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Per tutto il pomeriggio viaggiarono su strade secondarie verso il distretto neutrale di Vorinnis. Erano appena giunti a Nuova Kypros quando la vecchia auto cominciò a sferragliare e si fermò. La abbandonarono, raggiunsero a piedi la stazione e proseguirono in monorotaia. Cordelia aveva trovato una scatola di cartone in cui mettere il simulatore; le luci erano ancora tutte verdi, ma il suo cervello ticchettava all’unisono con l’orologio del display. Alle quattro di notte si presentarono alla prima installazione militare nella zona oltre il confine controllato dalle truppe amiche, un deposito di carburante per veicoli corazzati da superficie. Drou dovette discutere dieci minuti con l’ufficiale del turno di notte per convincerlo a: 1) lasciarli entrare, 2) identificarli, 3) usare la radio sulla banda codificata per chiamare la Base Tanery e chiedere un mezzo di trasporto. A questo punto l’ufficiale diventò molto più solerte, e insisté per accendere personalmente il distributore del caffè. Una navetta suborbitale arrivò a gran velocità meno di mezzora dopo, e li prese a bordo.

All’alba, mentre si avvicinavano in volo alla Base Tanery, Cordelia fu assalita da una spiacevole sensazione di freddo. La scena era così simile a quella del suo primo arrivo dalle montagne che le parve, storditamente, d’essere intrappolata in un circolo chiuso. C’erano cose, su Barrayar, da cui non si sarebbe liberata mai, e lasciarsi un evento alle spalle significava solo trovarsene davanti altri ancora, forse perfino peggiori. Stava tremando.

Droushnakovi non sembrava di umore migliore. Bothari sonnecchiava nel compartimento passeggeri della navetta. I due uomini della Sicurezza mandati da Illyan, agli occhi di Cordelia identici a quelli di Vordarian contro cui si era battuta, stavano zitti e non osavano chiedere cosa ci fosse nella grossa scatola di cartone che lei si teneva sulle ginocchia. La borsa di plastica gialla era poggiata sul pavimento, stretta fra le sue caviglie. Irrazionalmente sentiva il bisogno di non perdere di vista nessuno dei due oggetti, anche se Drou sarebbe stata molto meglio se avesse potuto chiudere la borsa nel bagagliaio.

La navetta atterrò dolcemente sulla pista bagnata di pioggia, e il ronzio dei motori antigravità si spense.

— Voglio qui il capitano Vaagen, e lo voglio subito - ripeté Cordelia per la quinta volta, mentre gli uomini della Sicurezza li scortavano negli uffici del corpo di guardia.

— Sì, milady. È già stato chiamato — le assicurò uno di loro, aprendole la porta. Lei lo guardò sospettosamente.

L’ufficiale di servizio chiese con rispettosa fermezza che Drou e Bothari consegnassero le loro armi. Cordelia non poteva biasimarlo; chiunque avrebbe giudicato poco rassicurante l’aspetto dei suoi due compagni in quel momento. Grazie ai rifornimenti di Ezar lei e Drou non erano vestite male, anche se non avevano trovato nulla per sostituire la tuta nera di Bothari, ma avevano gli occhi arrossati e la tensione dipinta sulla faccia. Bothari continuava a sbattere le palpebre con aria stranita, e ogni tanto lo sguardo di Drou sembrava svuotarsi di vita, come se la scarica d’energia che aveva ucciso Kareen avesse mandato in corto circuito qualcosa anche dentro di lei.

Dopo un’interminabile attesa — cinque o sei minuti, si costrinse ad ammettere Cordelia — il capitano Vaagen arrivò, accompagnato da un tecnico. Indossava un’uniforme impeccabile e il suo passo era di nuovo rapido, il suo aspetto efficiente. Delle sue ferite restava soltanto un occhio nero e un cerotto su una guancia, che gli davano un’aria un po’ canagliesca.

— Milady! — la salutò con un sorriso, forse il primo che da molti giorni deformasse i suoi muscoli facciali. Ma non era un sorriso diretto a lei. Alla vista dell’apparecchio deposto su un tavolo aveva avuto un lampo di trionfo nello sguardo. — Ce l’ha fatta!

— Almeno spero, capitano. — Cordelia gli indicò il pannello dei comandi. — Prego Dio che non sia troppo tardi. Le luci sono ancora verdi, ma stanotte l’avvisatore o quel che è aveva cominciato a suonare. L’ho spento, prima che mi facesse impazzire.

