— Uhm — disse il mago. — Sì?

Gli rispose una risatina soffocata. Un suono strano, piuttosto cartaceo.

— Dovresti dire "Dove sono?" — disse la voce.

— Se lo sapessi, mi piacerebbe? — ribatté Scuotivento. Si sforzava di vedere nell’oscurità. Adesso che ci si era abituato, riuscì a scorgere qualche cosa. Qualcosa di vago, appena visibile, un disegno appena percettibile nell’aria. Qualcosa stranamente familiare.

— Va bene — disse. — Dove sono?

— Stai sognando.

— Posso svegliarmi ora, per piacere?

— No — rispose un’altra voce, vecchia e arida come la prima, ma leggermente differente.

— Abbiamo da dirti una cosa molto importante — affermò una terza voce, se mai più cadaverica delle altre. Scuotivento annuì stupidamente. Dal fondo della sua mente, l’Incantesimo fece capolino al di sopra della sua spalla mentale.

— Ci hai causato un sacco di noie, giovane Scuotivento — continuò la voce. — Questo cadere dall’orlo del mondo senza nemmeno un pensiero per gli altri. Abbiamo dovuto metterci d’impegno a distorcere la realtà, sai.

— Perdinci!

— E adesso ti aspetta un compito molto importante.

— Oh. Bene.

— Molti anni fa abbiamo fatto in modo che uno dei nostri numeri si nascondesse nella tua testa. Infatti avevamo previsto che sarebbe venuto il momento in cui avresti avuto bisogno di svolgere un ruolo importantissimo.

— Io? Perché?

— Sei scappato un bel po’ — disse una delle voci. — Questa è una buona cosa. Sei uno che sa sopravvivere.

— Sopravvivere. Ci è mancato poco che rimanessi ucciso dozzine di volte!

— Esatto.

— Oh!

— Ma cerca di non cadere di nuovo fuori del Disco. Non possiamo davvero tollerarlo.

— Chi sono noi, di preciso? — volle sapere Scuotivento. Ci fu un fruscio nell’oscurità.

— In principio c’era la parola — disse una voce arida proprio dietro di lui.

— Era l’Uovo — corresse un’altra voce. — Ricordo benissimo. Il Grande Uovo dell’Universo. Leggermente gommoso.

— Vi sbagliate tutti e due, invece. Sono sicuro che era il limo primordiale.

Vicino al ginocchio del mago una voce ribatté: — No, quello è venuto dopo. Prima c’era il firmamento. Una quantità di firmamenti. Alquanto appiccicosi, come zucchero filato. Anzi, molto sciropposi…

— Nel caso interessi a qualcuno - gracchiò una voce a sinistra di Scuotivento — avete torto tutti. In principio c’era lo Schiarirsi la Voce…

— …poi la parola…

— Pardon, il limo…

— Assolutamente gommoso, secondo me…

Seguì una pausa. Quindi una voce affermò adagio: — A ogni modo, qualunque cosa fosse, la ricordiamo perfettamente.

— Proprio così.

— Esatto.

— E noi abbiamo il compito di vegliare che non le accada nulla di male, Scuotivento.

Il mago aguzzò gli occhi nell’oscurità. — Vorreste gentilmente spiegarmi di che state parlando? Ci fu un sospiro cartaceo. — Basta con la metafora — disse una delle voci. — Ascolta, è molto importante che tu custodisca l’Incantesimo nella tua testa e ce lo riporti al momento giusto, capisci. In modo che, quando il momento è proprio quello giusto, noi possiamo essere pronunciati. Comprendi?

"Possiamo essere pronunciati, noi?" pensò Scuotivento.

E capì che cos’era quel disegno, davanti a lui. Era una scritta su una pagina, vista dal di sotto.

— Sono nell’Octavo? — chiese.

— Per certi versi metafisici — rispose una delle voci in tono brusco. Gli si fece più vicina. Il mago poteva sentirne proprio davanti al naso l’arido fruscio…

Scappò via.

Il punto rosso brillava nel suo alone buio. Trymon, che indossava ancora gli abiti cerimoniali per la sua installazione a capo dell’Ordine, non riusciva a liberarsi dalla sensazione che fosse leggermente cresciuto mentre lui lo osservava. Si allontanò dalla finestra con un brivido.

— Allora? — domandò.

— È una stella — rispose il Professore di Astrologia. — Credo.

