Il mago si mise in piedi, un po’ traballante.

— Oh! Uno di quei negozi?

— Va bene. — Il negoziante era punto sul vivo. — È magico, sì, si sposta, sì. No, non vi dirò perché…

— Potrei bere dell’acqua, per piacere? — chiese Scuotivento.

Il proprietario fece la faccia offesa.

— Prima non hanno soldi, poi vogliono un bicchiere d’acqua — scattò. — È la cosa…

Bethan sbuffò e avanzò decisa verso il piccoletto, che cercò d’indietreggiare. Troppo tardi.

Lei lo afferrò per le bretelle del grembiule e lo guardò fisso negli occhi. Malgrado il vestito strappato e i capelli scarmigliati, divenne per un momento il simbolo di ogni donna che ha sorpreso un uomo con il pollice sulla Bilancia della vita.

— Il tempo è denaro — sibilò. — Ti do trenta secondi per portargli un bicchiere d’acqua. È un buon accordo, non credi?

Duefiori disse in un bisbiglio: — Parola mia. Lei incute veramente terrore quando è in collera.

— Sì, sì — annui Scuotivento senza entusiasmo.

Il negoziante era visibilmente spaventato. — Va bene, va bene.

— E dopo ci puoi fare uscire — aggiunse la ragazza.

— Per me sta bene. Oggi non ero aperto per lavoro, mi ero giusto fermato qualche secondo per prendere le mie cose e voi vi siete precipitati dentro!

Sparì dietro la tenda di perline e tornò con una tazza d’acqua.

— L’ho lavata con cura particolare — disse, evitando lo sguardo di lei.

Scuotivento guardò il liquido nella tazza. Probabilmente era pulito prima di esserci versato, ora berlo sarebbe stato un vero genocidio per migliaia di germi innocenti.

La mise giù con cura.

— Adesso vado a darmi una bella lavata — annunciò Bethan e se ne andò con passo deciso dietro la tenda.

Il negoziante fece un gesto vago con la mano e lanciò uno sguardo implorante ai due amici.

— Non è una cattiva ragazza — lo rassicurò Duefiori. — Sta per sposarsi con un nostro amico.

— Lui lo sa?

— Gli affari non vanno troppo bene nei negozi stellari? — chiese Scuotivento con uno sforzo per mostrarsi comprensivo.

L’omino rabbrividì. — Non ci credereste. Voglio dire, uno impara a non aspettarsi troppo, una vendita qua e là, tanto per sbarcare il lunario, sapete ciò che intendo? Ma queste persone di oggigiorno, quelli con la stella dipinta sulla faccia, be’, ho appena il tempo di aprire il magazzino e quelli minacciano di incendiarlo. Troppo magico, dicono. Così io dico, naturalmente è magico, che altro?

— Allora ce ne sono parecchi di loro qui in giro? — chiese il mago.

— Sparsi per tutto il Disco, amico. Non chiedetemi perché.

— Loro credono che una stella si schianterà sul Disco — lo informò Scuotivento.

— È vero?

— Un sacco di gente lo crede.

— Che vergogna! Ho fatto dei buoni affari qui. Troppo magico, dicono! Cosa c’è che non va con la magia, vorrei sapere io?

— Che farai?

— Oh, andrò su un altro universo, ce n’è in quantità qui intorno — rispose l’altro senza scomporsi. — Grazie comunque per avermi informato della stella. Posso lasciarvi da qualche parte?

L’Incantesimo diede un calcio nella mente del mago.

— Ehm, no — disse questi. — Credo sia preferibile restare qui. Per vedere come va a finire, capisci.

— Allora questa faccenda della stella non vi turba?

— La stella è vita, non morte — replicò Scuotivento.

— Come mai?

— Come mai che cosa?

— Lo hai fatto di nuovo. — Duefiori puntò un dito accusatore contro l’amico. — Dici delle cose e poi non sai di averle dette!

— Ho detto semplicemente che era meglio rimanere.

— Hai detto che la stella è vita, non morte. La tua voce si è fatta roca e remota. Non è così? — Si rivolse per conferma al negoziante.

— È vero — disse questi. — E mi è anche sembrato che gli occhi gli si incrociassero un po’.

— È l’Incantesimo, allora — dichiarò Scuotivento. — Sta cercando di assumere il controllo. Lui sa cosa sta per accadere e penso che voglia andare ad Ankh-Morpork. Anch’io voglio andarci — aggiunse con aria di sfida. — Ci puoi portare là?