Lui controllò il simulatore e studiò le cifre sul display. — Sì, va bene. Il fluido nutritivo è quasi finito, ma non importa. I filtri funzionano ancora; l’acido urico è troppo alto, però questo non è un problema. Mi sembra che sia a posto… vivo, cioè. In quanto alle conseguenze dell’interruzione del trattamento coi calcificanti ossei, occorrerà del tempo per determinarle. Abbiamo a disposizione un locale, nell’infermeria. Entro un’ora i sogni del piccolo Miles torneranno a dipingersi di rosa.

— Pensa di poter trovare tutto quello che le occorre, qui? Le sostanze chimiche…

I denti di lui lampeggiarono. — Lord Vorkosigan ha cominciato a farmi attrezzare un piccolo laboratorio il giorno dopo che lei se n’è andata. Giusto nel caso che servisse, ha detto.

Aral, io ti amo. - Grazie. Sì, vada. Vada. — Cordelia lasciò che Vaagen si portasse via il simulatore, e l’uomo uscì in fretta.

Tornò a sedersi, come una marionetta coi fili spezzati. Ora poteva permettersi di sentire il peso della stanchezza. Ma non di gettarsi su un letto, non ancora. Doveva fare rapporto su ciò che era successo, e non ai due ufficiali della Sicurezza che stavano già tempestando Drou di domande. Chiuse gli occhi e cercò di ignorare le loro voci.

Il desiderio lottava con la paura. Voleva Aral. Ma aveva sfidato Aral, più che apertamente. Aveva incrinato il suo onore? Aveva ferito il suo — insolitamente flessibile, lo ammetteva — ego barrayarano oltre il sopportabile? S’era condannata a non godere mai più della sua fiducia? No, quest’ultimo sospetto era senz’altro infondato. Ma la credibilità che Aral godeva fra i suoi pari, quella delicata sfaccettatura della psicologia del potere, era stata danneggiata? Qualche dannata e imprevedibile conseguenza politica avrebbe rovesciato la situazione sulla loro testa? E questo le sarebbe importato? Sì, decise mestamente. Era infernale essere così stanca e in più così preoccupata.

— Kou!

Il grido di Droushnakovi le fece aprire gli occhi. Koudelka stava zoppicando attraverso l’ingresso principale degli uffici. Buon Dio, l’uomo era già in uniforme, elegante e sbarbato di fresco, quando chiunque l’avrebbe immaginato ancora in cammino su qualche strada di periferia con la giacca imbottita di giornali per tener fuori il freddo.

Quello di Koudelka e di Drou non fu — notò soddisfatta Cordelia — un formale saluto fra colleghi. L’alta ragazza bionda volò fra le braccia del giovane ufficiale, e quando le loro bocche si separarono fu solo per mormorare cose come Ah, tesoro, grazie a Dio, amore mio, sei salvo, mia cara… Gli uomini della Sicurezza distolsero lo sguardo, a disagio davanti alle nude emozioni che irradiavano dai loro volti.

Appena si furono scostati, per guardarsi meglio e sempre tenendosi per le mani, Drou scosse il capo. — Hai fatto presto! — ridacchiò. — Quando siete… Lady Vorpatril è qui, vero?

— Siamo arrivati appena due ore prima di voi — disse Koudelka, riprendendo fiato dopo quell’eroico bacio. — Il piccolo Lord e sua madre stanno bene. Sono a letto, in infermeria. Il dottore dice che Lady Vorpatril è soltanto sfinita. È stata eccezionale. Abbiamo passato un paio di brutti momenti ai posti di blocco, ma lei ha recitato la sua parte con una faccia di bronzo formidabile. Ma voi, piuttosto… santo cielo, ce l’avete fatta! Ho incrociato Vaagen, in corridoio, col simulatore… ah, ragazza, hai salvato il figlio del mio Lord!

Droushnakovi deglutì saliva e chinò il capo. — Sì… ma abbiamo perduto la Principessa Kareen.

— Ah! — Koudelka le mise un dito sulle labbra. — Non dirmi una parola. Lord Vorkosigan mi ha ordinato di portarvi subito da lui. Gli farai rapporto di persona. Andiamo, vi accompagno io. — Agitò una mano verso gli uomini della Sicurezza scacciandoli come galline, cosa che Cordelia avrebbe voluto fare fin dall’inizio.