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— Sì.

— Già — disse piano Sileno. — Sì. Tutt'e due le cose. E tutt'e due erano reali. E facevano male. E ti vorrò bene per sempre, Brawne, per avermi salvato. Per me, sarai sempre capace di camminare nell'aria. — Le prese la mano e gliela baciò. — Entri?

— No, vorrei fare due passi in giardino.

Il poeta esitò. — Va bene. Credo. Abbiamo pattuglie, mecc e umane. E per il momento il nostro Grendel-Shrike non ha fatto l'apparizione bis… ma stai attenta. D'accordo?

— Non dimenticarlo, sono l'ammazza-Grendel. Cammino nell'aria e li trasformo in orchi di vetro per ridurli in frantumi.

— Ah-ha, ma non allontanarti dal giardino. D'accordo, ragazza?

— D'accordo — disse Brawne. Si toccò il ventre. — Saremo prudenti.

Lui aspettava nel giardino, dove la luce non arrivava del tutto e le telecamere non riuscivano a riprendere.

— Johnny! — ansimò Brawne e mosse rapidamente un passo avanti, sul sentiero di ghiaia.

— No — disse lui e scosse la testa, forse con un po' di tristezza. Esattamente gli stessi capelli rossicci, occhi castani, mento volitivo, zigomi alti, sorriso dolce. Vestiva in maniera un poco bizzarra, un pesante giaccone di pelle, cintura larga, scarponi, bastone da montagna e un rozzo berretto di pelliccia, che si tolse nell'avvicinarsi.

Brawne si fermò a meno di un metro. — Ma certo — disse, in poco più di un bisbiglio. Allungò la mano per toccarlo e la mano attraversò il corpo di lui, anche se non c'erano il tremolio e i contorni confusi degli ologrammi.

— Questo posto è ancora ricco nei campi della metasfera — disse Johnny.

— Ah-ha — convenne Brawne, senza capire affatto di cosa parlasse. — Sei l'altro Keats. Il gemello di Johnny.

Il bassotto sorrise e tese la mano come per toccarle il ventre gonfio. — Questo fa di me una sorta di zio, vero, Brawne?

Lei annuì. — Sei stato tu a salvare la piccina… Rachel… vero?

— Sei riuscita a vedermi?

— No — mormorò Brawne. — Ma ho sentito la tua presenza. — Esitò un istante. — Ma tu non eri colui del quale parlò Ummon, la parte Empatia dell'IF umana?

Lui scosse la testa. I ricci mandarono riflessi, nella luce fioca. — Ho scoperto di essere Colui Che Viene Prima. Preparo la via a Colei Che Insegna. Purtroppo il mio unico miracolo è stato prendere in braccio una neonata e aspettare che qualcuno la prendesse a me.

— Mi hai aiutata… con lo Shrike? A stare in aria?

John Keats si mise a ridere. — No. E non è stata neppure Moneta. Sei stata tu, Brawne.

Lei scosse con forza la testa. — Impossibile.

— Non impossibile — disse lui, piano. Allungò la mano per toccarle di nuovo il ventre e lei immaginò di sentire la pressione del suo palmo. Johnny mormorò: — "Tu, sposa ancora intatta della quiete, / tu, figlia adottiva dal silenzio e del tempo lento…" — Guardò in viso Brawne. — Senza dubbio la madre di Colei Che Insegna può esercitare alcune prerogative.

— La madre di… — A un tratto Brawne sentì il bisogno di sedersi e trovò una panchina appena in tempo. Mai prima di allora era stata goffa, ma adesso non riuscì proprio a sedersi con grazia. Pensò, anche se non c'entrava per niente, al dirigibile che sarebbe giunto l'indomani mattina.

— Colei Che Insegna — ripeté Keats. — Non so cosa insegnerà, ma cambierà l'universo e metterà in moto idee che saranno vitali anche fra diecimila anni.

— Mia figlia? — riuscì a dire Brawne, sentendosi mancare l'aria. — La figlia di Johnny e mia?

La persona-Keats si lisciò la guancia. — L'unione di spirito umano e logica IA che Ummon e il Nucleo hanno cercato per tanto tempo, e sono morti senza capire — disse. Avanzò di un passo. — Vorrei solo essere dalle sue parti, quando insegnerà quel che dovrà insegnare. Vedere quale effetto avrà sul mondo. Su questo mondo. Altri mondi.

