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Come tutti i Lunari, non conserviamo i nostri morti, e sono davvero contento che abbiamo lasciato sulla Terra il barbarico costume di seppellirli. Il nostro sistema è migliore. Ma la famiglia Davis non immette ciò che rimane dopo la disintegrazione del cadavere nei canali di concimazione del grano. I resti finiscono nel nostro piccolo giardino dove si trasformano in rose, peonie e narcisi su cui si posano le api con sommesso ronzio. La tradizione familiare vuole che ci sia ancora, là sotto, Jack Davis il Nero, nostro capostipite, o, quanto meno, quegli atomi di lui che ancora restano dopo molti, molti, molti anni di fioritura ininterrotta.

È un luogo di felicità e di bellezza.

20

Venne venerdì, senza che le Nazioni Federate rispondessero ai nostri ultimatum.

Le notizie dalla Terra testimoniavano incredulità sul fatto che avessimo distrutto sette astronavi e due reggimenti (le Nazioni Federate non avevano, peraltro, nemmeno ammesso che ci fosse stata una battaglia) e la più assoluta convinzione che non saremmo riusciti a bombardare la Terra: continuavano a ripetere la battuta sul lancio dei chicchi di riso. La loro attenzione era dedicata quasi completamente al campionato mondiale di baseball.

Stu era preoccupato perché i suoi messaggi in codice inviati alla Terra non avevano ricevuto risposta. Li aveva inseriti nel traffico commerciale tra la LuNoHo e il suo rappresentante di Zurigo, per l’inoltro all’agente di cambio di fiducia di Stu, che stava a Parigi. Da qui, attraverso canali meno normali, avrebbero dovuto giungere al dottor Chan con il quale sia io sia Stu avevamo avuto contatti.

Stu aveva informato il dottor Chan che, siccome la Grande Cina non sarebbe stata bombardata subito, ma solo dodici ore dopo il Nord America, il bombardamento avrebbe potuto essere sospeso… se la Grande Cina si fosse mossa con la necessaria sollecitudine. Come alternativa, Stu aveva invitato il dottor Chan a suggerire eventuali modifiche agli obiettivi, se i luoghi da noi scelti non fossero stati deserti come avevamo ritenuto.

Stu era agitato. Riponeva grande speranza nella semi-cooperazione che aveva stabilito con il dottor Chan. Personalmente io non ero mai stato convinto. L’unica cosa su cui potevo giurare era che il dottor Chan non si sarebbe andato a mettere sul bersaglio. Ma non avrebbe alzato un dito, nemmeno per avvertire sua madre.

Tutte le armi d’attacco erano in mano alle Forze di Pace delle Nazioni Federate, ma le armi difensive erano proprietà di ogni singola nazione e potevano anche essere segrete. Si riteneva normalmente che l’India fosse sprovvista di missili anti-missili, mentre il Nord America doveva essere in grado di svolgere un buon lavoro di intercettazione. Se l’erano cavata molto bene nel fermare i missili intercontinentali a testata termonucleare durante la Terza Guerra Mondiale del secolo scorso. Delle grandi potenze queste due erano agli estremi. Le altre potevano avere o non avere un dispositivo efficiente di difesa.

Ma un conto è far esplodere un piccolo missile a testata nucleare, un altro distruggere un masso gigante. I loro missili d’intercettazione potevano al massimo deviare i nostri sassi, o così speravamo.

Per un secolo, il Comando della Difesa Spaziale Nord Americana era stato sepolto nel cuore di una montagna a sud di Colorado Springs, una cittadina famosa per questo solo fatto. Durante la guerra, la montagna era stata colpita duramente: il Comando della Difesa Spaziale era stato risparmiato, ma non altrettanto il ricco patrimonio zoologico e botanico, la città e la vetta della montagna stessa. Il bombardamento che stavamo per compiere sul Comando avrebbe colpito una zona ormai abbandonata e non avrebbe dovuto fare vittime, a meno che le truppe non fossero rimaste all’estremo della montagna.

