Dietro a lui vi fu un rumore appena percettibile, anzi non tanto un rumore quanto una variazione nella consistenza dell’aria.

I visi di fronte a lui spalancarono la bocca, si girarono e sparirono rapidamente giù per il vicolo.

— Eh? — disse Bethan, che sorreggeva ancora il mago, ora privo di sensi.

Duefiori fissava dall’altra parte una grande vetrina piena di merci strane, una porta schermata da una tenda di perline, sormontata da una grossa insegna la quale indicava (dopo che i caratteri, contorcendosi, si erano ricomposti):

Skillet, Wang, Yrxle!yt. Bunglestiff, Cwmlad e Patel
Fondatori: vari
FORNITORI ALL’INGROSSO

Il gioielliere rigirava adagio l’oro sulla minuscola incudine e battendo delicatamente incastrò l’ultimo diamante dal taglio strano.

— Dal dente di un troll, dici? — mormorò mentre studiava attento il proprio lavoro.

— Scì — rispose Cohen — e, come ti ho detto, puoi avere tutto il reshto. — Mentre parlava, esaminava un vassoio di anelli d’oro.

— Molto generoso — commentò il gioielliere, un nano che la sapeva lunga sugli uomini e le cose. Sospirò.

— Non molto lavoro in questi ultimi tempi? — chiese Cohen. Guardò fuori dalla finestrella e vide un gruppo di persone radunate dall’altra parte della strada.

— Già, sono tempi duri.

— Chi sciono tutti quei tipi con la stella dipinta sciulla fronte? Il nano non alzò gli occhi.

— Dei pazzi — rispose. — Dicono che non dovrei fare più nessun lavoro perché arriva la stella. Io gli dico che le stelle non mi hanno mai fatto del male. Vorrei poter dire lo stesso della gente.

Cohen annuì pensieroso alla vista di sei uomini che si staccavano dal gruppo e venivano verso il negozio. Portavano armi di vario tipo e avevano un’aria estremamente decisa.

— Strano — osservò Cohen.

— Come vedi, io sono della progenie dei nani — continuò il gioielliere. — Una delle razze magiche, si dice. Gli adepti della stella sostengono che questa non distruggerà il Disco se respingiamo la magia. Probabilmente mi daranno una pestata. Così vanno le cose.

Usò un paio di pinzette per sollevare la sua ultima opera ed esaminarla.

— È la cosa più strana che io abbia mai fatta, ma è pratica. Questo lo capisco. Come hai detto che la chiamano?

— Masticatoi — rispose il vecchio eroe. Fissò i due oggetti a forma di ferro di cavallo che teneva nel palmo della mano, poi aprì la bocca ed emise una serie di strani grugniti.

La porta si spalancò. Gli uomini fecero irruzione e andarono a mettersi intorno alle pareti. Erano sudati e incerti, ma il loro capo spinse sdegnosamente Cohen da parte e sollevò il nano afferrandolo per la camicia.

— Ti abbiamo avvertito ieri, piccoletto — gli disse minaccioso. — Te ne vai fuori con i tuoi piedi o ti ci buttiamo noi. Non ci importa. Così adesso…

Cohen gli batté sulla spalla. Quello si girò a guardarlo, irritato.

— Che cosa vuoi, nonnino? — sbuffò.

Cohen attese che l’uomo gli prestasse attenzione e poi sorrise. Un sorriso lento e pigro, che rivelò circa trecento carati di gioielleria dentale tanto che la stanza ne sembrò illuminata.

— Conterò fino a tre — disse in tono di voce amichevole. — Uno. Due. — Sollevò il ginocchio ossuto e lo piantò con mira sapiente nei genitali dell’uomo; eseguì una mezza piroetta e sferrò una gomitata potente nelle reni dell’altro, che si accasciò in preda a un dolore lancinante.

— Tre — disse rivolto alla sua vittima raggomitolata in terra. Cohen aveva sentito parlare del combattimento leale, e aveva deciso da un pezzo che non faceva per lui.

Guardò gli altri uomini e gli scoccò il suo incredibile sorriso.

Avrebbero dovuto avventarsi tutti insieme su di lui. Invece uno di loro, forte del fatto che lui possedeva uno spadone e l’altro no, volle avvicinarglisi avanzando di lato.

— Oh, no — disse Cohen agitando le mani. — Oh, dai, ragazzo, non così.

L’uomo gli lanciò un’occhiata di traverso. — Non così come? — chiese sospettoso.

