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Il buffet era di classe, la musica vivace, e le bevande scorrevano secondo la migliore tradizione di Barrayar. Dopo il primo bicchiere del vino che Aral aveva fatto venire dalla cantina di suo padre Piotr, Cordelia si accostò a Koudelka e gli mormorò qualcosa sugli studi betani circa i deleteri effetti dell’etanolo sulle attività amatorie, dopodiché il giovanotto passò all’acqua minerale.

— Donna crudele — ridacchiò Aral, che aveva sentito.

— Per qualcuno la festa non finisce in questa sala — disse lei.

— Anche per qualcun altro, mia cara. Stanne certa.

La sposa presentò Cordelia ai Droushnakovi, e i quattro militari la guardarono con un rispetto che le fece quasi digrignare i denti. La sua mandibola si rilassò quando uno dei tre fratelli rimatori fu messo a tacere dal padre, dopo un’allitterazione spiritosa su «Milla» e le armi portatili. — Tappati la bocca, Jos — disse l’anziano sergente. — Tu non hai mai usato un distruttore neuronico in uno scontro a fuoco. — Drou sbatté le palpebre, poi sorrise, e quando il padre la prese fieramente a braccetto i suoi occhi brillavano.

Cordelia si appartò un momento a parlare con Bothari, che non vedeva da quando Aral aveva lasciato la casa di città del Conte Piotr.

— Come sta Elena? E la signora Hysopy, si è ripresa da tutto quello che ha dovuto passare?

— Stanno bene, milady, — disse Bothari, e riuscì a fare una specie di sorriso. — Ho visto la bambina cinque giorni fa, quando il Conte è tornato a Vorkosigan Surleau per i suoi cavalli. Elena, uh, cresce. Tutte le volte che la prendo in braccio sembra un po’ più pesante. Ma comincia a sgambettare dappertutto… — Si accigliò. — Spero che Carla Hysopi la sorvegli bene.

— Se ha saputo curarsi di lei durante il rapimento e la detenzione, poche altre cose la metterebbero in difficoltà. È stata coraggiosa. Dovrebbero metterla in lista per una delle medaglie che stanno assegnando a tutti quanti.

Bothari parve stupito. — Oh, quelle cose non significano niente per lei.

— Mmh. Le hai detto che deve telefonarmi appena ha bisogno di qualcosa, vero? In qualsiasi momento.

— Sì, milady. Ma per adesso va tutto bene. — Raddrizzò le spalle, fiero della sua autosufficienza. — In inverno, giù a Vorkosigan Surleau c’è una gran quiete. Si respira aria buona. È un posto sano per i bambini. — Non come quello in cui sono cresciuto io, sembrò a Cordelia di sentirgli aggiungere. — Voglio dire, Elena deve avere tutto quello che le serve per crescere bene. Anche un padre.

— E tu? Come va?

— Bene, dicono i dottori. Mmh. Almeno, la nuova medicina che mi danno non mi riempie la testa di nebbia. E di notte dormo. A parte questo, non so che razza di terapia mi stiano facendo. Chiacchiere e poi ancora chiacchiere.

Un effetto probabilmente c’era. Bothari sembrava più calmo, quasi del tutto libero da quei momenti in cui aveva una luce sinistra nello sguardo. Anche se era sempre il primo ad adocchiare il buffet e a chiedere: «C’è l’ordine di bere tutta quella roba?»

Gregor, in pigiama, stava scivolando dietro i tavoli coperti di specialità culinarie, con l’evidente intenzione di restare invisibile almeno per il tempo di arraffare e ingoiare un certo numero paste alla crema. Fu Cordelia ad accorgersi di lui, prima che fosse catturato dalle forze della Sicurezza partite alla sua ricerca. L’ansimante cameriera e la terrorizzata guardia del corpo che si supponeva dovessero sostituire Drou erano già sulla soglia del salone, e si guardavano attorno con ansia disperata. Pochi istanti dopo i due furono raggiunti da Simon Illyan, teso e allarmato. Il Capo della Sicurezza parlò in una radio da polso, e Cordelia, girando dietro i tavoli, capì che ovviamente temeva il peggio. Gregor avvistò la truppa di adulti sovreccitati che gli davano la caccia e si nascose subito dietro la sua larga gonna bianca e blu. Ma quando lei si mosse verso la porta fu costretto a seguirla.

Drou, che aveva visto Illyan usare il comunicatore, si fece pallida e attraversò la sala di corsa. — Cos’è successo?

