Изменить стиль страницы

In funivia avevano impiegato dodici ore per valicare le montagne. Nonostante la bassa velocità del tappeto Havvking, venti chilometri all'ora, in sei ore il Console completò la traversata. L'alba lo colse ancora sopra gli alti picchi. Con un sussulto il Console si destò, si rese conto con stupore di avere sognato, mentre il tappeto correva verso un picco che si alzava per altri cinque metri sopra la linea di volo. Cinquanta metri più avanti si vedevano macigni e campi di neve. Un uccello nero con un'apertura alare di tre metri, uno di quelli che i locali chiamavano araldi, lasciò il nido fra i ghiacci e si librò nell'aria rarefatta, fissando l'intruso, con occhietti tondi e neri. Il Console deviò ripidamente verso sinistra, sentì qualcosa cedere, nel meccanismo Havvking, e cadde per trenta metri, prima che i fili di volo facessero presa e stabilizzassero il tappeto.

Con le dita sbiancate, il Console si aggrappò all'orlo. Per fortuna si era legato alla cintola la cinghia della sacca, altrimenti quella sarebbe caduta sul ghiacciaio molto più in basso.

Non c'era segno della funivia. Il Console aveva sonnecchiato quanto bastava perché il tappeto deviasse dalla rotta. Per un secondo si lasciò prendere dal panico, spostò il tappeto qua e là, cercò affannosamente una via fra i picchi che lo circondavano come zanne. Poi vide il sole del mattino indorare il pendio più avanti, le ombre balzare dai ghiacciai e dalla tundra alle sue spalle e a sinistra, e capì di essere ancora sul percorso giusto. Dietro l'ultima dorsale di alti picchi c'erano le colline pedemontane meridionali. E più avanti…

Il tappeto Hawking parve esitare quando il Console toccò i fili di volo e lo spinse più in alto, ma sorvolò con riluttanza l'ultimo picco di novemila metri e gli permise di scorgere le montagne più basse che a poco a poco scendevano a soli tremila metri sopra il livello del mare. Il Console scese con sollievo.

Ritrovò la funivia che brillava al sole otto chilometri a sud del punto dove aveva lasciato la Briglia. Le vetture pendevano silenziose intorno alla stazione terminale ovest. In basso, i radi edifici del villaggio Riposo del Pellegrino sembravano abbandonati proprio come alcuni giorni prima. Non c'era segno del carro a vela, nel posto dove l'avevano lasciato, alla bassa banchina sporgente sulle secche del mare d'Erba.

Il Console atterrò nei pressi della banchina, disattivò il tappeto, si sgranchì le gambe, con un certo dolore, prima di arrotolarlo per metterlo al sicuro; vicino al molo, in un edificio abbandonato, trovò un gabinetto. Quando ne uscì, il sole del mattino strisciava dalle alture pedemontane e cancellava le ultime ombre. Lontano, a perdita d'occhio verso sud e ovest, si estendeva il mare d'Erba, liscio come il piano di un tavolo, la cui natura era tradita da brezze occasionali che increspavano la superficie e per un attimo rivelavano gli steli rosso fulvo e oltremare, con un movimento così simile a quello delle onde che ci si aspettava di vedere creste di spuma e pesci guizzare all'aria.

Non c'erano pesci, nel mare d'Erba, ma c'erano serpenti d'erba lunghi venti metri; e se il tappeto Hawking si fosse guastato, anche dopo un atterraggio morbido il Console non sarebbe rimasto vivo a lungo.

Il Console stese il tappeto, mise dietro di sé la sacca, attivò il motore. Si tenne a venticinque metri dalla superficie, quota bassa, ma non abbastanza perché un serpente d'erba potesse scambiarlo per un bocconcino volante. Il carro a vela aveva impiegato meno di un giorno di Hyperion, per trasportare i pellegrini attraverso il mare d'Erba, ma con frequente vento da nordest che aveva comportato un po' di beccheggio. Il Console era sicuro di sorvolare in meno di quindici ore la parte più stretta del mare d'Erba. Toccò i disegni di comando e il tappeto balzò in avanti a velocità più sostenuta.

Nel giro di venti minuti le montagne rimasero indietro finché anche le alture pedemontane non si persero nella foschia della distanza. Nel giro di un'ora, i picchi cominciarono a rimpicciolirsi e la curvatura del pianeta ne nascose la base. Dopo due ore, il Console scorgeva solo i picchi più alti come un'ombra indistinta e scanalata che sporgeva dalla foschia.

