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Lui si girò a guardarla. "Dov'è finita, l'investigatrice che conoscevo? Cos'è accaduto, alla donna che non sopportava i misteri?"

"Quella donna ha avuto momenti brutti, Johnny. Ho saputo guardarmi indietro e ho capito che la decisione di fare l'investigatrice era, in massima parte, una reazione al suicidio di mio padre. Cerco ancora di scoprire i particolari della sua morte. E intanto un mucchio di persone ha sofferto, nella vita reale. Tu compreso, amore mio."

"E hai risolto il mistero?"

"Mistero?"

"La morte di tuo padre."

Lamia si accigliò. "Non so. Non credo."

Johnny indicò la liquida massa della sfera dati che fluiva e rifluiva sopra di loro. "Lassù un mucchio di risposte ci aspetta, Brawne. Se abbiamo il coraggio di andarle a cercare."

Lei gli prese di nuovo la mano. "Lassù potremmo morire."

"Sì."

Lamia esitò, guardò in basso, verso Hyperion: il mondo era una curva tenebrosa con sacche isolate di flussodati che brillavano come fuochi di bivacco nella notte. Sopra di loro, il grande oceano ribolliva e pulsava di luce e di rumore di flussodati… e Brawne capì che quella era solo una minima estensione della megasfera. Capì… sentì… che i loro analoghi di piano dati, dopo la rinascita, potevano andare in posti che nessun cowboy cyberpuke aveva mai sognato.

Con Johnny a guidarla, Brawne seppe che la megasfera e il TecnoNucleo erano penetrabili in profondità che nessun essere umano aveva mai sondato. Ed era atterrita.

Ma, finalmente, era con Peter Pan. E l'Isola che non c'è la chiamava.

"Va bene, Johnny. Cosa aspettiamo?"

Si librarono insieme verso la megasfera.

27

Il colonnello Fedmahn Kassad seguì Moneta attraverso il portale e si trovò in una vasta pianura lunare dove un terrificante albero di spine si alzava per cinque chilometri nel cielo rosso sangue. Figure umane si contorcevano sui numerosi rami e sulle spine: le più vicine erano chiaramente umane e sofferenti, quelle più lontane erano rimpicciolite dalla distanza fino a sembrare grappoli lividi.

Kassad batté le palpebre e trasse un respiro profondo, sotto la superficie della dermotuta argento vivo. Si guardò intorno, al di là della sagoma silenziosa di Moneta, strappando lo sguardo dall'albero osceno.

Quella che aveva ritenuto una pianura lunare era la superficie di Hyperion all'imboccatura della Valle delle Tombe, ma di un Hyperion assai cambiato. Le dune erano impietrite e stravolte come se fossero state bombardate e vetrificate; i massi e le pareti rocciose erano rifluiti e si erano congelati come ghiacciai di pietra livida. Non c'era atmosfera… il cielo nero aveva l'impietosa chiarezza di una qualsiasi luna priva d'aria. Il sole non era quello di Hyperion; la luce non apparteneva all'esperienza umana. Kassad guardò in alto e i visori della dermotuta si polarizzarono per filtrare le orribili energie che riempivano il cielo di bande color rosso sangue e di fiori di vivida luce bianca.

In basso, la valle pareva vibrare come per impercettibili scosse di terremoto. Le Tombe del Tempo splendevano della propria energia interna, pulsazioni di luce fredda proiettate per molti metri sul fondo della valle, da ogni ingresso, portale, apertura. Le Tombe parevano nuove, lucide, scintillanti.

Kassad capì che solo la dermotuta gli consentiva di respirare e lo salvava dal freddo lunare che aveva preso il posto del caldo del deserto. Si girò a guardare Moneta, tentò di formulare una domanda intelligente, alzò di nuovo lo sguardo su quell'albero impossibile.

L'albero di spine pareva fatto dell'acciaio, del cromo e della cartilagine dello Shrike stesso: chiaramente artificiale eppure orribilmente organico. Il tronco era largo due o trecento metri alla base, i rami inferiori erano quasi altrettanto grossi, ma i rami più piccoli e le spine diventavano subito sottili come stiletti e tendevano al cielo il proprio carico di frutti.