La mente di Brawne girava vorticosamente. Ma la donna aveva sentito qualcosa, nel suo tono. — Perché? Dove sarai? Cosa non va?

Keats sospirò. — Il Nucleo è morto. Le sfere dati qui sono troppo piccole per contenermi anche in forma ridotta… a parte le IA della nave della FORCE, e quelle non credo che mi piacerebbero. Non ho mai preso bene gli ordini.

— E non c'è altro posto? — domandò Brawne.

— La metasfera — rispose lui, lanciandosi alle spalle un'occhiata. — Ma è piena di leoni, tigri, orsi. E io non sono ancora pronto.

Brawne lasciò correre. — Ho un'idea — disse. Gliela espose.

L'immagine del suo amato le venne più vicino, le mise le braccia al collo. — Tu sì che sei un miracolo, signora mia — disse. Arretrò nelle ombre.

— Sono solo una donna incinta — replicò Brawne. Si posò la mano sul gonfiore sotto la veste. — Colei Che Insegna — mormorò. Poi, a Keats: — D'accordo, tu sei l'arcangelo che annuncia tutto questo. Quale nome devo darle?

Non ricevendo risposta, Brawne alzò lo sguardo.

Fra le ombre non c'era nessuno.

Prima del sorgere del sole, Brawne era già allo spazioporto. Non era esattamente un gruppo allegro, quello che salutava. Al di là della normale tristezza degli addii, Martin, il Console e Theo avevano i postumi della bevuta, dal momento che le pillole doposbronza erano esaurite, nell'Hyperion post-Rete. Solo Brawne era di buon umore.

— Quel maledetto computer della nave si comporta stranamente per tutta la mattina — brontolò il Console.

— Com'è possibile? — sorrise Brawne.

Il Console la guardò storto. — Chiedo di effettuare un normale controllo prima della partenza e la stupida nave mi risponde versi.

— Versi? — disse Sileno, inarcando il sopracciglio da satiro.

— Già… state a sentire. — Il Console mise in funzione il comlog. Una voce ben nota a Brawne disse:

Così, voi tre Fantasmi, adieu! Non potete alzare
la mia testa infilata nella fredda erba fiorita;
infatti non mi nutrirei di soli applausi,
agnello domestico in una farsa sentimentale!
Svanite piano dai miei occhi e siate ancora una volta
in figure da maschera sull'urna sognante;
addio! Ho ancora visioni per la notte
e visioni più sbiadite sono in serbo per il giorno;
svanite, fantasmi, dal mio spirto ozioso,
svanite nelle nuvole e non fate più ritorno!

Theo Lane disse: — Una IA difettosa? Credevo che la nave avesse una delle migliori intelligenze, al di fuori del Nucleo.

— Infatti — disse il Console. — Non è difettosa. Ho fatto il controllo cognitivo e di funzione. Tutto è a posto. Però mi dà… questa roba! — Indicò la lettura di registrazione del comlog.

Martin Sileno lanciò un'occhiata a Brawne Lamia, scrutò attentamente il sorriso della donna, poi si rivolse al Console. — Bene, pare che la tua nave diventi erudita. Non preoccupartene. Sarà una buona compagnia, durante il viaggio laggiù e ritorno.

Nella pausa che seguì, Brawne tirò fuori un involto voluminoso. — Un regalo di addio — disse.

Il Console scartò l'involto, lentamente dapprima, poi strappando via la confezione, mentre compariva il piccolo tappeto piegato, sbiadito, logoro. Il Console vi passò sopra la mano, alzò lo sguardo e parlò con voce piena di emozione. — Dove… come hai…

Brawne sorrise. — Una profuga indigena l'ha trovato sotto le chiuse Karla. Cercava di venderlo al mercato di Jacktown, quando sono capitata lì io. Nessuno era interessato all'acquisto.

Il Console trasse un profondo sospiro e passò la mano sui disegni del tappeto Hawking che aveva portato suo nonno Merin al fatale incontro con sua nonna Siri.

— Purtroppo non credo che volerà ancora — disse Brawne.

— I filamenti di volo hanno bisogno di ricarica — disse il Console. — Non so come ringraziarti…