La prima carta, ingiallita dal fumo e accartocciata dall’età, era… Sarebbe dovuta essere la Stella. Ma invece del familiare disco con i suoi piccoli raggi, era diventata un minuscolo punto rosso. La vecchia borbottò e grattò la carta con l’unghia, poi diede un’occhiata penetrante a Scuotivento.

— Io non c’entro niente — disse questi.

La donna voltò l’Importanza di Lavarsi le Mani, l’Otto di Ottogrammi, la Volta del Cielo, lo Stagno di Notte, il Quattro di Elefanti, l’Asso di Tartarughe e… Rincewind se l’era aspettato… la Morte.

Ma anche con la Morte qualcosa era sbagliato. Sarebbe dovuto essere un disegno realistico della Morte sul suo cavallo bianco, e infatti Lei era sempre lì. Ma il cielo era illuminato di rosso e una minuscola figura, appena visibile alla luce delle lampade a grasso di cavallo, veniva giù da una distante collina. Scuotivento non dovette disturbarsi a identificarla, perché dietro a lei c’era una cassa con centinaia di gambette.

Il Bagaglio avrebbe seguito il suo proprietario ovunque.

Il mago guardò Duefiori, una forma indistinta su un mucchio di pelli di cavallo, dall’altra parte della tenda.

— È davvero morto? — chiese. Cohen tradusse per la vecchia, che scosse la testa. Si chinò su una cassetta di legno accanto a lei e prese a frugare tra una collezione di sacchetti e di bottiglie finché non trovò una fiala di liquido verde che versò nella birra di Scuotivento. Lui la fissò sospettoso.

— Lei disce che è una spescie di medicina — gli spiegò Cohen. — Io la berrei, se fosci in te. Queshta gente s’inquieta se uno non ascetta la sua ospitalità.

— Non è che mi fa saltare via la testa? — s’informò il mago.

— Lei disce che è escenziale che tu la bevi.

— Be’, se sei sicuro che è tutto okay. Di certo non può peggiorare il sapore della birra.

Bevve un sorso, conscio di avere gli occhi di tutti fissi su di lui.

— Uhm. In realtà non è proprio ca…

Si sentì prendere e gettare in aria. Solo che, d’altro canto, lui sedeva ancora accanto al fuoco… si vedeva lì, una figura che andava diminuendo nel cerchio della luce che si faceva rapidamente più piccolo. Intorno, le figurine fissavano intente il suo corpo. A eccezione della vecchia. Che guardava dritto a lui, e sogghignava.

Invece i maghi più anziani del Mare Circolare non sorridevano affatto. Si rendevano conto di assistere a un fenomeno del tutto nuovo e spaventevole: un giovane rampante.

In realtà nessuno di loro sapeva di sicuro quanti anni avesse Trymon, ma i suoi radi capelli erano ancora neri e la sua pelle aveva la levigatezza della cera che poteva essere scambiata, alla luce fioca, per il fiore della gioventù.

I sei capi superstiti degli Otto Ordini sedevano intorno al nuovo tavolo, lungo e lucente, in quello che era stato lo studio di Galder Weatherwax e ognuno si chiedeva cosa c’era di preciso in Trymon che faceva venire voglia di prenderlo a calci.

Non era che lui fosse ambizioso e crudele. Gli uomini crudeli erano stupidi: tutti loro sapevano come comportarsi con gli uomini crudeli e sapevano di certo come piegare le ambizioni altrui. Non si rimaneva a lungo un mago dell’Ottavo Livello se non si era esperto in una sorta di judo mentale.

Non era che lui fosse un violento, assetato di potere o particolarmente malvagio. Tutte cose che in un mago non costituivano necessariamente degli svantaggi. In linea di massima, i maghi non erano più malvagi di, diciamo, un comitato del normale Rotary Club. E ognuno, nella professione da lui scelta, era arrivato in alto non tanto per le sue capacità magiche quanto per non essersi dimenticato mai di sfruttare le debolezze dei suoi avversari.

Non era che lui fosse saggio in particolar modo. Ogni mago si considerava un asso in quel campo: era la professione che lo richiedeva.

Non era che lui avesse carisma. Tutti loro riconoscevano il carisma quando ci si imbattevano. E Trymon possedeva il carisma di un uovo di oca.