— È quella grande città sull’Ankh? Che è cresciuta in modo disordinato, con il fetore dei pozzi neri?

— Ha una storia antica e onorata — protestò il mago in tono secco, offeso nel suo orgoglio civico.

— Non è così che me l’hai descritta — interloquì Duefiori. — Mi hai detto che era l’unica città già decadente fin dall’inizio.

Il mago era imbarazzato. — Sì. Ma, be’, è casa mia, non capisci?

— No, non proprio — dichiarò il negoziante. — Io dico sempre che la casa è il luogo dove si appende il cappello.

— Uhm, no. — Duefiori era sempre desideroso di chiarire bene le cose. — Dove si appende il cappello è un attaccapanni. Una casa è…

— Vado a provvedere per il viaggio — lo interruppe l’omino, vedendo tornare Bethan. Le passò accanto in fretta.

Duefiori lo seguì.

Dall’altra parte della tenda c’era una stanza con un lettino, un fornello alquanto sporco e un tavolino a tre zampe. Il negoziante armeggiò con il tavolo, si udì il rumore come di un tappo che esca riluttante da una bottiglia. E a un tratto la stanza conteneva un universo da parete a parete.

— Non ti spaventare — disse il negoziante, mentre le stelle scorrevano via.

— Io non sono spaventato — ribatté Duefiori, con gli occhi che gli brillavano.

— Oh! — L’altro era un po’ irritato. — Comunque, si tratta solo di una immagine generata dal negozio, non è reale.

— E tu puoi andare ovunque?

L’omino era scandalizzato. — Oh, no. C’è ogni sorta di casseforti incorporate e, dopo tutto, sarebbe sciocco andare da qualche parte senza un reddito pro capite disponibile. E, naturalmente, ci deve essere una parete adatta. Ah, eccoci qui, questo è il vostro universo. Molto piccolino, penso sempre. Una specie di universetto…

Ecco il nero spazio, la miriade di stelle che brillano come polvere di diamante o, come direbbero certi, come grandi palle d’idrogeno esplose nelle lontananze remote. Ma, del resto, certe persone direbbero qualsiasi cosa.

Un’ombra si accinge a cancellare lo scintillio distante, ed è più nera dello stesso spazio.

Da qui sembra anche molto più grande, perché in realtà lo spazio non è grande, è semplicemente un luogo indeterminato nel quale ci sono cose grandi. I pianeti sono grandi, ma i pianeti sono fatti per essere grandi e nell’essere della dimensione giusta non c’è nulla d’intelligente.

Ma quest’ombra che offusca il cielo simile al passo di Dio non è un pianeta.

È una tartaruga, lunga diecimila miglia, dalla testa bucherellata di crateri fino alla coda rivestita di corazza.

E la Grande A’Tuin è immensa.

Le grandi pinne si alzano e si abbassano ponderose, disegnando nello spazio strane forme. Il mondo-Disco scivola attraverso il cielo come una imbarcazione regale. Ma persino la Grande A’Tuin avanza ora a fatica quando lascia il libero abisso dello spazio e deve lottare contro le tormentose pressioni dei bassifondi solari. Qui, sul litorale della luce, la magia è più debole. Ancora pochi giorni, e il mondo-Disco verrà cancellato dal peso della realtà.

La Grande A’Tuin lo sa, ma la Grande A’Tuin ricorda di avere già sperimentato tutto questo molte migliaia di anni or sono.

I suoi occhi astrochelonici, che brillano rossi nella luce della piccola stella, non sono fissi su di essa ma su un piccolo frammento di spazio non lontano…

— Sì, ma dove ci troviamo? — chiese Duefiori.

Chino sul tavolo, il negoziante si limitò a stringersi nelle spalle. — Ritengo che non ci troviamo da nessuna parte. Io credo che ci troviamo in una incongruità cotangente. Potrei sbagliarmi. In genere il negozio sa ciò che fa.

— Vuoi dire che tu non lo sai?

— Io scelgo un po’ qua e un po’ là. — Si soffiò il naso. — Qualche volta atterro su un mondo dove capiscono queste cose. — I suoi occhietti tristi fissarono Duefiori. — Il tuo è un viso gentile. Posso anche dirtelo.