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Udii la voce di Mike dire: — Rapporto sulle vittime, sicura ai cannoni, poi scendere immediatamente.

— Cannone Alice, nessun ferito…

— Cannone Bambi, nessun ferito…

— Cannone Caesar, un uomo ferito da una scheggia, pressione all’interno della tuta mantenuta.

Scesi anch’io e chiamai Mike. — Che cosa è successo, Mike? Perché non ti hanno lasciato guidare la nave dopo che le hai fatto saltare gli occhi?

— Mi hanno ceduto la guida, Manuel.

— Troppo tardi, allora?

— L’ho fatta precipitare, Man. Mi è sembrato più prudente.

Un’ora dopo ero da Mike, la prima visita che gli facevo da quattro o cinque mesi. Era più facile raggiungere le centrali sotterranee che la grotta di Luna City e da lì avevo la possibilità di mettermi in contatto con chi volevo, altrettanto in fretta che in città e per di più senza interruzioni. Avevo estremo bisogno di fare una lunga chiacchierata con Mike.

Avevo cercato di parlare con Wyoh alla stazione metropolitana della catapulta. Ero riuscito a comunicare con qualcuno dell’ospedale improvvisato alla Vecchia Cattedrale e mi era stato riferito che Wyoh aveva avuto un collasso ed era stata ricoverata. Le avevano dato un sonnifero e si sarebbe svegliata solo l’indomani. Finn era andato a Churchill con un gruppo di fucilieri per distruggere l’astronave che era atterrata là. Di Stu nessuna notizia. Hong Kong e Prof erano ancora isolati. Per il momento, pareva che gli unici rimasti sulla breccia fossimo io e Mike.

Ed era il momento di dare il via all’Operazione Massi Giganti.

Non si trattava soltanto di lanciare sassi sulla Terra: bisognava anche far sapere alla Terra che cosa volevamo fare e perché, e far capire a tutti la giusta causa per cui ci battevamo. Prof, Stu, Sheehan e Adam avevano lavorato intensamente al piano e avevano redatto una comunicazione alla Terra sulla base di un presunto attacco. Ora l’attacco si era verificato effettivamente e bisognava modificare quel documento. Mike aveva già apportato le modifiche necessarie e me lo stampò in modo che potessi leggerlo.

Alzai gli occhi dalla lunga striscia di carta. — Mike, queste notizie e il messaggio per le Nazioni Federate danno per certo che abbiamo vinto anche a Hong Kong. Come sembri sicuro!

— Probabilità superiori all’ottantadue per cento.

Feci un profondo sospiro. — Metti in esecuzione l’Operazione Massi Giganti.

— Vuoi dare tu stesso l’ordine?

— No, continua a fare a modo tuo. Serviti della mia voce e della mia autorità di ministro della Difesa e facente funzione di capo del governo. Forza, Mike, lanciagli addosso i sassi! Che siano grossi, maledizione. Devi fargli male!

— D’accordo, Man!

19

Il massimo di forza deterrente con il minimo numero di vittime. Se possibile, nessuna vittima, così Prof aveva riassunto la strategia dell’Operazione Massi Giganti ed era proprio quello che Mike e io ci apprestavamo a fare. L’idea era di colpire quei vermi di Terrestri con tanta violenza da convincerli, ma allo stesso tempo colpirli in modo da fare il minimo danno. Sembra una contraddizione, ma aspettate.

Sarebbe passato un certo periodo di tempo prima che i sassi lanciati dalla Luna giungessero sulla Terra: da un minimo di dieci ore a un massimo di quanto volevamo noi. La velocità di partenza da una catapulta è molto critica e una variazione dell’ordine dell’uno per cento è sufficiente a raddoppiare o dimezzare il tempo del percorso Luna-Terra. Mike poteva fare un lavoro molto preciso. Per lui era come lanciare una palla da baseball. Poteva imprimere una traiettoria lenta, con molte curve, oppure una traiettoria tesa, diritta contro il battitore: magari avesse fatto il lanciatore per gli Yankees! Ma comunque lanciasse i massi, la velocità finale dei nostri proiettili sarebbe stata vicinissima alla velocità di fuga della Terra, così vicina a undici chilometri al secondo da non notare differenza.

