Il coperchio si richiuse di scatto. Gancia scomparì.

E, giusto nel caso Weems pensasse che si era trattato di un’incidente, il coperchio del Bagaglio si riaprì, solo per un secondo, e una grossa lingua rossa come il mogano passò su denti bianchi come il sicomoro. Poi si chiuse di nuovo.

Ad aumentare il terrore di Weems, centinaia di gambette vennero fuori dal fondo della cassa. Questa si alzò con la massima decisione, allineò con cura i piedini e si girò ad affrontarlo. Pareva che la serratura lo guardasse in maniera particolarmente malevola, con quello sguardo che dice: "Avanti, fatti sotto se hai coraggio…".

L’uomo indietreggiò e diede un’occhiata implorante a Duefiori.

— Credo sarebbe una buona idea se ci slegassi — gli suggerì l’ometto. — Una volta che ti conosce, si comporta in modo assolutamente amichevole.

Weems si passò nervosamente la lingua sulle labbra e tirò fuori il coltello. Dal Bagaglio venne uno scricchiolio di ammonimento. L’uomo tagliò le corde e indietreggiò svelto.

— Grazie — disse Duefiori.

— La mia sshchiena è di nuovo fuori uscio — si lamentò Cohen che Bethan aiutò a rimettersi in piedi.

— Che ne facciamo di quest’uomo? — domandò la ragazza.

— Gli prendiamo il coltello e gli disciamo di filarscela. Giusto? — fu la risposta del vecchio eroe.

— Sì, signore! Grazie, signore! — e Weems si slanciò verso l’ingresso della caverna. Si stagliò per un momento contro il cielo grigio che precede l’alba e poi sparì.

In lontananza si udì un grido: "aaargh".

Simile a un frangente, la luce del sole rumoreggiò silenziosa sulla terra. Qua e là, dove il campo magico era un po’ più debole, le lingue del mattino precedevano il giorno, lasciando singole isole dove indugiava la notte, che si contraevano e svanivano via via che l’oceano luminoso fluiva in avanti.

L’altopiano delle Pianure del Vortice spiccava oltre la marea avanzante come un grande vascello grigio.

È possibile pugnalare un troll, ma la tecnica richiede pratica e mai nessuno ha la possibilità di provarci più di una volta. Gli uomini di Herrena scorsero i troll spuntare dall’oscurità come fantasmi, ma fantasmi assai concreti. Le loro lame si spezzarono nell’urto contro la loro pelle silicea, uno o due brevi gridi soffocati e poi più nulla se non urla distanti nella foresta mentre gli uomini cercavano di mettere la più grande distanza possibile fra loro e la terra vendicatrice.

Scuotivento lasciò con precauzione il suo nascondiglio dietro un albero per dare un’occhiata in giro. Era solo, ma dietro a lui i cespugli frusciavano al passaggio dei troll che inseguivano la banda.

Il mago guardò su.

Dall’alto, due grandi occhi cristallini fissavano con odio qualsiasi forma molle, appiattita e soprattutto calda. Scuotivento si ritrasse terrorizzato quando una mano grande come una casa si chiuse a pugno e si abbassò verso di lui.

Il giorno arrivò in una silenziosa esplosione di luce. Per un momento l’enorme terrificante massa del Vecchio Nonnetto oppose un argine d’ombra alla luce che gli scorreva accanto. Un breve rumore come il digrignare di denti.

Poi silenzio.

Passarono diversi minuti e nulla accadde.

Degli uccellini si misero a cantare. Un calabrone ronzò su un masso che era il pugno del Vecchio Nonnetto e si posò su un ciuffo di timo cresciuto sotto un’unghia di pietra.

Scuotivento scivolò goffamente fuori dello stretto varco tra il pugno e il terreno, come il serpente che lascia la sua tana.

Si sdraiò sulla schiena a contemplare il cielo sopra la forma pietrificata del troll. Questo non era affatto cambiato, a parte l’immobilità, ma già gli occhi del mago cominciarono a giocargli degli scherzi. La notte prima lui aveva fissato delle fessure nella roccia e le aveva viste divenire occhi e bocche. Guardando adesso l’alto dirupo vide i lineamenti cambiarsi, come per magia, in semplici macchie.

— Wow! — esclamò.

Questo non lo fece sentire meglio. Si alzò, si spazzolò via la polvere e di nuovo si guardò intorno. A parte il calabrone, era completamente solo.