Peraltro, il Comando della Difesa Spaziale Nord Americana avrebbe avuto un trattamento completo. Dodici massi alla prima rotazione della Terra, poi, quando il Nord America fosse stato di nuovo a tiro, alla successiva rotazione, un’altra bella scarica e un’altra ancora alla terza rotazione. E così di seguito fino a esaurimento degli involucri di acciaio per i nostri massi, oppure fino a che noi o la Confederazione Nord Americana fossimo stati costretti a cedere.

Non era un obiettivo per il quale un solo missile sarebbe bastato. Volevamo sbriciolarla, quella montagna, fino alla base se necessario, per abbattere il loro morale. Per far sapere che noi eravamo sempre lì, sopra le loro teste. Per isolarli dal resto della Terra. O almeno per fargli venire un mal di testa tale da fargli perdere il riposo. Se riuscivamo a dimostrare alla Terra che eravamo in grado di uscire vittoriosi da un attacco contro il suo più agguerrito centro di difesa spaziale, forse avremmo potuto evitare una dimostrazione su Manhattan o Miami.

Cosa che, in verità, non avremmo fatto nemmeno in caso di sconfitta. Se avessimo usato le nostre ultime energie per distruggere una delle principali città, non ci avrebbero punito: ci avrebbero sterminato. Come diceva Prof : se puoi, dà al nemico la possibilità di tenderti la mano e di diventarti amico.

E attaccando gli obiettivi militari stavamo alle regole del gioco.

Non credo che i Lunari abbiano dormito molto quel giovedì notte. Tutti sapevamo che il venerdì sarebbe stato il nostro grande giorno e sulla Terra sapevano (alla fine lo avevano ammesso anche i giornali) che il Controllo Spaziale aveva avvistato oggetti diretti verso la Terra, presumibilmente i chicchi di riso di cui i forzati ribelli della Luna si erano vantati.

Ma non parlavano ancora di guerra, per lo più davano assicurazione che la colonia della Luna non aveva la possibilità di costruire bombe acca… ma che tuttavia era prudente evitare le zone che quei criminali sostenevano di aver preso di mira.

Un radiotelescopio dell’osservatorio Richardson era stato collegato all’impianto televisivo in modo da poter trasmettere le immagini del bombardamento sul video; credo che i Lunari fossero tutti incollati davanti agli schermi, in casa, nelle birrerie, alla Vecchia Cattedrale… A eccezione di quei pochi che avevano preferito indossare la tuta a pressione e assistere allo spettacolo a occhio nudo dalla superficie. Su insistenza del Giudice-Generale di Brigata Brody installammo in tutta fretta un’antenna supplementare alla catapulta in modo che i suoi artiglieri potessero seguire il programma televisivo senza lasciare le loro postazioni; altrimenti, quel giorno non avremmo avuto un solo cannoniere al suo posto.

Il Parlamento tenne una seduta straordinaria al Nuovo Teatro Bolshoi, dove era inquadrata la Terra su un grande schermo. I pezzi grossi (Prof, Stu, Wolfgang e pochi altri) erano davanti al televisore installato nell’ex ufficio del Governatore. Ogni tanto anch’io mi univo a loro, poi uscivo, dentro e fuori continuamente, nervoso come una gatta, prendevo un panino e dimenticavo di mangiarlo. Non riuscivo a sopportare la presenza degli altri, così, alla fine, mi infilai la tuta e, trovato un cavo telefonico lungo abbastanza, salii in superficie. C’era un apparecchio telefonico di servizio nel capannone-deposito appena fuori dalla porta stagna. Agganciai la derivazione che mi ero portato e mi misi in comunicazione con Mike, poi, con la linea aperta, uscii in superficie, mi sistemai all’ombra del capannone e scrutai la Terra oltre la linea dell’orizzonte.

Splendeva in mezzo al cielo, verso ovest. Era una falce sottile, lunga e brillante. Il sole stava per tramontare sull’orizzonte ma la luce dei suoi raggi mi impediva di vedere la Terra distintamente. La maschera anti-sole non era sufficiente a proteggere gli occhi e dovetti spostarmi ancor più dietro il capannone per farmene schermo. L’alba stava raggiungendo le coste orientali dell’Africa: ora vedevo molto meglio. Ma la calotta del polo Sud era talmente accecante che non riuscivo a vedere in tutti i particolari il Nord America illuminato solo dalla luce lunare.