Il suo contenuto non era più un mistero.

Cohen allungò dentro le mani.

Il Bagaglio scricchiolò un po’, ma evidentemente aveva valutato la possibilità di venire scagliato in cima al Grande Guardaroba del Cielo. Scuotivento si azzardò a sbirciare attraverso le dita di Cohen, mentre questi scrutava dentro il Bagaglio e imprecava sottovoce.

— Biancheria? — urlò. — Tutto qui? Scioltanto della biancheria?

— Tremava dalla rabbia.

Duefiori disse con una vocina sottile: — Credo che ci siano anche dei biscotti.

— Ma sc’era dell’oro! E l’ho vishto mangiarsi qualcuno! — Cohen guardò il mago con aria implorante.

Scuotivento sospirò. — Non chiederlo a me. Non sono io il proprietario di questo dannato affare.

— L’ho comprato in una bottega. — Duefiori era sulla difensiva.

— Ho detto che mi serviva un baule da viaggio.

— Ed è proprio quello che hai avuto — disse il mago.

— È molto leale — affermò l’ometto.

— Oh, sì. Se è la lealtà che cerchi in un bagaglio — ribatté l’amico.

— Ashpetta — disse Cohen, che si era accasciato su una roccia.

— Era forsce uno di quei negozi… voglio dire, sci scommetto che non lo avevi notato prima e quando sci scei tornato non sch’era più?

Duefiori si rianimò. — Proprio così!

— Il negoziante era un vecchietto rugoscio? Il negozio pieno di roba strana?

— Esatto. Non sono più riuscito a ritrovarlo. Pensavo di avere preso la strada sbagliata; dove credevo che si trovasse il negozio c’era solo un muro di mattoni. Ricordo di avere pensato allora che fosse piuttosto…

Cohen alzò le spalle. — Uno di quei negozi — disse. — Allora, queshto spiega tutto. — Si tastò la schiena e fece una smorfia. — Il maledetto cavallo sce n’è andato via con il mio linimento!

[Nessuno sa perché, ma tutti gli articoli realmente misteriosi e magici si acquistano in negozi che appaiono e, dopo un esercizio commerciale ancora più breve della vita di una società di comodo, svaniscono come fumo. Ci sono stati vari tentativi per spiegare il fenomeno, ma tutti non danno pienamente conto dei fatti accaduti. Tali negozi spuntano dappertutto nell’universo e la loro improvvisa inesistenza in una data città di solito si deduce dalle decine di persone che vagano per le strade, tenendo stretti articoli magici ormai esauriti e elaborate tessere di garanzia, mentre fissano con sospetto dei muri di mattoni.]

Scuotivento si ricordò di qualcosa e frugò nelle profondità della sua veste ormai stracciata e molto sporca e ne tirò fuori una boccetta verde, che tenne sollevata.

— È proprio lei! — esclamò Cohen. — Scei una meraviglia. — Guardò in tralice Duefiori.

— L’avrei avuta vinta io — disse in tono pacato — anche sce tu non gli avesci ordinato di lasciarmi andare. Alla fine l’avrei avuta vinta io.

— Giusto — disse Bethan.

— Voi due potete rendervi utili — aggiunse il vecchio eroe. — Quel tuo Bagaglio si è aperto di forza un varco nel dente del troll per tirarsci fuori. Quello era un diamante. Vedi se riesci a trovare le schegge. Mi è venuta un’idea in proposcito.

Bethan si arrotolò le maniche e stappò la boccetta e intanto Scuotivento prese da parte Duefiori. Quando furono al sicuro al riparo di un cespuglio, gli disse: — Sta dando i numeri.

Duefiori era sinceramente scioccato. — È di Cohen il Barbaro che stai parlando. Lui è il più grande guerriero che…

— Era - lo corresse l’amico. — Tutte quelle storie di preti guerrieri e zombi mangiatori d’uomini risalgono a tanti anni fa. Oggi a lui non restano che ricordi e talmente tante cicatrici che ci si potrebbe giocare a schicchera.

— Già, è molto più anziano di quanto immaginassi — convenne Duefiori. Raccolse un frammento di diamante.

— Quindi dovremmo lasciarli, ritrovare i nostri cavalli e proseguire — suggerì Scuotivento.

— Non sarebbe un trucchetto poco simpatico?