Era impossibile che esseri umani così impalati vivessero a lungo; doppiamente impossibile che sopravvivessero nel vuoto assoluto di quel luogo al di fuori del tempo e dello spazio. Però sopravvivevano e soffrivano. Kassad li guardò contorcersi. Erano tutti vivi. E tutti soffrivano.

Kassad percepì la sofferenza come un suono al di là dell'udito, un'enorme e incessante sirena antinebbia di dolore, come se migliaia di dita non addestrate pestassero migliaia di tasti per suonare un massiccio organo a canne di dolore. Il dolore era così palpabile che Kassad frugò il cielo ardente, come se l'albero fosse una pira o un enorme faro con le onde del dolore chiaramente visibili.

C'erano solo la cruda notte e la quiete lunare.

Kassad aumentò l'ingrandimento delle lenti e guardò di ramo in ramo, di spina in spina. Le persone che vi si contorcevano erano di tutt'e due i sessi e di ogni età. Portavano una varietà di abiti a brandelli e di cosmetici sbavati che spaziavano per molti decenni, se non per secoli. Kassad non aveva mai visto gran parte degli stili e ritenne di osservare vittime provenienti dal futuro. C'erano migliaia, decine di migliaia di vittime. Tutte vive. Tutte sofferenti.

Kassad si fermò, mise a fuoco un ramo a quattrocento metri dalla base, sopra un grappolo di spine e di corpi molto staccato dal tronco, e una singola spina lunga tre metri sulla quale si gonfiava un mantello viola ben noto. La figura si dimenò, si contorse, si girò verso Fedmahn Kassad.

Sotto gli occhi del colonnello c'era il corpo infilzato di Martin Sileno.

Kassad imprecò e strinse i pugni, con tanta forza da sentire male alle nocche. Cercò intorno a sé le armi, ingrandì la visione per fissare il Monolito di Cristallo. Laggiù non c'era niente.

Il colonnello Kassad scosse la testa, capì che la tuta era un'arma migliore di quelle che aveva portato su Hyperion; si mise a camminare verso l'albero. Non sapeva come l'avrebbe scalato, ma avrebbe trovato il modo. Non sapeva come avrebbe portato giù vivo Sileno — lui e tutte le vittime — ma l'avrebbe fatto o sarebbe morto nel tentativo.

Percorse dieci passi e si fermò sulla cresta di una duna impietrita. Lo Shrike era fra lui e l'albero.

Sotto il campo di forza color cromo della dermotuta, Kassad capì di essersi messo a ridere ferocemente. Quella era l'occasione attesa da moltissimi anni. Quella era la guerra degna cui aveva dato in pegno vita e onore vent'anni prima, nella cerimonia Masada della FORCE. Una lotta per proteggere gli innocenti. Kassad sogghignò, appiattì la costa della mano destra fino a renderla una lama argentea, avanzò di un passo.

"Kassad!"

Al richiamo di Moneta, Kassad guardò indietro. La luce ruscellò sulla superficie argento vivo del corpo nudo della donna, mentre Moneta indicava la valle.

Un secondo Shrike emergeva dalla tomba detta Sfinge. Più giù lungo la valle, uno Shrike uscì dalla Tomba di Giada. Luci crude mandarono lampi dalle punte e dalle lame, mentre un altro emergeva dall'Obelisco, a mezzo chilometro di distanza.

Kassad li ignorò tutti; si girò verso l'albero e il suo difensore.

Cento Shrike stavano fra Kassad e l'albero. Il colonnello batté le palpebre e altri cento comparvero alla sua sinistra; si guardò alle spalle e una legione di Shrike impassibili come statue era ferma sulle fredde dune e sui massi fusi del deserto.

Kassad si batté una manata sulla coscia. "Maledizione."

Moneta gli si accostò fino a toccargli il braccio. Le dermotute si fusero e Kassad sentì contro il braccio il calore della carne di lei. Con la coscia Moneta gli sfiorava la coscia.

"Ti amo, Kassad."

Lui guardò il viso dalle linee perfette, ignorò la confusione di riflessi e di colori che lo illuminava, cercò di ricordare la prima volta che l'aveva incontrata, nella foresta presso Agincourt. Ricordò i sorprendenti occhi verdi, i corti capelli castani. La pienezza delle labbra e come sapevano di lacrime, quando senza volerlo le aveva morsicate. Alzò la mano e le toccò la guancia, sentì il tepore della pelle sotto la tuta. "Se mi ami" le trasmise "rimani qui".