Scuotivento osservava la scena.

— Che succede?

— Oh, be’ — Duefiori era entusiasta — c’è questa cerimonia che risale a migliaia di anni per celebrare la, uhm, rinascita della luna. O forse del sole. No, sono quasi sicuro che è la luna. È una cerimonia molto solenne e bella, rivestita di una tranquilla dignità.

Scuotivento rabbrividì. Quando l’amico si metteva a parlare in quel modo, lui cominciava sempre a preoccuparsi. Almeno, non aveva ancora detto "pittoresca" o "strana". Il mago non aveva mai trovato una traduzione soddisfacente di quelle parole. L’unica che gli fosse riuscito di trovare che gli si avvicinasse era "guai".

— Vorrei che il Bagaglio fosse qui — disse Duefiori in tono di rimpianto. — Mi farebbe comodo la mia scatola a immagini. Sembra tutto molto strano e pittoresco.

La folla si agitava nell’attesa. Evidentemente la cerimonia stava per avere inizio.

— Senti. I druidi sono sacerdoti. Te lo devi ricordare. Non fare nulla per turbarli — raccomandò Scuotivento.

— Ma…

— Non offrirgli di comprare le pietre.

— Ma io…

— Non metterti a parlare di strani costumi folcloristici locali.

— Io credevo…

— Davvero, non cercare di concludere un’assicurazione. Questo li sconvolge sempre.

— Ma loro sono sacerdoti — piagnucolò l’ometto.

— Già — disse Scuotivento. — È proprio questo il punto, no?

Una specie di processione si stava formando all’estremità del circolo esterno.

— Ma i sacerdoti sono uomini buoni e gentili — protestò Duefiori. — Al mio paese circolano con le ciotole da mendicanti. È tutto ciò che possiedono — aggiunse.

— Ah! — esclamò il mago, che non era certo di avere capito. — Gli serve per metterci il sangue, giusto?

— Sangue?

— Sì, dei sacrifici. — Scuotivento pensava ai sacerdoti che aveva conosciuto a casa. Naturalmente, lui si preoccupava di non inimicarsi nessun dio e pertanto aveva assistito a un gran numero di funzioni religiose. E, tutto sommato, era dell’avviso che la definizione più accurata di un sacerdote nelle Regioni del Mare Circolare era quella di uno che passava un bel po’ di tempo sporco di sangue fino alle ascelle.

Duefiori era scandalizzato.

— Oh no! Da dove vengo io i sacerdoti sono sant’uomini che si sono dedicati a una vita di povertà, alle opere buone e allo studio della natura di Dio.

Scuotivento rifletté su quell’insolita asserzione.

— Niente sacrifici? — volle sapere.

— Assolutamente no.

Il mago non insistette. — Be’, a me non sembrano molto santi.

In quel momento risuonò la musica stridente di una banda di trombe di bronzo. Il mago si guardò intorno e vide una fila di druidi procedere adagio, le lunghe falci adorne di rami di vischio. Erano seguiti da druidi più giovani e da apprendisti, che suonavano differenti strumenti a percussione. Secondo la tradizione, erano destinati a scacciare gli spiriti maligni e molto probabilmente ci riuscivano.

La luce delle torce disegnava figure drammatiche sulle pietre, che si stagliavano minacciose contro il cielo illuminato da un chiarore verdastro. In direzione del Centro, le cortine scintillanti dell’aurora di Coriolis cominciarono a baluginare e a brillare tra le stelle, mentre un milione di cristalli ghiacciati danzavano nel campo magico del Disco.

— Belafon mi ha spiegato tutto — bisbigliò Duefiori. — Stiamo per assistere a un’antichissima cerimonia che celebra l’Unione dell’Uomo con l’Universo. Così ha detto.

Scuotivento guardava la processione con aria acida. I druidi si disposero intorno a una grande pietra piatta che dominava il centro del circolo. E il mago non poté fare a meno di notare in mezzo a loro una giovane donna attraente anche se piuttosto pallida. Indossava una lunga tunica bianca, portava una collana d’oro intorno al collo e aveva un’espressione vagamente apprensiva.

— È una druida? — domandò Duefiori.

— Non credo.

