Notò che Duefiori stava cercando di mettere a punto la sua scatola a immagini.

Cohen invece osservava i sette maghi.

— Un posto curioso per metterci delle statue — osservò. — Nessuno può vederle. Bada bene, non posso dire che siano un granché. Un’opera assai scadente.

Barcollando, Scuotivento andò vicino a Wert e gli batté con precauzione sul petto. Il mago era di solida pietra.

"A questo punto, voglio soltanto andarmene a casa" pensò.

"Aspetta un momento, sono a casa. Più o meno. Così ho soltanto bisogno di un buon sonno e forse domattina tutto andrà meglio."

Lo sguardo gli cadde sull’Octavo, delineato da minuscole scintille di ottarino. "Oh sì" pensò.

Lo raccolse e ne sfogliò distrattamente le pagine. Erano coperte da una scrittura complessa e ondeggiante che cambiava e si riformava sotto i suoi occhi. Come indecisa su ciò che avrebbe dovuto essere. Un momento erano caratteri ordinati e pratici, e subito dopo una serie di geroglifici angolosi. Quindi le misteriose lettere a spirale della lingua kythiana. E ancora gli ideogrammi di una scrittura antica, una scrittura malvagia e dimenticata, consistente esclusivamente di creature serpentine in movenze complicate intese a farsi reciprocamente del male…

L’ultima pagina era vuota. Scuotivento sospirò e guardò nella profondità della sua mente. L’Incantesimo gli restituì lo sguardo.

Scuotivento aveva sognato il momento in cui finalmente avrebbe espulso l’Incantesimo e, ripreso possesso della propria testa, avrebbe appreso tutti quei sortilegi minori che, fino allora, avevano avuto troppa paura per rimanere nella sua mente. In certo modo, quel momento lo aveva immaginato molto più eccitante.

Invece, completamente esausto e senza nessuna voglia di mettersi a discutere, fissò freddamente l’Incantesimo e metaforicamente fece un gesto significativo col pollice sopra la spalla.

"Tu. Fuori."

Per un momento sembrò che l’Incantesimo volesse protestare, ma saggiamente ci ripensò.

Scuotivento provò un formicolio, un lampo azzurro dietro gli occhi e un senso improvviso di vuoto.

Quando abbassò lo sguardo sulla pagina, era piena di parole. Ancora geroglifici. Lui ne fu contento. Non solo gli ideogrammi serpentini non erano profferibili, ma probabilmente anche impronunciabili e gli rammentavano cose che gli sarebbe stato assai difficile dimenticare.

Fissò il libro senza vederlo mentre Duefiori si muoveva inosservato e Cohen tentava invano di sfilare gli anelli dalle dita dei maghi pietrificati.

Doveva fare qualcosa, si ricordò Scuotivento, ma che cosa?

Aprì il libro alla prima pagina e cominciò a leggere, muovendo le labbra e seguendo col dito ogni lettera. Mentre la pronunciava, ogni parola appariva senza suono nell’aria accanto a lui, a colori vivaci che si perdevano nel vento della notte.

Girò la pagina.

Altre persone stavano arrivando su per la scala, adepti della stella, cittadini, perfino alcuni componenti della guardia personale del Patrizio. Due di quelli della stella tentarono senza troppa convinzione di avvicinarsi a Scuotivento, il quale era adesso circondato da un turbine di lettere di tutti i colori dell’arcobaleno e non prestò loro alcuna attenzione. Ma Cohen, sguainata la spada, li guardò con aria indifferente e quelli ci ripensarono.

Dalla figura china di Scuotivento il silenzio si propagava come le increspature dell’acqua in una pozzanghera. Si riversò giù dalla torre, si disperse tra la folla in basso, aleggiò sopra le mura, scivolò attraverso le tenebre della città e si richiuse sulle terre più in là.

La massa della stella incombeva silente sul Disco. Nel cielo intorno ad essa le nuove stelle ruotavano adagio e senza rumore.

L’unico suono era il mormorio rauco di Scuotivento mentre voltava pagina su pagina.

— Non è eccitante? — esclamò Duefiori. Cohen, che si stava arrotolando una sigaretta con i resti catramosi delle sue antenate, lo guardò senza comprendere, con la mano a mezz’aria.