Si mise a esplorare i dintorni e alla fine trovò una roccia che, da certi angoli, poteva sembrare Beryl.

Era sperso e solitario e tanto lontano da casa. Lui…

Udì uno scricchiolio provenire dall’alto e schegge di roccia affondare nel terreno. Lassù, sulla faccia del Vecchio Nonnetto, apparse un buco. Poi, per un attimo, il deretano del Bagaglio che si sforzava di rimettersi in equilibrio e subito dopo la testa di Duefiori che si sporgeva dall’imboccatura della caverna.

— C’è qualcuno laggiù?

— Ehi! — urlò il mago. — Se sono contento di vederti!

— Non lo so. Lo sei? — disse Duefiori.

— Sono cosa?

— Perdinci, c’è una vista splendida da quassù!

Ci vollero almeno due ore per scendere. Per fortuna il Vecchio Nonnetto era pieno di crepe che offrivano una quantità di prese, ma il suo naso avrebbe costituito un ostacolo pericoloso se non fosse stato per la quercia lussureggiante che gli spuntava da una narice.

Quanto al Bagaglio, non si diede la pena di scendere faticosamente. Si limitò a buttarsi giù e a rimbalzare per tutto il percorso senza danno apparente.

Seduto all’ombra, Cohen cercava di riprendere fiato nell’attesa di ritrovare il proprio equilibrio mentale, mentre guardava pensieroso il Bagaglio.

— I cavalli se ne sono andati tutti — constatò Duefiori.

— Li troveremo — gli assicurò Cohen. Non distoglieva gli occhi dal Bagaglio, che cominciava a sentirsi imbarazzato.

— Portavano tutte le nostre provviste — disse Scuotivento.

— Nelle foreshte c’è scibo in quantità.

— Ho dei biscotti nutrienti nel Bagaglio — annunciò Duefiori. — I Digestivi del Viaggiatore. Fanno sempre comodo, in caso di mala parata.

— Li ho assaggiati — disse il mago. — Sono duri e… Cohen si alzò con una smorfia.

— Shcusciatemi — disse. — Sc’è una coscia che devo sciapere.

Si avvicinò al Bagaglio e afferrò il coperchio. La cassa indietreggiò rapida, ma Cohen allungò un piede ossuto e fece lo sgambetto a metà delle sue zampette. Quella si girò per azzannarlo, ma l’eroe strinse i denti e la sollevò rovesciandola sul suo coperchio ricurvo. Il Bagaglio rimase lì a dondolare arrabbiato come una tartaruga disperata.

— Ehi, quello è il mio Bagaglio! — protestò Duefiori. — Perché attacca il mio Bagaglio?

— Credo di saperlo — disse Bethan. — Credo che sia perché ne è spaventato.

Duefiori, a bocca aperta dallo stupore, si girò verso Scuotivento. Questi scrollò le spalle.

— Mettimi alla prova — disse. — Io scappo dalle cose che mi mettono paura.

Con uno scatto dei coperchio, il Bagaglio fece una capriola in aria e ricadde giù; si mise a correre e con uno dei suoi angoli rinforzati in ottone colpì Cohen alle tibie. Mentre si rigirava, il vecchio eroe ebbe il tempo di afferrarlo quel tanto da scaraventarlo contro una roccia.

— Niente male — disse Scuotivento, ammirato.

Il Bagaglio barcollò all’indietro, si arrestò un attimo, poi avanzò verso Cohen agitando minaccioso il coperchio. Con un balzo Cohen ci atterrò sopra, con le mani e i piedi presi nell’apertura tra la cassa e il coperchio.

La cosa lasciò il Bagaglio sbalordito. E fu ancora più strabiliato quando Cohen respirò a fondo e cercò di alzare con tutte le sue forze il coperchio, con i muscoli che sporgevano dalle braccia ossute come un calzino pieno di noci di cocco.

Rimasero avvinghiati così per un certo tempo, tendine contro cerniera. Presto o tardi uno dei due si sarebbe spezzato.

Bethan diede a Duefiori una gomitata nelle costole.

— Fa’ qualcosa — gli disse.

— Uhm — rispose l’ometto. — Sì. Credo che basti. Mettilo giù, per piacere.

Al suono della voce del suo padrone, il Bagaglio emise uno scricchiolìo di protesta per il suo tradimento. Il coperchio si spalancò con tanta forza che Cohen ruzzolò all’indietro, ma si rimise in piedi e si gettò contro la cassa.