I druidi cominciarono a cantare. Secondo il mago, il loro era un canto particolarmente sgradevole e alquanto monotono, che dava la netta impressione che si sarebbe ampliato in un improvviso crescendo. Né la vista della giovane donna stesa sulla grande pietra contribuiva minimamente a deviare il corso dei suoi pensieri.

— Voglio rimanere — dichiarò Duefiori. — Penso che cerimonie come questa si rifanno a una semplicità primitiva che…

— Già, già — disse Scuotivento. — Ma, se proprio vuoi saperlo, quelli stanno per sacrificarla.

L’amico lo guardò esterrefatto.

— Cosa? La uccideranno?

— Sì.

— Perché?

— Non chiederlo a me. Per fare crescere le messi o far sorgere la luna o altro. O forse, più semplicemente, gli piace ammazzare le persone. Eccoti la tua religione.

Si rese conto di un mormorio basso, una sensazione piuttosto che un suono vero e proprio. Sembrava provenire dalla pietra vicina a loro. Sotto la sua superficie guizzavano puntini luminosi, simili a granellini di mica.

Duefiori apriva e chiudeva la bocca.

— Non potrebbero usare semplicemente fiori e bacche e roba del genere? Qualcosa di simbolico?

— No.

— Ci ha mai provato qualcuno?

Il mago sospirò. — Ascolta. Nessun Sommo Sacerdote che si rispetti si darebbe la briga di sobbarcarsi a questa faccenda delle trombe e della processione e delle bandiere e tutto, per poi affondare il suo coltello in un asfodelo e un paio di prugne. Devi fartene una ragione: tutte queste storie a proposito di messi dorate e cicli della natura e così via, si riducono semplicemente al sesso e alla violenza, di solito nel medesimo tempo.

Con sua grande sorpresa, all’amico tremava il labbro inferiore. Certo, lui non si limitava a guardare il mondo attraverso le lenti rosa. Questo il mago lo sapeva. Lo guardava pure attraverso un cervello tinto di rosa, e lo udiva attraverso orecchi anch’essi rosa.

Il canto si andava alzando inesorabile in un crescendo. Il capo dei druidi stava provando il filo della propria falce. E tutti gli occhi erano rivolti al dito di pietra sulle colline innevate oltre il circolo, dove la luna avrebbe fatto la sua comparsa secondo copione.

— È inutile che tu…

Ma Scuotivento parlava da solo.

Comunque, il freddo paesaggio che si stendeva fuori del circolo non era completamente privo di vita. Tanto per cominciare, anche in quel momento si stava avvicinando un gruppetto di maghi, sollecitati da Trymon.

Ma anche una piccola e solitaria figura stava contemplando la scena, al riparo di una delle pietre cadute. Nel cerchio delle pietre, una delle più grandi leggende del Disco osservava gli eventi con notevole interesse.

Vide i druidi disporsi in circolo e cantare, vide il loro capo sollevare la falce…

Udì la voce.

— Sentite! Scusatemi! Posso dire una parola?

Scuotivento si guardò intorno disperato in cerca di una via di scampo. Non ce n’erano. In piedi presso la pietra dell’altare, Duefiori aveva un dito alzato in aria e un’espressione di grande determinazione.

Il mago si ricordò di un giorno in cui l’amico, convinto che un bovaro battesse troppo forte la sua mandria, si era lanciato in un’arringa contro il maltrattamento degli animali. Risultato: lui, Scuotivento, era rimasto a terra pesto e insanguinato.

I druidi guardavano Duefiori con l’espressione riservata di solito alle pecore impazzite o a una pioggia di rane. Il mago non poteva sentire ciò che diceva l’amico, ma qualche frase come "costumi etnici" e "ghiande e fiori" volteggiavano oltre il circolo dei sacerdoti ridotti al silenzio.

Poi delle dita simili a cannucce di formaggio si chiusero sulla bocca del mago, un oggetto estremamente appuntito gli punzecchiò il pomo d’adamo e una voce impastata gli disse all’orecchio sinistro: — Non un sciuono o scei un uomo morto.

Ci mancò poco che gli occhi di Scuotivento gli schizzassero fuori dalle orbite.