— Porta qui quella torcia e spegni la sigaretta! — ordinò.

Si aspettava un’esplosione di orgoglio infuriato. Nulla. Invece, il mago colpevole si tolse di bocca il mozzicone con dita tremanti e lo schiacciò sul pavimento con il tacco della scarpa.

Trymon esultò. "Così, fanno ciò che gli dico io. Solo per ora, forse… ma solo per ora è sufficiente."

Studiò la calligrafia quasi illeggibile di un mago da lungo tempo defunto.

— Bene — disse — vediamo. "Per ammansire Essa, La Cosa Che È Il Guardiano…"

La folla attraversava ora uno dei ponti che collegavano Morpork con Ankh. In basso il fiume, solo occasionalmente ricco d’acqua, era ridotto a un rivoletto fumante.

Sotto i passi il ponte tremava più del dovuto. La poca acqua fangosa era attraversata da strane increspature. Qualche tegola si staccò dal tetto di una casa vicina.

— Che è stato? — chiese Duefiori. Bethan si volse indietro a guardare e gridò.

La stella si stava levando. Mentre il sole del Disco si affrettava a mettersi al sicuro dietro l’orizzonte, la grande palla rigonfia della stella saliva lenta nel cielo fino a sovrastare di vari gradi l’Orlo del mondo.

Gli amici spinsero Duefiori al riparo di un portone. Senza badare a loro, la folla continuò a correre, terrorizzata.

— Ci sono delle macchie sulla stella — osservò Duefiori.

— No — disse Scuotivento. — Sono… delle cose. Delle cose che ruotano intorno alla stella. Come il sole ruota intorno al Disco. Ma sono vicinissime perché, perché… — s’interruppe. — Forse lo so.

— Che cosa sai?

— Devo liberarmi di questo Incantesimo!

— Da che parte si trova l’Università? — domandò Bethan.

— Da questa parte. — Il mago puntò il dito lungo la strada.

— Deve essere molto popolare. È proprio là che vanno tutti. Mi chiedo perché? — disse il turista.

— Non credo perché intendano iscriversi alle classi serali — commentò Scuotivento.

In effetti, l’Università Invisibile era assediata, o almeno lo erano le sue parti manifeste nelle solite dimensioni di ogni giorno. Fuori dei cancelli la folla reclamava due cose: a) Che i maghi la smettessero di trastullarsi e si sbarazzassero della stella. Oppure (e questa era la richiesta appoggiata dagli adepti della stella): b) Che si suicidassero in buon ordine, liberando così il Disco dalla maledizione della magia e annullando la tremenda minaccia nel cielo.

Dall’altra parte dei muri, i maghi non avevano nessuna idea di come fare a) e nessuna intenzione di commettere b). Molti in realtà avevano optato per c) consistente, in sostanza, nello squagliarsela da porte laterali segrete e darsela a gambe il più rapidamente possibile, se non ancora più presto.

La restante magia su cui si potesse fare affidamento nell’Università veniva concentrata sulla sicurezza dei grandi cancelli. I maghi stavano imparando a loro spese che, per quanto fosse bello e di grande effetto disporre di cancelli sbarrati in virtù della magia, i costruttori avrebbero dovuto predisporre un qualche dispositivo di emergenza quale, per esempio, un paio di comuni chiavistelli di ferro, belli grossi e resistenti.

Nel piazzale antistante i cancelli erano stati accesi diversi grandi falò, più che altro per effetto, dato il calore rovente che emanava dalla stella.

— Però sono ancora visibili le stelle — osservò Duefiori — le altre stelle, intendo. Quelle piccole. In un cielo nero.

Scuotivento, che guardava i cancelli, lo ignorò. Un gruppo di adepti della stella e di cittadini stavano cercando di abbatterli.

— È inutile — esclamò Bethan. — Non entreremo mai. Dove vai?

— A fare una passeggiata — le rispose Scuotivento, che si avviava a passo deciso per una strada laterale.

Lì, due o tre rivoltosi solitari si davano da fare a saccheggiare i negozi. Senza curarsi di loro, Scuotivento proseguì lungo il muro finché questo correva parallelo a un vicolo buio, che puzzava come puzzano tutti gli altri vicoli, ovunque.

