Scuotivento annuì con forza.

— Bene — disse Herrena. — Vi vogliono morti o vivi, in un caso o nell’altro io me ne frego, ma alcuni dei miei ragazzi forse desiderano discutere con voi a proposito di quei troll. Se il sole non si fosse levato quando l’ha fatto…

Lasciò la frase in sospeso e si allontanò.

— Be’, eccoci qui ancora una volta in un bel pasticcio — disse Scuotivento, con un’altra strattonata alle corde che lo legavano. Alle sue spalle c’era una roccia e se avesse potuto sollevare i polsi… Già, come supponeva, la roccia gli procurò delle lacerazioni mentre, essendo troppo smussata, non ebbe alcun effetto sulla corda.

— Ma perché noi? — chiese Duefiori. — Ha a che vedere con quella stella, no?

— Non so niente della stella — ribatté il mago. — Non ho mai nemmeno assistito alle lezioni di astrologia all’Università.

— Secondo me alla fine tutto si aggiusterà — dichiarò l’amico.

Scuotivento lo guardò. Osservazioni come quella lo spiazzavano sempre.

— Davvero lo credi? Ma proprio davvero?

— Be’, se ci pensi, in genere le cose si aggiustano con soddisfazione.

— Se chiami soddisfacente il fatto che in quest’ultimo anno la mia vita sia stata totalmente sconvolta, allora forse hai ragione. Ho perduto il conto delle volte in cui poco è mancato che venissi ucciso.

— Ventisette — precisò l’ometto.

— Cosa?

— Ventisette volte — ripeté volenteroso Duefiori. — L’ ho calcolato. Ma in realtà non ti è successo.

— Come? Calcolato? — Scuotivento cominciava ad avere l’impressione ormai familiare di non afferrare il senso della conversazione.

— Il fatto di essere ucciso. Non sembra un po’ sospettoso?

— Quanto a questo, non ho mai fatto obiezioni, se è ciò che intendi. — Il mago si guardò i piedi. Duefiori aveva ragione, naturalmente. L’Incantesimo lo teneva in vita, era evidente. Senza dubbio, se fosse saltato giù da un dirupo, una nuvola vagante avrebbe attutito la sua caduta.

Il guaio con una simile teoria, decise, era che funzionasse soltanto se lui non la credeva vera. Nel momento stesso in cui si ritenesse invulnerabile, sarebbe morto.

Quindi, tutto sommato, era meglio non pensarci affatto.

D’altra parte, poteva avere torto.

L’unica cosa di cui fosse certo era che gli stava venendo l’emicrania. Sperava che l’Incantesimo si trovasse in zona e soffrisse.

Quando lasciarono il burrone Duefiori e Scuotivento dividevano ognuno il cavallo con uno dei loro rapitori. Il mago era sistemato assai scomodamente davanti a Weems, il quale si era slogato una caviglia ed era di pessimo umore. Duefiori sedeva davanti a Herrena e, dato che lui era piccoletto, aveva così il vantaggio di avere le orecchie al caldo. La guerriera cavalcava con il coltello in una mano e l’occhio vigile per il minimo accenno a una cassa in movimento. Herrena non era ancora riuscita a capire che cosa fosse il Bagaglio, ma era abbastanza sveglia da sapere che quello non avrebbe permesso che Duefiori venisse ucciso.

Circa dieci minuti più tardi, lo videro in mezzo alla strada, il coperchio aperto con aria invitante. Era pieno d’oro.

— Giraci intorno — ordinò la donna.

— Ma…

— È una trappola.

— Questo è vero — riconobbe Weems, pallido in volto. — Credimi sulla parola.

A malincuore deviarono i cavalli intorno alla luccicante tentazione e proseguirono al trotto per il sentiero. Weems, spaventato, si guardò indietro nel timore di vedere il baule inseguirlo.

Ciò che scorse era ancora peggio. Era sparito.

Più avanti, su un lato del sentiero, l’erba alta si mosse misteriosamente e tornò immobile.

Scuotivento non era un granché come mago e ancora meno come valoroso, ma era un esperto di vigliaccheria e conosceva la paura quando la fiutava. Disse sottovoce: — Lui ti seguirà, sai.

— Che? — domandò distratto Weems, che ancora scrutava l’erba.

