— SONO VENUTA A VEDERE IL FUTURO.

— È questo il futuro?

— UN FUTURO — rispose la Morte.

— È orribile — esclamò Scuotivento.

— MI SENTO DI DARTI RAGIONE.

— Avrei creduto che tu fossi assolutamente d’accordo.

— NON IN QUESTO MODO. LA MORTE DI UN GUERRIERO O DI UN VECCHIO O DI UN BAMBINO PICCOLO, QUESTA LA CAPISCO, E IO METTO FINE AL DOLORE E ALLA SOFFERENZA. NON CAPISCO QUESTA MORTE-DELLA-MENTE.

— Con chi stai parlando? — chiese Duefiori. Nella folla, parecchi si erano voltati e fissavano sospettosi Scuotivento.

— Con nessuno — rispose il mago. — Possiamo andarcene? Mi è venuto mal di testa.

Adesso, ai margini della folla, un gruppo di persone mormorava e puntava il dito contro di loro. Scuotivento afferrò i suoi due compagni e li spinse in fretta dietro l’angolo.

— Montiamo in sella e andiamocene — li esortò. — Ho un cattivo presentimento che…

Una mano gli si abbatté sulla spalla. Lui si girò. Un paio di ostili occhi grigi, incassati in una testa calva e tonda in cima a un grosso corpo muscoloso, erano fissi sul suo orecchio sinistro. L’uomo aveva una stella dipinta sulla fronte.

— Hai l’aspetto di un mago. — Il tono di voce suggeriva che ciò fosse imprudente e possibilmente fatale.

— Chi? Io? No, io sono… un impiegato. Sì. Un impiegato. Proprio così. — Scuotivento fece una risatina.

L’uomo tacque, con le labbra che si muovevano mute, come se stesse ascoltando una voce nella sua testa. Diversi altri adepti della stella si erano uniti a lui. Tutti fissavano l’orecchio sinistro di Scuotivento.

— Io credo che tu sia un mago — affermò l’uomo.

— Ascolta — disse Scuotivento — se fossi un mago, sarei capace di fare una magia, giusto? Ti trasformerei in qualche altra cosa. E non l’ho fatto, quindi non lo sono.

— Abbiamo fatto fuori tutti i maghi — disse uno degli uomini. — Alcuni sono fuggiti, ma ne abbiamo ammazzati un bel po’. Quelli agitavano le mani e non è successo niente.

Scuotivento si limitò a fissarlo.

— Secondo noi anche tu sei un mago — continuò l’uomo, stringendolo in una morsa. — Hai le gambe arcuate e l’aspetto di un mago.

Scuotivento si rese conto che loro tre e il Bagaglio erano stati allontanati dai cavalli e si trovavano ora in un cerchio che si andava restringendo di uomini dall’espressione solenne sui visi grigi.

Bethan si era fatta pallida. Perfino Duefiori, la cui abilità nel riconoscere il pericolo era pari a quella del mago di sfuggirlo, appariva preoccupato.

Scuotivento respirò a fondo.

Sollevò le mani nella classica posa appresa tanti anni prima ed esclamò con voce stridente: — State indietro! O vi riempirò di magia!

— La magia è svanita — ribatté l’uomo. — L’ha portata via la stella. Tutti i falsi maghi hanno pronunciato le loro stramberie e poi non è successo niente, si sono guardati orripilati le mani e di loro, molto pochi hanno avuto il buon senso di scappare.

— Io parlo sul serio! — insisté Scuotivento.

"Mi ucciderà" pensò tra di sé. "Ecco come stanno le cose. Non valgo niente con la magia, non valgo niente con il bluff, sono solo un…"

L’Incantesimo gli si agitò nella mente. Lo sentì scorrergli nel cervello come acqua gelida e prendere forza. Un brivido freddo gli corse lungo il braccio.

Il braccio si levò in alto di propria volontà. Scuotivento sentì che la sua bocca gli si apriva e si chiudeva e che la lingua si muoveva mentre una voce che non era la sua, una voce che risuonava vecchia e secca, pronunciava sillabe che si gonfiavano nell’aria come nubi cariche di vapore.

Fiamme di ottarino gli sprizzarono dalle unghie e si avvolsero intorno all’uomo atterrito, finché questi non scomparve in una nuvola che s’innalzò sulla strada, rimase lì sospesa per un lungo momento e poi si disintegrò nel nulla.

Senza lasciare nemmeno un filo di fumo oleoso.

Scuotivento, sconvolto, si guardò la mano.