— Scappato? Come ha fatto a scappare? — stava chiedendo Illyan alla cameriera. Lei balbettò qualcosa di inudibile tipo: «Credevo che dormisse… Ho chiuso gli occhi appena un momento…»

— Non è scappato, - buttò lì seccamente Cordelia. — È casa sua. Dovrebbe essere libero di muoversi almeno entro queste mura. Se no, perché diavolo tenete tutte quelle guardie armate all’esterno? — Si volse a mezzo, con gran delusione del bambino lo espose agli sguardi dei suoi inseguitori. Ci furono esclamazioni e sospiri di sollievo. Gregor si guardò attorno disperatamente, in cerca di un’autorità superiore a quella di Illyan.

— Droushie, posso restare anch’io alla tua festa? — supplicò.

Droushnakovi guardò Illyan, che aveva l’aria di soppesare tutti i motivi, e solo quelli, per cui la cosa era sconsigliabile. Prima che li enumerasse, Cordelia ruppe gli indugi: — Sì, caro. Certo che puoi.

Così, sotto la responsabilità e la supervisione di Cordelia, il piccolo Imperatore ballò con la sposa, mangiò tre paste alla crema, salì sul palco degli orchestrali per battere su un tamburo con una bacchetta, e infine dichiarò di avere sonno e fu portato via sereno e soddisfatto. Tutto ciò che il povero bambino voleva era svagarsi per un quarto d’ora.

La festa andò avanti. — Mi concede un ballo, milady? — disse la voce di Aral accanto a Cordelia.

Poteva osare? L’orchestra stava suonando uno Specchio-a-Specchio, un ballo da giovani che richiedeva molta rapidità nell’imitare le improvvisazioni del partner. Annuì, incerta. Aral vuotò il bicchiere e la condusse in pista. Un passo di qua, uno di là, mosse delle braccia e delle gambe, concentrazione. Cordelia fece un’interessante scoperta: ciascuno dei due poteva condurre e, se erano entrambi svelti e attenti, chi li guardava non poteva scoprire la verità. Tentò di adattare a quel ritmo alcuni passi di un ballo più lento, che conosceva meglio, e lui la seguì senza fatica. Si alternarono a condurre e il gioco assorbì tutta la sua attenzione, finché d’un tratto si accorse che era accaldata e aveva il fiato corto, e che da qualche minuto lei e Aral stavano ridendo come due ragazzini.

L’ultima neve dell’inverno si stava trasformando in fanghiglia sulle strade di Vorbarr Sultana, quando Vaagen chiamò Cordelia dall’Ospedale Militare Imperiale.

— È il momento, milady. Io ho fatto tutto il possibile in vitro. Ma la placenta ha ormai dieci mesi e comincia a deteriorarsi. Potremmo rimediare con vari espedienti, però è sconsigliabile.

— Allora, quando?

— Domani andrebbe bene.

Quella notte lei riuscì appena a dormire. Il mattino dopo andarono tutti all’OMI: Aral, Cordelia, e il Conte Piotr scortato da Bothari. Lei non era affatto sicura di desiderare la presenza del suocero, ma c’erano delle convenienze da rispettare, finché il vecchio non le avesse fatto la cortesia di passare a miglior vita. Forse un altro appello alla ragione o una migliore presentazione dei fatti avrebbe ottenuto qualcosa. Il loro antagonismo addolorava Aral; ma il primo passo per tentare di risolverlo spettava a Piotr, non a lei. Fai pure del tuo peggio, vecchio. Non hai alcun futuro, fuorché quello che passa attraverso me e mio figlio. Sarà lui ad accendere la tua pira funebre. Fu lieta, comunque, di rivedere Bothari.

Il nuovo laboratorio di Vaagen occupava l’intero pianterreno del più moderno edificio del complesso. Cordelia aveva accelerato il suo trasferimento dal vecchio laboratorio a causa dei fantasmi, da quando un giorno, dopo il loro rientro a Vorbarr Sultana era entrata là trovandolo quasi paralizzato e incapace di lavorare. Ogni volta che entrava in quel posto, le aveva confidato lui, la cruenta scena dell’assassinio di Henry tornava a svolgersi nella sua memoria. Non riusciva neanche a mettere i piedi nel punto in cui il collega era caduto: era costretto a girarci intorno. E ogni rumore improvviso gli faceva venire la pelle d’oca. «Ma io sono un uomo di scienza» aveva detto con energia. «Questi controsensi superstiziosi non significano niente per me.» Così Cordelia aveva bruciato un’offerta allo spirito di Henry nel vecchio laboratorio; poi una donazione di Aral aveva convinto l’OMI a riassegnare quei locali al Reparto Patologia, e Vaagen era stato «sfrattato».