— Lui è molto paziente e non si arrende mai. Hai a che fare con il legno del pero sapiente. Lascerà che tu creda che ti ha dimenticato, poi un giorno, quando cammini da solo in una strada buia, sentirai dietro a te dei passetti… shlup, shlup… tu comincerai a correre e quelli accelereranno, shlupshlupshlupSHLUP…

— Chiudi il becco — gli urlò Weems.

— Probabilmente ti ha già riconosciuto, così…

— Ti ho detto di chiudere il becco!

Herrena si girò sulla sella con un’occhiataccia. Weems, con un cipiglio, tirò l’orecchia del mago fino a trovarsela davanti alla bocca e disse con voce rauca: — Io non ho paura di niente, capito? Questa faccenda dei maghi, io ci sputo sopra.

— Dicono tatti così finché non odono i passi — ribatté Scuotivento. Tacque. La punta di un coltello gli punzecchiava le costole.

Per il resto della giornata non accadde nulla. Ma, con soddisfazione di Scuotivento e la crescente paranoia di Weems, il Bagaglio si mostrò diverse volte. Qui assurdamente appollaiato su una balza, là seminascosto in un fossato coperto di muschio.

Nel tardo pomeriggio arrivarono in cima a una collina e scorsero in basso l’ampia vallata dello Smarl superiore, il fiume più lungo del Disco. Era già largo circa un chilometro e gonfio del limo che faceva del terreno più a valle la zona più fertile del continente. Le sue sponde erano avvolte dai filamenti della prima nebbia.

— Shlup — disse Scuotivento. Sentì Weems rizzarsi sulla sella.

— Eh?

— Mi schiarivo semplicemente la gola — disse il mago con un sogghigno. Era un sogghigno ben calcolato. Del genere usato dalle persone che ti fissano l’orecchio sinistro e ti dicono con voce piena d’ansia di essere spiate da agenti segreti della vicina galassia. Non era un sogghigno da ispirare fiducia. Probabilmente se ne sono visti di peggio, ma solo da parte di quella specie di creatura che è fulva con strisce scure, ha una lunga coda e si aggira per la giungla in cerca di vittime a cui sogghignare.

Herrena li raggiunse al trotto e ordinò: — Togliti quella smorfia dalla faccia.

Nel punto in cui il sentiero conduceva alla riva del fiume, c’era una specie d’imbarcadero e un grande gong di bronzo.

— Serve a chiamare il traghettatore — spiegò Herrena. — Se attraversiamo qui, tagliamo una grande ansa del fiume. Potremmo perfino farcela ad arrivare a una città in serata.

L’espressione di Weems era dubbiosa. Il sole, una palla rossa e infuocata, era prossimo al tramonto e la nebbia cominciava a infittirsi.

— O forse desideri trascorrere la notte da questa parte del fiume?

Weems raccolse il martello e colpì con tanta violenza il gong da farlo ruotare sul suo gancio e cadere.

Attesero in silenzio. Poi con un tintinnio una catena emerse dall’acqua e si tese, ancorata a una caviglia di ferro fissata sulla riva. Alla fine la sagoma piatta di un’imbarcazione sbucò lentamente dalla nebbia; facendo forza sulla grossa ruota piazzata al centro, il traghettatore incappucciato la spingeva verso la sponda.

La chiglia piatta del traghetto grattò sulla ghiaia e la figura incappucciata si appoggiò ansimando alla ruota.

— Due alla volta — bofonchiò. — Questo è tutto. Sciolo due, con i cavalli.

Scuotivento deglutì e cercò di non guardare Duefiori. Che probabilmente avrebbe ridacchiato come un idiota. Alla fine si arrischiò a lanciargli un’occhiata di sottecchi.

L’ometto sedeva a bocca aperta.

— Tu non sei il solito traghettatore — affermò Herrena. — Sono già stata qui, e quello solito è un tipo grande e grosso, una specie di…

— E il sciuo giorno libero.

— Okay, allora — disse lei in tono dubbioso. — In questo caso… perché lui sta ridendo?

Duefiori, con le spalle che gli sussultavano e la faccia rossa, emetteva dei suoni soffocati. Herrena lo guardò con un cipiglio e poi fissò il traghettatore.

— Due di voi, afferratelo!

Dopo una pausa, uno degli uomini chiese: — Cosa, il traghettatore?