— Sei pazzo!

Duefiori lo guardò, con la testa piegata di lato. — Parli proprio tu! Io sono qui perché non so che altro fare, ma tu? — Indicò in basso gli altri maghi che arrancavano su per la scala. — E che mi dici di loro?

Una lama di luce azzurra balenò nella torre, seguita dal rumore di un tuono.

I maghi li raggiunsero. Tossivano forte e ansimavano.

— Qual è il piano? — chiese Scuotivento.

— Non c’è — rispose Wert.

— Bene. Splendido. Allora vi lascio portarlo avanti.

— Tu verrai con noi — disse Panter.

— Ma io non sono nemmeno un vero e proprio mago. Mi avete buttato fuori, ricordate?

— Non mi viene in mente nessuno studente meno dotato di te — ribatté il vecchio mago — ma adesso sei qui, e questo è l’unico requisito che ti occorre. Andiamo.

La luce lampeggiò e si spense. E i terribili suoni cessarono come se fossero stati strangolati.

Il silenzio riempì la torre: uno di quei silenzi grevi, pressanti.

— Si è fermato — disse Duefiori.

Qualcosa si mosse in alto contro il cerchio del rosso cielo. Cadde adagio, roteando, vagando da un lato all’altro. Colpì la scala a un tornante sopra di loro.

Scuotivento fu il primo ad avvicinarsi.

Era l’Octavo. Ma era lì. sul gradino di pietra, molle e senza vita come qualsiasi altro libro, con le pagine svolazzanti nella brezza che soffiava su per la torre.

Duefiori arrivò ansante al fianco dell’amico e abbassò gli occhi.

— Sono vuote — bisbigliò. — Ogni pagina è completamente vuota.

— Così c’è riuscito — disse Wert. — Ha letto gli incantesimi. E con successo, anche. Non lo avrei mai creduto.

— Abbiamo sentito tutto quel rumore — ribatté dubbioso Scuotivento. — C’è stata pure la luce. Quelle forme. Questo a me non pare un gran successo.

Panter spazzò via le sue obiezioni. — Oh, in ogni grande opera di magia si verifica sempre un certo fenomeno extradimensionale. Serve a impressionare la gente, niente di più.

— Sembrava che lassù ci fossero dei mostri — ribatté Duefiori, stando vicino al suo amico.

— Mostri? Fatemi vedere dei mostri! — esclamò Wert.

Istintivamente tutti guardarono in alto. Nessun suono. Nulla si muoveva contro il cerchio di luce.

— Penso che dovremmo salire, ehm, a congratularci con lui — propose Wert.

— Congratularci? — esplose Scuotivento. — Lui ha rubato l’Octavo. Vi ha chiusi dentro!

I maghi si scambiarono un’occhiata.

— Già, sì — disse uno di loro. — Quando avrai progredito in quest’arte, ragazzo, saprai pure che ci sono dei momenti in cui ciò che importa è il successo.

— È arrivarci che importa — rincarò Wert. — Non come si viaggia.

I maghi ripresero a salire.

Scuotivento, seduto sui gradini, fissava corrucciato nel buio.

Si sentì una mano posata sulla spalla. Era Duefiori, che reggeva l’Octavo.

— Non è questo il modo di trattare un libro — disse. — Guarda, ha piegato la costola all’indietro. La gente lo fa sempre, non ha idea di come trattarli.

— Già — confermò l’amico in tono vago.

— Non preoccuparti.

— Non mi preoccupo. Sono solo arrabbiato — scattò Scuotivento. — Dammi questo stupido affare!

Gli tolse di mano il libro e lo aprì con violenza. Frugò nelle profondità della sua mente, dove l’Incantesimo faceva capolino.

— Benone — ringhiò. — Ti sei divertito, hai rovinato la mia vita, adesso tornatene al tuo posto.

— Ma io… — protestò Duefiori.

— L’Incantesimo, intendo l’Incantesimo. Forza, tornatene nella pagina!

Fissò minaccioso l’antica pergamena fino a storcersi gli occhi.

— Allora te lo dico io! — urlò e la sua voce riecheggiò su per la torre. — Puoi andare a raggiungere gli altri, e buon prò ti faccia!

Ficcò il libro nelle braccia di Duefiori e prese a salire gli scalini. I maghi erano arrivati in cima ed erano scomparsi dalla vista. Scuotivento si arrampicò dietro a loro

— Ragazzo, eh? — borbottava. — Quando avrò progredito ne! mestiere, eh? Io sono riuscito ad andarmene in giro per anni con uno dei Grandi Incantesimi nella testa, senza impazzire per questo, no? — Ponderò a lungo sull’ultima domanda. — Sì, lo hai fatto — si rassicurò. — Non ti sei messo a parlare agli alberi, anche quando gli alberi si sono messi a parlare con te.

