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Anche gli invasori si batterono con coraggio. Queste truppe non solo erano truppe d’assalto, rotte a ogni astuzia, le migliori forze di pace che le Nazioni Federate avessero a disposizione, ma erano state sottoposte a indottrinamento e infine drogate. Scopo dell’indottrinamento era quello di far capire che l’unica loro speranza di tornare sulla Terra era di conquistare e pacificare le grotte. In caso di successo era stato promesso loro il ritorno immediato e l’esonero da ogni altro incarico sulla Luna. Ma si trattava di vincere o di morire, perché le navi, in caso di sconfitta, non sarebbero potute ripartire, dato che dovevano venir rifornite di massa reattiva, cosa impossibile a farsi senza aver conquistato la Luna (il che era vero).

Poi li avevano riempiti di stimolanti, di droghe che eliminano la paura e che avrebbero dato a un topo il coraggio di sputare negli occhi di un gatto; combatterono con grande entusiasmo, e senza paura… Morirono tutti.

A Tycho Under e a Churchill i Terrestri usarono il gas, e le perdite dalla nostra parte furono maggiori. Rimasero in piedi solo i Lunari che erano riusciti a mettersi in tempo le tute a pressione. Comunque, sia pure in un tempo maggiore, l’esito della lotta fu identico. Per fortuna non erano gas mortali, dato che l’Ente non aveva intenzione di sterminarci: voleva solo impartirci una lezione, ristabilire il potere e farci tornare al lavoro.

La ragione del lungo ritardo e dell’apparente indecisione delle Nazioni Federate era sorta dalla necessità di un attacco a sorpresa. L’attacco era stato deciso subito dopo il nostro embargo (così ci riferirono gli ufficiali catturati); utilizzarono l’intervallo di tempo per meglio preparare l’invasione: una lunga orbita ellittica per le astronavi, poi inversione di rotta e raduno dal lato opposto della Luna. Per questo Mike non era riuscito a vederli in tempo: da quella parte è cieco. Continuava a scandagliare il cielo con i radar balistici, ma non c’è radar capace di vedere al di sotto della linea dell’orizzonte.

Così ci avevano colto di sorpresa, senza tute a pressione e senza armi. Senza che noi lo sospettassimo, alle diciannove, ora di Greenwich, le forze di assalto delle Nazioni Federate erano sbarcate sulla Luna.

Ma per quanto i soldati invasori fossero stati sconfitti e uccisi fino all’ultimo uomo, c’erano ancora sei navi sulla superficie e l’ammiraglia che incrociava nel nostro cielo.

Finita la battaglia di Bon Marché mi ripresi e andai in cerca di un telefono. Non sapevo niente di Hong Kong e temevo per Prof. A Johnson City e Novylen avevano vinto. L’astronave scesa su Novylen si era rovesciata nell’atterrare, causando numerose vittime fra gli invasori, e i ragazzi di Finn si erano ormai impossessati della nave danneggiata. A Churchill e Tycho Under si continuava a combattere. Nelle altre grotte, tutto tranquillo. Mike aveva bloccato la Metropolitana e aveva interrotto ogni comunicazione telefonica ufficiale. Nella zona superiore di Churchill c’era una riduzione di pressione atmosferica e il guasto non era ancora stato riparato. Finn era rientrato alla base ed era raggiungibile per telefono.

Gli comunicai il punto di atterraggio dell’astronave di Luna City e gli diedi appuntamento alla porta stagna numero tredici.

Anche Finn si era trovato nelle mie stesse condizioni, colto di sorpresa, ma per lo meno lui indossava la tuta a pressione. Non era riuscito a mettersi in contatto con i corpi d’artiglieria per tutta la durata della battaglia e anche lui si era trovato a combattere isolato come me, nel massacro che c’era stato alla Vecchia Cattedrale. Stava cominciando ora a raggiungere i suoi uomini, e un ufficiale lo sostituiva al quartier generale di Bon Marché. Era riuscito a mettersi in contatto con il vicecomandante di Novylen, ma era preoccupato per la situazione a Hong Kong Luna… — Mannie, devo mandare degli uomini laggiù con la Metropolitana?