Poi il mare d'Erba si estese in tutte le direzioni, sempre uguale, a parte le sinuose increspature e gli avvallamenti causati di tanto in tanto dalla brezza. Faceva molto più caldo che nell'alto pianoro a nord della Briglia. Il Console si tolse il mantello termico, poi la giacca, poi il maglione. Il sole batteva con forza sorprendente, per latitudini così alte. Il Console frugò nella sacca, trovò il cappello a tricorno, stropicciato e rovinato, che aveva portato con tanta spigliatezza solo due giorni prima, e se lo cacciò in testa per proteggersi. La fronte e la pelata erano già arrossate dal sole.

Dopo circa quattro ore, consumò il primo pasto del viaggio e mandò giù le strisce insapori di proteine delle l'azioni da campo come se fossero filet mignon. L'acqua fu la parte più deliziosa e il Console represse l'impulso di vuotare tutte le bottiglie per bere a sazietà.

Il mare d'Erba si estendeva sotto di lui, davanti, dietro. Il Console sonnecchiò, risvegliandosi bruscamente ogni volta con la sensazione di cadere e afferrandosi al bordo del tappeto. Capi che si sarebbe dovuto legare, usando l'unico pezzo di corda che aveva nella sacca, ma preferiva non atterrare… l'erba era tagliente e più alta di lui. Non aveva visto nessuna scia a V rivelatrice, ma non poteva essere sicuro che i serpenti d'erba non se ne stessero in riposo e in attesa, più sotto.

Si domandò oziosamente dove fosse finito il carro a vela. Il veicolo era completamente automatizzato e presumibilmente programmato dalla Chiesa dello Shrike, dal momento che era stata quest'ultima a favorire il pellegrinaggio. Chissà quali altri compiti aveva avuto il carro a vela. Il Console scosse la testa, sedette dritto, si pizzicò le guance. Aveva cominciato ad appisolarsi, anche mentre pensava al carro a vela. Quindici ore erano parse un periodo abbastanza breve, quando ne aveva parlato, nella Valle delle Tombe. Diede un'occhiata al comlog: erano trascorse cinque ore.

Il Console portò il tappeto a duecento metri di quota, guardò attentamente se c'erano segni di serpenti, poi scese a cinque metri e si mantenne librato sull'erba. Estrasse la corda, confezionò un cappio, si spostò sul davanti del tappeto e lo avvolse con vari giri di fune, lasciando spazio sufficiente a scivolarvi dentro, prima di stringere il nodo.

In caso di caduta, il legaccio sarebbe stato peggio che inutile; ma le strette spire di corda contro la schiena gli diedero un senso di sicurezza, quando si sporse a toccare di nuovo i fili di volo, stabilizzò il tappeto a quaranta metri di quota e si distese con la guancia contro il tessuto tiepido. La luce del sole gli filtrò tra le dita e il Console si rese conto che il braccio nudo avrebbe subito una brutta scottatura.

Era troppo stanco per mettersi a sedere e srotolarsi le maniche.

Si levò la brezza. Il Console sentì il fruscio e il brusio, in basso: l'erba si muoveva al vento oppure al passaggio di una grossa creatura.

Era troppo stanco per badarvi. Chiuse gli occhi e in meno di trenta secondi si addormentò.

Il Console sognò la propria casa, la casa vera, su Patto-Maui e il sogno fu pieno di colore: l'infinito cielo azzurro, l'ampia distesa del mar Meridionale, blu oltremare che cambiava in verde dove iniziavano le Secche Equatoriali, gli stupefacenti verdi e gialli e rossi orchidea delle isole mobili spinte a nord come greggi dai delfini… ormai estinti, dopo l'invasione dell'Egemonia durante l'infanzia del Console, ma vivi nel sogno, delfini che con grandi balzi frangevano l'acqua e facevano danzare nell'aria pura migliaia di prismi di luce.

Nel sogno, il Console era di nuovo bambino e stava sul livello più alto di un albero-casa, nella loro Isola Prima Famiglia. Nonna Siri era accanto a lui… non la regale grande dame che aveva conosciuto, ma la bella fanciulla di cui suo padre si era innamorato. Le albero-vele sbattevano al vento, mentre i delfini spingevano in precisa formazione la mandria di isole mobili attraverso i canali azzurri fra le Secche. A nord, proprio all'orizzonte, le prime isole dell'Arcipelago Equatoriale si delineavano, verdi e stabili, contro il cielo della sera.