Poi si mise a osservare molto da vicino il muro, in quel punto alto più di sei metri e sormontato da punte di ferro acuminate.

— Mi serve un coltello — disse.

— Intendi tagliarti la strada con un coltello? — gli chiese Bethan.

— Tu pensa a trovarmi un coltello. — Il mago si mise a battere le pietre del muro.

Duefiori e la ragazza si guardarono e scrollarono le spalle. Pochi minuti dopo tornarono con un’ampia scelta di coltelli; l’ometto era perfino riuscito a trovare una spada.

— Ci siamo serviti da soli — spiegò Bethan.

— Ma abbiamo lasciato del denaro — protestò Duefiori. — Cioè, avremmo voluto lasciarlo, se ne avessimo avuto…

— Così lui ha insistito per lasciare un biglietto — aggiunse stancamente lei.

L’ometto si raddrizzò in tutta la sua altezza, il che non ne valeva la pena.

— Non vedo il motivo… — cominciò in tono severo.

— Sì, sì. — Bethan si sedette per terra con aria sconsolata. — Lo so che non lo vedi. Scuotivento, tutti i negozi sono stati sfondati; per strada c’era un bel po’ di gente che si portava via degli strumenti musicali. Ci crederesti?

— Già. — Il mago scelse un coltello e ne provò la lama, soprappensiero. — Suonatori di liuto, immagino.

Conficcò la lama nel muro, la rigirò e si tirò indietro quando venne giù una grossa pietra. Poi alzò gli occhi, contò sottovoce e fece leva fin quando un’altra pietra non venne via dalla sua cavità.

— Come ci sei riuscito? — domandò Duefiori.

— Aiutami soltanto a tirarmi su — si limitò a rispondergli il mago. Un momento dopo, posando i piedi nei buchi che aveva fatti, si stava arrampicando sul muro.

— È stato così per secoli. — La sua voce arrivava fino a loro dall’alto. — Alcune pietre non sono fissate con la calcina. Un’entrata segreta, capite. Fate attenzione lì giù.

Un’altra pietra cadde sull’acciottolato.

— Lo hanno fatto gli studenti tanto tempo fa — spiegò il mago. — Un comodo sistema per entrare e uscire, quando le luci vengono spente.

— Ah, capisco - esclamò Duefiori. — Si scavalca il muro e via per recarsi nelle taverne illuminate a bere e cantare e recitare poesie. Sì?

— Giusto, salvo che per i canti e le poesie, sì. Un paio di queste punte di ferro dovrebbero essere allentate… — Seguì un suono metallico.

La sua voce si fece sentire dopo pochi secondi: — Il salto da questa parte non è molto aito. Forza, allora, se volete venire.

E fu così che Scuotivento, Duefiori e Bethan entrarono nell’Università Invisibile.

Altrove sul campus…

Gli otto maghi inserirono le loro chiavi e le fecero girare, non senza lanciarsi molte occhiate preoccupate. I chiavistelli si aprirono con un debole scatto.

L’Octavo non era più incatenato. Una lieve luce di ottarino giocava sulla sua superficie.

Trymon allungò un braccio e lo prese in mano, e nessuno degli altri fece obiezione. Il braccio gli formicolava.

Si girò verso la porta e disse: — Adesso alla Grande Sala, fratelli, se posso farvi strada…

E non vi furono obiezioni.

Arrivò alla porta, con il libro sottobraccio. Lo sentiva caldo e in certo modo pungente.

A ogni passo, Trymon si aspettava un grido, una protesta. Niente. Doveva fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non scoppiare a ridere. Era più facile di quanto avesse mai immaginato.

Gli altri erano arrivati a metà strada di quel claustrofobico sotterraneo quando lui era già alla porta. E forse avevano notato qualcosa dalla posizione delle sue spalle, ma era troppo tardi perché lui aveva oltrepassato la soglia, afferrato la maniglia, sbattuto la porta, girato la chiave. Con un sorriso.

Ripercorse senza difficoltà il corridoio, ignorando le urla di collera degli altri maghi che avevano appena scoperto come fosse impossibile ricorrere agli incantesimi in un locale costruito appositamente per essere inaccessibile alla magia.