Gli dissi di aspettare. Gli invasori non potevano servirsi della Metropolitana per sferrare un nuovo attacco, nel caso che avessero vinto a Hong Kong, perché le fonti di energia per farla funzionare erano nelle nostre mani; d’altra parte, dubitavo molto che l’astronave atterrata a Hong Kong fosse in grado di sollevarsi e di attaccarci dall’alto. — Occupiamoci invece di questa astronave — dissi.

Uscimmo dalla porta tredici, attraversammo le gallerie coltivate di un mio vicino che non voleva credere che eravamo stati invasi, e dalla sua porta di superficie spiammo la posizione dell’astronave, immobile a circa un chilometro di distanza. Aprimmo cautamente la porta stagna e salimmo in superficie, protetti dalle rocce. Spingendoci avanti il più possibile senza essere scoperti, osservammo attentamente la zona con i binocoli degli elmetti e tornammo indietro a consultarci.

— Penso che i miei uomini ce la faranno — mi assicurò Finn.

— In che modo?

— Se te lo dico, troverai subito mille ragioni per cui il mio piano potrebbe non funzionare. Perciò, perché non mi lasci agire a modo mio?

Conosco molti eserciti in cui non si ordina al Comandante di stare zitto. La parola d’ordine è disciplina. Ma noi eravamo dilettanti. Finn mi permise di seguirlo… disarmato.

Impiegò un’ora a organizzare il piano e due minuti a metterlo in esecuzione. Dispose una dozzina di uomini intorno all’astronave, nascosti dietro le porte di superficie delle fattorie. Anche Finn prese posizione, e quando fu sicuro che tutti gli uomini erano ai loro posti, lanciò un bengala.

Nell’istante in cui il bengala colpiva la nave, tutti fecero fuoco contemporaneamente, ciascuno su un’antenna radio o su un radar prefissati. Finn finì la sua riserva di energia, la sostituì con una carica e cominciò a dirigere il raggio laser contro lo scafo: non contro il portello, contro lo scafo. Improvvisamente il suo bersaglio, un piccolo cerchio di metallo arroventato, fu colpito da altri due uomini, poi da tre, poi da quattro. Tutti miravano alla medesima lastra d’acciaio che all’improvviso si sciolse lasciando uscire con un sibilo l’aria dall’astronave.

Il fuoco continuò finché non si produsse un buco di grosse proporzioni. Mi immaginai il panico all’interno dell’astronave: campanelli d’allarme che suonavano, marinai che correvano a chiudere le porte stagne, altri che cercavano di tappare quelle tre falle, dato che nel frattempo il resto della squadra di Finn, disposta in circolo intorno all’astronave, si era occupata di fondere altri due punti dello scafo. Non si tentò di bruciare altro. Si trattava di un’astronave costruita in orbita, con lo scafo pressurizzato separato dall’impianto di energia e dai serbatoi. I colpi furono concentrati sui punti convenienti.

L’elmetto di Finn si avvicinò al mio. — Non possono sollevarsi, ora, e nemmeno comunicare con l’esterno. Dubito che riusciranno a riparare le falle al punto da poter sopravvivere senza tute a pressione. Che ne dici di lasciarli stare per qualche giorno, poi tornare a vedere se sono capaci di venir fuori? Se non escono portiamo qui una perforatrice e li arrostiamo bene.

Stabilii che Finn sapeva il fatto suo anche senza il mio povero aiuto, quindi tornai indietro e chiesi a Mike una capsula per recarmi ai radar balistici. Volle sapere perché non me ne stavo al sicuro in casa.

Risposi: — Mike, ti prego, dammi una capsula. Mi metto una tuta e salgo a bordo fuori dalla stazione Ovest, che è in cattive condizioni, come certamente saprai.

— D’accordo — rispose — l’osso del collo è tuo. Fra tredici minuti. Potrai andare fino alla Stazione d’Artiglieria George.

Veramente gentile da parte sua. Quando giunsi a destinazione mi attaccai di nuovo al telefono. Finn aveva parlato con le altre grotte, rintracciato i suoi vicecomandanti, e aveva spiegato loro quale fosse il sistema più efficace per mettere fuori combattimento le astronavi atterrate. Tutte le grotte, meno Hong Kong: per quanto ne sapevamo noi, Hong Kong poteva essere nelle mani dei soldati dell’Ente. — Adam — dissi, usando il nome ufficiale a beneficio dei tre o quattro che si trovavano con me nella stanza — pensi che si debba mandare una squadra a riparare il centralino di controllo Bi-Elle?