In effetti, era proprio quello il punto…

Trymon non era affatto buono o cattivo o crudele o eccezionale fn alcun modo, se non uno solo. Cioè innalzare la mediocrità allo stato di una delle belle arti e coltivare una mente arida, spietata e logica come i pendii dell’Inferno.

E lo strano era che ognuno dei maghi, i quali nel corso del loro lavoro avevano incontrato, nella privacy di un ottogramma magico, più di una entità sprizzante fuoco, con le ali di pipistrello e gli artigli di tigre, non avevano mai provato prima la stessa spiacevole sensazione che provavano adesso, dieci minuti dopo, quando Trymon entrò nella stanza.

— Spiacente di essere in ritardo, signori — mentì lui, fregandosi le mani con vivacità. — Ci sono tante cose da fare, tante cose da organizzare. Sono sicuro che sapete com’è.

I maghi si scambiarono un’occhiata di sottecchi mentre Trymon si sedeva a capotavola e sfogliava delle carte con aria affaccendata.

— Che ne è della poltrona del vecchio Galder, quella con i braccioli a forma di leone e le zampe da gallina? — chiese Jiglad Wert. Era sparita, insieme con la massima parte del mobilio familiare, e al suo posto c’erano delle basse poltrone di pelle dall’aria assai comoda fintantoché uno non ci si sedeva per cinque minuti.

— Quella? Oh, l’ho fatta bruciare — rispose Trymon, senza alzare gli occhi.

— Bruciare? Ma era un pezzo magico senza prezzo, una vera…

— Solo un pezzo di robaccia, temo — disse Trymon, con un sorrisetto appena accennato. — Sono sicuro che dei veri maghi non hanno bisogno di roba del genere. Ora se posso avere la vostra attenzione sullo scopo di questa riunione…

— Che cos’è questo foglio? — domandò Jiglad Wert dell’Ordine dell’Occhiolino e intanto sventolava il documento che gli era stato lasciato davanti. E lo sventolava con tanta più forza in quanto la sua poltrona, laggiù nella sua comoda e ingombra torre, era se mai ancora più ornata di quanto fosse stata quella di Galder.

— È un’agenda, Jiglad — rispose paziente Trymon.

— E che sarebbe?

— È semplicemente un elenco delle cose che dobbiamo discutere. È molto facile. Mi dispiace se pensate che…

— Non ne abbiamo mai avuto bisogno prima!

— Forse ne avete avuto bisogno, solo che non ne avete mai usata una — ribatté Trymon, in tono di grande ragionevolezza.

Wert esitò. — Be’, d’accordo — concesse imbronciato e guardando intorno al tavolo in cerca di appoggio — ma che significa qui dove dice… — guardò il foglio più da vicino — "Successore di Greyhald Spold". Sarà il vecchio Rhunlet Vard, no? Sono anni che aspetta.

— Sì, ma è una buona scelta’.’

— Cosa?

— Sono sicuro che tutti ci rendiamo conto dell’importanza della giusta leadership. Ora, Vard è… be’ una persona di valore, naturalmente, a modo suo, ma…

— Non è cosa che ci riguardi — sentenziò uno degli altri maghi. Tutti tacquero.

— Interferire negli affari di un altro Ordine? — disse Wert.

— Certo no — dichiarò Trymon. — Vi suggerisco soltanto che noi potremmo offrire… il nostro consiglio. Ma discuteremo di questo più tardi…

I maghi non avevano mai sentito l’espressione "base di potere", altrimenti Trymon non sarebbe mai riuscito a farcela. Ma la verità è che aiutare gli altri a conquistare il potere, anzi a rafforzare le proprie possibilità, era cosa a loro del tutto estranea. Per loro, ogni mago agiva da solo. Non considerando le entità paranormali ostili, un mago ambizioso aveva parecchio da fare a combattere i suoi nemici nel seno del proprio Ordine.

— Ritengo che adesso dovremmo esaminare il problema di Scuotivento — annunciò Trymon.

— E della stella — aggiunse Wert. — La gente la sta notando, sai.

Intervenne Lumuel Panter, dell’Ordine di Mezzanotte. — Sì, dicono che noi dovremmo fare qualche cosa. Cosa, mi piacerebbe sapere?

— Oh, è facile — asserì Wert. — Dicono che dovremmo leggere l’Octavo. È quello che dicono sempre. Il raccolto è cattivo. Leggete l’Octavo. Le vacche sono malate? Leggete l’Octavo. Gli Incantesimi aggiusteranno tutto.