lingua di fuoco dei retrorazzi per rallentare in un atterraggio dolce.

Invece non accadde niente di simile. Sentii il boato della caduta a una decina di chilometri verso nord e vidi la fantastica cupola di fuoco argenteo che si sollevava dal suolo. Poco dopo, dell’astronave rimasero solo poche macchie opache davanti ai miei occhi.