Duefiori e Bethan lo afferrarono ciascuno per un braccio e lo trascinarono attraverso la folla colpita da shock, finché non giunsero alla strada deserta. Ci fu un momento penoso quando i due vollero correre ognuno giù per una traversa differente, ma poi continuarono a galoppare con i piedi del mago che a malapena toccavano il selciato.

— La magia — mormorò lui eccitato, ebbro di potere. — Ho esercitato la magia…

— Esatto — riconobbe Duefiori per calmarlo.

— Volete che faccia un incantesimo? — chiese Scuotivento. Puntò un dito contro un cane che passava ed esclamò: — Wheeee! — La bestia gli diede un’occhiata offesa.

— Sarebbe preferibile se facessi muovere i tuoi piedi più svelti — disse Bethan.

— Sicuro! Piedi! Correte più in fretta! Ehi, guarda, lo fanno!

— Dimostrano più buon senso di te — lo rimproverò la ragazza. — Da che parte andiamo adesso?

Duefiori osservò l’intrico di vicoli intorno a loro. A una certa distanza, si sentivano grida eccitate.

Scuotivento si svincolò dalla loro presa e si avviò incerto lungo la strada più vicina.

— Io posso riuscirci! — urlò. — State soltanto a vedere…

— È sotto shock — disse Duefiori.

— Perché?

— Non ha mai fatto un incantesimo finora.

— Ma lui è un mago!

— È un po’ complicato — rispose Duefiori, correndo dietro l’amico. — Comunque, non sono sicuro che sia stato davvero lui. Di certo, la voce non sembrava la sua. Vieni, vecchio mio.

Scuotivento lo guardò con occhi spiritati, che non vedevano.

— Ti trasformerò in un cespuglio di rose — gli disse.

— Sì, sì, eccellente. Dai, vieni. — L’ometto cercava di calmarlo e lo tirava gentilmente per un braccio.

Si udì il rumore di passi provenienti da diverse direzioni, e improvvisamente un gruppo di adepti della stella avanzava verso di loro.

Bethan afferrò la mano molle di Scuotivento e l’alzò con gesto minaccioso.

— Sono ancora abbastanza lontani! — gridò.

— Giusto! — urlò a sua volta Duefiori. — Abbiamo un mago e non abbiamo paura di usarlo!

— È ciò che intendo!

La ragazza faceva girare Scuotivento per il braccio, come fosse un argano.

— Giusto! Abbiamo l’artiglieria pesante! Cosa? — disse Duefiori.

— Ti ho chiesto, dov’è il Bagaglio? — gli sibilò Bethan alle sue spalle.

Duefiori si guardò in giro. Il Bagaglio non c’era.

Scuotivento, tuttavia, stava producendo l’effetto desiderato sui seguaci della stella. Che, scambiando la sua mano oscillante per una falce rotante, cercavano di nascondersi gli uni dietro gli altri.

— Allora, dov’è andato?

— Come faccio a saperlo? — ribatté Duefiori.

— È il tuo Bagaglio.

— Spesso non so dove si trova il mio Bagaglio, è quanto capita a fare il turista. Comunque, molte volte se ne va in giro da solo. Probabilmente è meglio non chiedersi perché.

La folla cominciò a rendersi conto che in realtà non accadeva nulla e che Scuotivento non era in condizioni di scagliare insulti, tanto meno un fuoco magico. Prese ad avanzare, senza perdere di vista le sue mani.

Duefiori e Bethan indietreggiarono. L’ometto diede un’occhiata intorno.

— Bethan?

— Cosa? — chiese lei, senza distogliere gli occhi dalle figure che avanzavano.

— Questa è una strada senza uscita.

— Ne sei sicuro?

— Credo di riconoscere un muro di mattoni quando ne vedo uno — la rimproverò lui.

— Allora ci siamo.

— Credi che forse se io spiego…

— No.

— Oh!

— Secondo me, questi non sono tipi da ascoltare le spiegazioni — disse lei. Duefiori li osservò con attenzione. Come già accennato, di solito lui non pensava al suo pericolo personale. Andando contro l’esperienza dell’umanità intera, Duefiori era convinto che bastava che le persone si parlassero, bevessero qualcosa insieme, si scambiassero le foto dei nipotini, ci aggiungessero forse uno spettacolo o altro, e che allora tutto si sarebbe aggiustato. Era pure convinto che le persone fossero fondamentalmente buone ma che avessero le loro giornate cattive. Ciò che veniva avanti per la strada aveva su di lui circa lo stesso effetto di un gorilla in una vetreria.