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Poi il colonnello Fedmahn Kassad si girò e mandò un grido che solo lui poteva udire nel silenzio lunare… un grido che era in parte un urlo di ribellione dal lontano passato umano, in parte l'evviva degli allievi della FORCE al momento della promozione, in parte il grido di un karateka, in parte una pura e semplice sfida. Attraversò di corsa le dune, diretto all'albero di spine e allo Shrike proprio di fronte.

Adesso c'erano migliaia di Shrike sulle alture e nella valle. Artigli si aprirono di scatto all'unisono; la luce brillò su migliaia di lame taglienti come bisturi e di spine acuminate.

Kassad non badò agli altri e corse verso quello che gli sembrava il primo Shrike. Sopra la creatura, forme umane si contorsero nella solitudine della propria sofferenza.

Lo Shrike spalancò le braccia come per accoglierlo. Lame ricurve, nei polsi e nelle giunture e nel petto, parvero fuoruscire da foderi nascosti.

Kassad mandò un grido e superò gli ultimi metri.

28

— Non dovrei andare — disse il Console.

Con l'aiuto di Sol aveva trasportato Het Masteen, ancora privo di sensi, dalla Grotta alla Sfinge, dove padre Duré teneva d'occhio Brawne Lamia. Era quasi mezzanotte e la valle brillava della luce riflessa delle Tombe. Le ali della Sfinge tagliavano archi dal pezzo di cielo visibile sopra le pareti rocciose. Brawne giaceva immobile, l'osceno cavo serpeggiava nel buio della tomba.

Sol toccò la spalla del Console. — Ne abbiamo discusso. Dovresti andare.

Il Console scosse la testa e accarezzò pigramente l'antico tappeto Hawking. — Potrebbe portare due persone. Tu e Duré potreste raggiungere il punto dove è ormeggiata la Benares.

Sol resse delicatamente nella mano a coppa la testolina di Rachel e continuò a cullare piano la figlia. — Rachel ha due giorni. E poi, questo è il nostro posto.

Negli occhi del Console si leggeva la sofferenza. — Sarebbe il mio! — disse. — Lo Shrike…

Duré si sporse. La luminescenza della tomba gli dipinse l'ampia fronte e gli zigomi alti. — Figliolo, se resta qui non ha altro motivo che il suicidio. Se tenta di riportare la nave per la signora Lamia e per il Templare, aiuterà gli altri.

Il Console si strofinò la guancia. Era stanchissimo. — C'è posto anche per lei, padre, sul tappeto.

Duré sorrise. — Quafe che sia il mio destino, sento che lo incontrerò qui. Aspetterò che lei torni.

Di nuovo il Console scosse la testa, ma andò a sedersi a gambe incrociate sopra il tappeto e tirò verso di sé la pesante sacca da viaggio. Contò le razioni e le bottiglie d'acqua che Sol gli aveva preparato. — Sono troppe. A voi ne servono di più.

Duré ridacchiò. — Abbiamo cibo e acqua sufficienti per quattro giorni, grazie alla signora Lamia. Dopo, se dovremo digiunare… per me non sarà la prima volta.

— E se tornano Sileno e Kassad?

— Divideranno la nostra acqua — disse Sol. — Faremo un altro viaggio al Castello per rifornirci, se gli altri tornano.

Il Console sospirò. — E va bene. — Toccò gli appropriati disegni della trama di volo: il tappeto si irrigidì in tutti i suoi due metri e si alzò di dieci centimetri. Non si notò alcun tremolio dovuto all'incerto campo magnetico, se pure c'era.

— Avrai bisogno di ossigeno, per superare le montagne — disse Sol.

Il Console mostrò la maschera a osmosi contenuta nella sacca.

Sol gli tese l'automatica di Brawne Lamia.

— Non posso…

— Non ci servirà, contro lo Shrike — ribatté Sol. — Ma potrebbe essere la carta vincente per arrivare a Keats.

Il Console annuì e mise l'arma nella sacca. Strinse la mano al prete, poi all'anziano studioso. Le minuscole dita di Rachel gli sfiorarono il braccio.

— Buona fortuna — disse Duré. — Dio l'assista.

Il Console toccò i disegni di volo e il tappeto Hawking si sollevò di cinque metri, dondolò leggermente, scivolò in avanti e in alto, come se corresse su rotaie invisibili.