La sua testa emerse in cima alla torre nell’aria soffocante.

Si aspettava di vedere le pietre annerite dal fuoco e solcate dalle orme di artigli. O forse qualcosa ancora peggiore.

Vide invece i sette maghi in piedi vicino a Trymon, incolume. Che si voltò e gli sorrise cordialmente.

— Ah, Scuotivento. Vieni a unirti a noi, vuoi?

"Allora, ecco come stanno le cose" pensò questi. "Tutto quel dramma per nulla. Forse è vero che non sono tagliato per essere un mago, forse…"

Guardò Trymon negli occhi.

Forse era l’Incantesimo, in tutti gli anni vissuti nella sua testa, ad avergli influenzato gli occhi. Forse era il tempo trascorso con Duefiori, che vedeva le cose soltanto come dovevano essere, ad avergli insegnato a vederle come sono.

Una cosa era certa, però, la più difficile che Scuotivento avesse mai fatto in vita sua: guardare Trymon senza scappare terrorizzato o dare violentemente di stomaco.

Gli altri parevano non avere notato nulla.

Ma se ne stavano immobili.

Trymon aveva tentato di contenere i sette Incantesimi nella sua mente e questa non aveva retto. E le Dimensioni Sotterranee avevano trovato ugualmente una via di uscita. Immaginare che gli Esseri sarebbero sbucati fuori da una sorta di squarcio nel cielo, agitando mandibole e tentacoli, era stata una sciocchezza. Era roba antiquata, troppo rischiosa. Anche i terrori senza nome imparavano a mettersi al passo con i tempi. A loro bastava soltanto entrare in una testa.

Gli occhi di Trymon erano due buchi vuoti.

La consapevolezza di quanto era accaduto attraversò la mente di Scuotivento come una lama di ghiaccio. Le Dimensioni Sotterranee sarebbero state uno scherzetto a paragone di quanto erano capaci di fare gli Esseri in un universo ordinato. La gente anelava l’ordine, e ordine avrebbero avuto… l’ordine del giro di vite, la legge immutabile delle linee diritte e dei numeri. La gente avrebbe finito per invocare disordini e razzie…

Trymon lo stava guardando. Qualcosa lo stava guardando. E ancora gli altri non si erano accorti di nulla. Ma lui sarebbe stato capace di spiegarlo? Trymon sembrava lo stesso di sempre, salvo che per gli occhi e una lieve lucentezza della pelle.

Scuotivento continuava a fissarlo e sapeva che c’erano cose assai peggiori del Male. I demoni dell’inferno potevano torturare la tua anima, ma questo perché tenevano le anime in grande considerazione. Sempre il Male avrebbe cercato di sedurre l’universo, ma almeno lo considerava degno di essere sedotto. Ma il grigio mondo dietro quegli occhi vuoti avrebbe calpestato e distrutto senza nemmeno accordare alle sue vittime la dignità dell’odio. Non le avrebbe neppure notate.

Trymon tese la mano.

— L’Ottavo Incantesimo. Dammelo — ordinò.

Scuotivento indietreggiò.

— Questa è disubbidienza, Scuotivento. Dopo tutto, io sono il tuo superiore. Anzi, sono stato eletto capo supremo di tutti gli Ordini.

— Davvero? — La voce di Scuotivento era rauca. Guardò gli altri maghi. Erano immobili, simili a statue.

— Oh sì — rispose Trymon affabile. — Senza nemmeno bisogno di incitamento da parte mia. Molto democratico.

— Preferivo la tradizione — affermò Scuotivento. — In questo modo perfino i defunti hanno il voto.

— Tu mi darai spontaneamente l’Incantesimo. Devo mostrarti altrimenti che cosa farò? E alla fine sarai costretto sempre a cederlo. Implorerai per avere la possibilità di darmelo.

"Questo è il momento o mai più" pensò Scuotivento.

— Dovrai prenderlo — lo sfidò. — Io non te lo darò.

— Mi ricordo di te — disse Trymon. — Mi ricordo che non eri un granché come studente. Non hai mai avuto fiducia nella magia, dicevi sempre che ci doveva essere un modo migliore per governare un universo. Bene, vedrai. Ho fatto dei piani. Noi possiamo…