— Non hai mai maneggiato una spada?

Quello si girò a mezzo per essere rassicurato dai suoi compagni.

— No, non molto — ammise. — Non spesso. — Agitò minaccioso la spada.

Cohen si strinse nelle spalle. — Può anche darsi che io muoia, ma spererei di essere ucciso da uno che sappia tenere la spada come un guerriero.

L’uomo si guardò le mani. — A me sembrano a posto — disse, dubbioso.

— Senti, ragazzo, io ne so un po’ di queste cose. Voglio dire, vieni qui un minuto e, ti dispiace? Bene, la mano sinistra va qui, intorno all’elsa e la destra va… bene così… proprio qui… e la lama va dritta nella tua gamba.

L’uomo urlò, afferrandosi il piede. Cohen ne approfittò per dargli un calcio all’altra gamba e si girò a far fronte al resto del gruppo.

— Stiamo perdendo tempo — disse. — Perché non mi venite addosso?

— Giusto — disse una voce all’altezza della sua cintola. Il gioielliere aveva tirato fuori una grossa accetta sporca, garantita per aggiungere il tetano a tutti gli altri orrori della guerra.

Dopo una rapida valutazione dei rischi, i quattro indietreggiarono verso la porta.

— E sfregatevi via quelle stupide stelle — disse il vecchio eroe. — Potete dire a tutti che Cohen il Barbaro si arrabbierà moltissimo se vedrà ancora stelle del genere, capito?

La porta si richiuse con un tonfo. Un momento dopo l’accetta ci si conficcò, rimbalzò e portò via una striscia di cuoio dal tallone del sandalo di Cohen.

— Scusami — disse il nano. — Apparteneva a mio nonno. Io l’uso soltanto per tagliare la legna per il fuoco.

Cohen si tastò la mascella. Pareva che i masticatoi si fossero assestati perfettamente.

— Se fossi in te, me ne andrei via di qui comunque — lo consigliò. Ma il nano si dava già da fare a vuotare in un sacchetto di pelle vassoi di metallo prezioso e di gemme. S’infilò in una tasca un involto con gli arnesi, in un’altra un pacchetto di gioielli già lavorati, quindi con un grugnito prese per i manici la sua piccola fucina e se la issò sulla schiena.

— Bene. Sono pronto.

— Vieni via con me?

— Fino alle porte della città, se non ti dispiace — rispose l’altro. — Non puoi biasimarmi, vero?

— No. Ma lascia l’accetta.

Uscirono nel sole pomeridiano nella strada deserta. Quando Cohen apriva la bocca puntini luminosi rischiaravano le ombre.

— Ho da queste parti degli amici da ritrovare. Spero che stiano bene. — E aggiunse: — Come ti chiami?

— Lackjaw.

— C’è da queste parti un posto dove posso — Cohen fece una pausa per assaporare le parole — dove posso avere una bistecca?

— Quelli della stella hanno chiuso tutti gli alberghi. Sostengono che è male mangiare e bere quando…

— Lo so, lo so. Credo di cominciare a capire. Ma c’è qualcosa che loro approvano?

Lackjaw ci pensò su per un momento. — Appiccare il fuoco — disse alla fine. — In questo sono bravissimi. Libri e roba varia. Ne fanno dei falò enormi.

Cohen era scioccato.

— Un falò dei libri?

— Sì. Orribile, vero?

— Esatto. — Secondo Cohen era spaventoso. Chi trascorreva una vita rude sotto il cielo aperto, conosceva il valore di un buon libro voluminoso. Che doveva servire ad accendere il fuoco per cucinare almeno un’intera stagione, se uno stava attento a come strapparne le pagine. Più di una vita era stata salvata in una notte nevosa da una manciata di rametti bagnati e un libro veramente asciutto. Se poi uno aveva voglia di fumare e non riusciva a trovare una pipa, un libro era quello che ci voleva.

Cohen sapeva bene che c’era gente che scriveva dei libri. E gli era sempre sembrato un frivolo spreco di carta.

Mentre procedevano per la strada, Lackjaw osservò in tono poco allegro: — Temo che se i tuoi amici li incontrano, potrebbero trovarsi nei guai.

Girato l’angolo, scorsero il falò, che bruciava in mezzo alla strada. Due della setta della stella lo alimentavano con libri presi da una casa lì vicino, con la porta sfondata e imbrattata di stelle.