Mike era in grado di fare entrare in orbita intorno alla Terra i suoi missili e farli cadere su un bersaglio posto nella faccia a lui nascosta; ovviamente, però, potendo vedere il bersaglio sarebbe stato molto più preciso, avrebbe potuto controllare con il radar il masso negli ultimi istanti di caduta, dandogli magari una correzione di rotta per colpire l’obiettivo proprio nel centro.

L’estrema esattezza che Mike ci garantiva era un elemento essenziale per raggiungere il nostro scopo: informare i nostri bersagli dicendo loro esattamente quando e dove li avremmo colpiti, e concedere loro tre giorni di tempo per evacuare la zona minacciata.

Il nostro primo messaggio alla Terra, alle due della notte del 12 ottobre 2076, sette ore dopo l’inizio dell’invasione, non solo annunciava la distruzione delle forze d’assalto terrestri, denunciando la brutalità dell’azione, ma prometteva bombardamenti di rappresaglia, precisando tempi e luoghi e dando a ogni nazione minacciata una scadenza entro la quale poteva denunciare la politica delle Nazioni Federate, riconoscere lo Stato della Luna ed evitare così di essere bombardata. Il periodo di tempo concesso scadeva ventiquattro ore prima del bombardamento.

Era più di quanto avesse bisogno Mike. Ventiquattro ore prima dell’impatto, il masso diretto su un bersaglio terrestre sarebbe stato ancora nello spazio, a grande distanza dalla mèta, con i razzi per la correzione di traiettoria ancora inutilizzati e quindi con tutto il tempo e i mezzi per deviare dalla rotta. Mike avrebbe potuto addirittura evitare di colpire la Terra, immettendo i massi in orbita permanente intorno al pianeta, anche con preavviso molto inferiore a ventiquattro ore. Ma gli bastava anche un’ora sola, nella maggioranza dei casi, per far precipitare il proiettile nell’oceano.

Il nostro primo obiettivo era la Confederazione Nord Americana.

Avremmo colpito successivamente tutte le grandi potenze delle Nazioni Federate, le sette che avevano diritto di voto alla Grande Assemblea: oltre alla Confederazione Nord Americana, la Grande Cina, l’India, l’Unione Sovietica, la PanAfrica (a eccezione del Ciad), la Mitteleuropa e l’Unione Brasiliana. Avevamo scelto località da colpire anche nei paesi minori e avevamo fornito i relativi tempi di caduta, precisando però che soltanto il venti per cento di questi obiettivi sarebbe stato colpito: in parte per mancanza di acciaio, ma anche perché contavamo molto sulla paura. Se nel primo giro fosse stato colpito il Belgio, ad esempio, l’Olanda avrebbe potuto decidere di trattare con noi prima che la Luna ripassasse sopra il cielo.

Gli obiettivi erano stati tutti scelti in modo da evitare, per quanto possibile, di fare vittime. Fu piuttosto difficile nel caso della Mitteleuropa. I nostri bersagli dovevano essere l’acqua o le alte montagne, Adriatico, Mare del Nord, Baltico, eccetera. Ma in genere la Terra presenta anche vaste zone desertiche, nonostante i suoi undici miliardi di prolifici abitanti.

Il Nord America mi era sempre parso orribilmente affollato, ma il miliardo di cittadini è ammassato in pochi centri e numerosi sono i deserti, le distese aride, le montagne disabitate. Mike riteneva che un errore di cinquanta metri sul bersaglio previsto fosse perdonabile. Avevamo esaminato le mappe e Mike aveva controllato con il radar tutti i punti di coordinate intere, per esempio 150° ovest e 50° nord. Se il punto prescelto era deserto, lo includevamo nei nostri obiettivi, tanto più se la vicinanza a un luogo abitato garantiva la presenza di spettatori da terrorizzare.

Avvertimmo che le nostre bombe avrebbero avuto la potenza distruttiva di un piccolo ordigno termonucleare, ma spiegammo chiaramente che non vi sarebbe stato alcun pericolo di radiazioni atomiche, solo una terribile esplosione, seguita dall’onda d’urto e dallo spostamento d’aria. Precisammo che gli effetti secondari avrebbero potuto distruggere zone anche distanti dal centro dell’esplosione e che lasciavamo al giudizio dei Terrestri di stabilire la distanza di sicurezza. Se si riversavano tutti nelle strade bloccando il traffico per fuggire la propria paura invece che il vero pericolo… be’, peggio per loro.