Il Console virò a destra verso l'imboccatura della valle, passò a dieci metri di quota sopra le dune, poi deviò a sinistra verso le lande desolate. Solo una volta guardò indietro. Le quattro figure sul gradino più alto della Sfinge, due uomini in piedi e due sagome distese per terra, gli parvero piccole davvero. Il Console non riuscì a distinguere la piccina fra le braccia di Sol.

Secondo gli accordi, il Console indirizzò a ovest il tappeto Hawking, per passare sopra la Città dei Poeti, con la speranza di trovare Martin Sileno. L'intuito gli diceva che forse l'irascibile poeta aveva fatto una deviazione da quella parte. Il cielo era relativamente sgombro dai bagliori della battaglia e il Console scrutò ombre non rotte dalla luce delle stelle, mentre volava a venti metri dalle guglie e dalle cupole in rovina della città. Non c'era segno del poeta. Se Brawne e Sileno erano passati da quella parte, perfino le impronte sulla sabbia erano state cancellate dal vento notturno che ora faceva svolazzare i radi capelli del Console e le sue vesti.

A quell'altezza faceva freddo. Il Console sentiva le vibrazioni del tappeto Hawking che trovava la strada lungo le incerte linee di forza. Considerando l'insidioso campo magnetico di Hyperion e l'età dei fili di volo EM, c'era davvero il rischio che il tappeto precipitasse molto prima di arrivare a Keats.

Il Console gridò varie volte il nome di Martin Sileno, ma non ottenne risposta, a parte una fuga di colombe che avevano nidificato fra le macerie della cupola di una galleria. Scosse la testa e virò a sud, verso la Briglia.

Nonno Merin aveva raccontato al Console la storia di quel tappeto Hawking: era stato uno dei primi giocattoli del genere fabbricati da Vladimir Sholokov, studioso di lepidotteri noto in tutta la Rete e ingegnere di sistemi EM; e forse era lo stesso che l'inventore aveva regalato alla nipotina. L'amore di Sholokov per la ragazzina era divenuto leggendario, come il fatto che lei aveva disprezzato il dono del tappeto volante.

Ma altri avevano apprezzato l'idea; e i tappeti Hawking, pur illegali su mondi con un ragionevole controllo del traffico, erano abbastanza comuni sui pianeti coloniali. Quello aveva permesso a nonno Merin di incontrare nonna Siri, su Patto-Maui.

Il Console alzò lo sguardo: la catena di montagne s'avvicinava. Con dieci minuti di volo aveva coperto due ore di viaggio attraverso le lande desolate. Gli altri avevano detto al Console di non fermarsi a Castel Crono per cercare Sileno: la sorte toccata al poeta avrebbe potuto reclamare anche lui, prima che cominciasse il viaggio vero e proprio. Il Console si accontentò di librarsi appena fuori delle finestre, duecento metri sulla parete rocciosa, a distanza di un braccio dalla balconata da dove tre giorni prima avevano guardato la valle, e di chiamare a gran voce il poeta.

Solo l'eco gli rispose dal buio delle sale da pranzo e dei corridoi del Castello. Il Console si resse con forza al bordo del tappeto, sentendosi esposto e troppo vicino alle pareti verticali di roccia. Si rilassò un poco, quando si allontanò dal Castello, prese quota e risalì verso i passi delle montagne, dove la neve brillava sotto le stelle.

Seguì i cavi della funivia che scavalcavano il passo e univano un picco di novemila metri all'altro, lungo tutta la catena montuosa. A quell'altezza il freddo era intenso; il Console fu contento di aver preso il mantello termico di scorta di Kassad e vi si avvolse, badando bene a non esporre mani e guance. Il gel della maschera a osmosi si tese sul viso come un simbionte affamato che ingurgitasse quel poco d'ossigeno disponibile.

Bastava. Il Console trasse respiri lenti, profondi, mentre volava a dieci metri dai cavi incrostati di ghiaccio. Le vetture pressurizzate della funivia non erano in funzione; il senso di completa solitudine, sopra ghiacciai, picchi ripidi, valli ammantate d'ombra, era terribile. Il Console era lieto di tentare quel viaggio per nessun'altra ragione se non quella di ammirare per l'ultima volta la bellezza di Hyperion, non rovinata dalla tremenda minaccia dello Shrike né dall'invasione degli Ouster.