— Loro staranno benone. Il punto è, saresti contento in compagnia di uno capace di assalire il Bagaglio a mani nude?

— Non hai torto — ammise l’amico.

— A ogni modo, probabilmente loro se la caveranno meglio senza di noi.

— Ne sei sicuro?

— Assolutamente — affermò Scuotivento.

Trovarono i cavalli vaganti nel sottobosco, fecero colazione con carne di cavallo malamente essiccata e si avviarono nella direzione che Scuotivento riteneva fosse quella giusta. Pochi minuti dopo il Bagaglio sbucò dai cespugli e li seguì.

Il sole salì più alto nel cielo, senza tuttavia cancellare la luce della stella.

— È diventata ancora più grande durante la notte — osservò Duefiori. — Perché qualcuno non fa qualcosa?

— E sarebbe?

Dopo averci pensato, l’ometto rispose: — Qualcuno non potrebbe dire alla Grande A’Tuin di evitarla? Per esempio, girandoci intorno?

— Una cosa del genere è già stata tentata — lo informò Scuotivento. — I maghi hanno provato a sintonizzarsi con la mente della Grande A’Tuin.

— Non ha funzionato?

— Oh, ha funzionato benissimo. Solo che…

Solo che, spiegò, leggere in una mente grande come quella della Tartaruga del Mondo aveva comportato certi rischi imprevisti. I maghi si erano esercitati prima sulle tartarughe terrestri e poi su quelle marine giganti per comprendere la struttura della mente dei cheloni. Tuttavia, pur sapendo che la mente della Grande A’Tuin sarebbe stata enorme, non si erano resi conto che sarebbe stata lenta.

— Un gruppo di maghi l’hanno letta a turno per trenta anni — disse Scuotivento. — Tutto ciò che hanno scoperto è che la Grande A’Tuin punta a qualche cosa.

— Cosa?

— Chi lo sa?

Cavalcarono per un po’ in silenzio attraverso un terreno accidentato dove il sentiero era delimitato da grossi blocchi di calcare. Alla fine Duefiori disse: — Dovremmo tornare indietro, sai.

— Senti, arriveremo allo Smarl domani. A loro non accadrà nulla laggiù. Non vedo perché…

Si accorse di parlare a se stesso. L’amico aveva girato il cavallo e trottava via, dimostrando di sapere stare in sella come un sacco di patate.

Scuotivento abbassò gli occhi. Il Bagaglio aveva lo stesso sguardo fisso di un gufo.

— Che stai guardando? — lo apostrofò il mago. — Lui può andarsene, se vuole, perché dovrei preoccuparmene?

Il Bagaglio non disse nulla.

— Senti, lui non è una mia responsabilità — dichiarò il mago. — Mettiamo le cose in chiaro su questo punto.

Il Bagaglio restò in silenzio, ma questa volta fu più eloquente.

— Vattene… seguilo. Tu non hai niente da fare con me.

Il Bagaglio tirò dentro le sue gambette e si sistemò sul terreno.

— Be’, io me ne vado — dichiarò Scuotivento. — Parlo seriamente — aggiunse.

Fece voltare il cavallo verso il nuovo orizzonte e diede un’occhiata in basso. Il Bagaglio era sempre lì seduto.

— Non serve a niente fare appello ai miei buoni istinti. Per quel che mi interessa, puoi startene lì tutto il giorno. Io me ne vado via e basta, okay?

Lanciò un’occhiataccia al Bagaglio. Il Bagaglio la ricambiò.

— Sapevo che saresti tornato — disse Duefiori.

— Non ho voglia di parlarne — ribatté Scuotivento.

— Allora parliamo d’altro?

— Già, be’, andrebbe bene discutere come liberarsi di queste corde. Tirò sulle funi che gli legavano i polsi.

— Non riesco a immaginare perché tu sia tanto importante — affermò Herrena. Sedeva su una roccia di fronte a loro, con la spada sulle ginocchia. Il resto della banda era sdraiato sulle rocce in alto a tenere d’occhio la strada. Scuotivento e Duefiori erano rimasti vittime di un’imboscata così facile da essere patetica.

— Weems mi ha riferito che cosa ha fatto a Gancia la tua cassa — continuò lei. — Non posso dire che sia stata una grande perdita, ma spero che quel coso capisca che se si avvicina a un chilometro da noi, vi taglierò io stessa la gola. Afferrato il messaggio?