— Credi!?

L’astrologo trasalì. Si trovava con il giovane mago nell’osservatorio dell’Università Invisibile, e il minuscolo puntino rosso all’orizzonte non lo fissava più minaccioso di quanto non facesse il suo nuovo padrone.

— Be’, vedi, il fatto è che abbiamo sempre ritenuto che le stelle fossero praticamente uguali al nostro sole…

— Intendi palle di fuoco di circa un chilometro e mezzo di larghezza?

— Sì. Ma questa nuova stella qui è, be’… grande.

— Più grande del sole? — Trymon aveva sempre considerato realmente imponente una palla di fuoco di un chilometro e mezzo di larghezza, sebbene per principio lui disapprovasse le stelle. Che davano al cielo un aspetto disordinato.

— Assai più grande — rispose adagio l’astrologo.

— Più grande, forse, della testa della Grande A’Tuin?

Con aria afflitta, l’astrologo rispose: — Più grande della Grande A’Tuin e del Disco messi insieme. Abbiamo controllato — aggiunse in fretta — e siamo sicurissimi.

— Allora è grande — convenne Trymon. — Viene in mente il termine "enorme".

— Massiccio — precisò in fretta l’altro.

— Uhm.

Trymon prese a camminare su e giù per il grande pavimento a mosaici dell’osservatorio, dove figuravano i segni zodiacali del Disco. Ce n’erano dodici, a cominciare da Wezen il Canguro a due teste per finire a Gahoolie, il Vaso di Tulipani (una costellazione di grande rilievo religioso il cui significato, ahimè!, era andato perduto).

Si fermò sul tassello azzurro e oro di Mubbo la Iena, e si voltò di scatto.

— Ci sarà una collisione? — chiese.

— Temo di sì, signore — rispose l’astrologo.

— Uhm. — Trymon avanzò di qualche passo, accarezzandosi pensieroso la barba. Si arrestò sull’intersezione di Okjock il Commesso e la Pastinaca Celeste.

— Non sono un esperto in materia — disse — ma immagino che non sarebbe una bella cosa.

— No, signore.

— Molto calde, le stelle?

L’astrologo deglutì. — Sì, signore.

— Saremmo bruciati?

— Alla fine. Certo, prima ci sarebbero discomoti, maremoti, crollo gravitazionale e probabilmente l’atmosfera sarebbe strappata via.

— Ah! In una parola, mancanza di un’organizzazione decente.

L’astrologo esitò prima di arrendersi. — Si potrebbe dire così, signore.

— La gente sarebbe presa dal panico?

— Per pochissimo tempo, temo.

— Uhm — disse Trymon, che in quel momento passava sopra il Cancello del Forse e si dirigeva verso la Vacca del Cielo. Aguzzò di nuovo lo sguardo verso lo scintillio rosso all’orizzonte. Aveva preso una decisione.

Disse: — Non possiamo trovare Scuotivento e se non possiamo trovare Scuotivento, non possiamo trovare l’ottavo incantesimo dell’Octavo. Ma noi siamo convinti che l’Octavo deve essere letto per evitare la catastrofe. Altrimenti, perché il Creatore se lo sarebbe lasciato dietro?

— Forse si è trattato soltanto di una sua dimenticanza — suggerì l’astrologo.

Trymon lo fulminò con lo sguardo.

— Gli altri Ordini stanno ispezionando tutte le terre che si stendono da qui al Centro — continuò, contando sulla punta delle dita — perché non è credibile che un uomo possa involarsi dentro una nuvola e non uscirne…

— A meno che non fosse imbottita di rocce — azzardò l’astrologo in un tentativo infelice e, come si rivelò, assolutamente inutile di alleggerire l’atmosfera.

— Ma doveva tornare giù… da qualche parte. Dove? ci chiediamo.

— Dove? — ripeté volonteroso l’astrologo.

— E subito ci si è presentata la linea di azione da seguire.

— Ah! — L’astrologo spiccò una corsa per tentare di stare al passo con il mago che stava attraversando I Due Grassi Cugini.

— Ed è…?

L’astrologo si trovò a fissare due occhi grigi e miti come l’acciaio.

— Uhm. Smettiamo di cercare? — azzardò l’astrologo.

— Precisamente! Ci serviamo dei doni che il Creatore ci ha dati, a noi esseri umani, guardiamo giù e che cosa vediamo?