— Che cosa non è eccitante? — domandò.

— Tutta questa magia.

— Sono solo luci — ribatté l’altro in tono critico. — Non ha nemmeno tirato fuori delle colombe dalle maniche.

— Si, ma non riesci a sentire l’occulta potenzialità?

Cohen estrasse dalle profondità della sua borsa di tabacco un grosso fiammifero giallo, guardò per un momento Wert e glielo accese risoluto sul naso fossilizzato.

— Ascolta — disse a Duefiori, cercando di essere il più cortese possibile. — Cosa ti aspetti? Io sono stato in giro a lungo, ho assistito a tutta questa faccenda della magia. E posso assicurarti che se continui ad andartene a spasso a bocca spalancata, qualcuno ti darà un bel pugno sulla mascella. Comunque, i maghi muoiono come chiunque altro quando li infilzi…

Scuotivento chiuse il libro rumorosamente. Si rialzò e si guardò intorno.

Che accadde allora?

Nulla.

Alla gente ci volle un po’ di tempo per rendersene conto. Ognuno istintivamente si era abbassato, aspettandosi l’esplosione di una luce bianca o di una palla di fuoco scintillante. Oppure, nel caso di Cohen le cui aspettative erano assai modeste, qualche piccione bianco, possibilmente un coniglio un po’ malconcio.

Non fu nemmeno un nulla interessante. È vero, a volte le cose non accadono, però, in maniera assai impressionante. Ma, in fatto di non-avvenimenti, quello lì non era all’altezza.

— È tutto qui? — commentò Cohen. Dalla folla venne un borbottio di protesta e parecchi adepti della stella guardarono incolleriti Scuotivento.

Il mago fissò confuso il vecchio eroe. — Suppongo di sì — disse.

— Ma non è accaduto niente.

Scuotivento allora guardò con aria vacua l’Octavo.

— Forse — disse in tono speranzoso — ha un effetto misterioso? Dopo tutto, non sappiamo esattamente che cosa dovrebbe accadere.

— Noi lo sapevamo! — gridò un seguace della stella. — La magia non funziona! È tutta un’illusione!

Una pietra, scagliata da sopra il tetto, colpì Scuotivento su una spalla.

— Sì! — esclamò un altro della setta della stella. — Prendiamolo!

— Buttiamolo giù dalla torre!

— Sì, prendiamolo e buttiamolo giù dalla torre!

La folla si fece avanti minacciosa. Duefiori alzò le mani.

— Sono sicuro che si è trattato soltanto di un piccolo errore… — cominciò, prima che un calcio gli facesse piegare le gambe.

— Oh, accidenti! — Cohen lasciò cadere il suo mozzicone e lo spense sotto il piede calzato di sandalo. Tirò fuori la spada e si guardò intorno in cerca del Bagaglio.

Questi non si era precipitato in soccorso di Duefiori. Ma se ne stava davanti a Scuotivento che, l’Octavo stretto al petto come una borsa dell’acqua calda, era spaventato a morte.

Uno della stella si lanciò contro di lui. Il Bagaglio sollevò minacciosamente il coperchio.

— Io lo so perché non ha funzionato — disse una voce alle spalle della folla. Era Bethan.

— Ah, sì? — ribatté il cittadino più vicino. — E perché dovremmo ascoltarti?

Un attimo più tardi la spada di Cohen era puntata contro il suo collo.

— D’altra parte — disse allora quello con voce piatta — forse dovremmo fare attenzione a quanto ha da dire questa giovane donna.

Cohen si voltò adagio, sempre con la spada in posizione. Bethan si fece avanti e puntò il dito alle forme turbinanti degli incantesimi, ancora sospese nell’aria attorno a Scuotivento.

— Quella deve essere sbagliata — affermò e indicò una macchia brunastra tra le fiammelle pulsanti, dai vivaci colori. — Devi avere pronunciato male una parola. Fammi dare un’occhiata.

Scuotivento le passò l’Octavo senza dire niente. Lei lo aprì ed esaminò le pagine.

— Che scrittura strana — disse. — Non fa che cambiare. Che sta facendo alla piovra quella cosa che somiglia a un coccodrillo?

Scuotivento guardò da sopra la sua spalla e. senza pensarci, glielo disse. Lei restò un momento in silenzio.