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— Sol — chiamò infine, senza credere nemmeno per un istante che il trasmettitore avrebbe funzionato, tra la roccia e le maree del tempo.

— Eccomi — rispose l'anziano studioso, nel più fievole dei bisbigli.

— Sono andato molto avanti — mormorò nel comlog il Console. — In fondo a un corridoio che non ricordo di avere mai visto. Mi sembra di essere a grande profondità.

— Hai scoperto dove termina il cavo?

— Sì — rispose piano il Console. Si sedette e con il fazzoletto si asciugò il viso sudato.

— Un nesso? — domandò Sol, riferendosi agli innumerevoli nodi terminali dove i cittadini della Rete potevano collegarsi alla sfera dati.

— No. Sembra che quest'affare scorra dritto nella pietra del pavimento. Anche il corridoio termina qui. Ho provato a rimuovere il cavo, ma la giunzione è simile al punto dove lo shunt neurale è saldato al cranio. Sembra parte della roccia e basta.

— Vieni fuori — disse Sol, fra il gracidio della statica. — Proveremo a tagliarlo.

Nel tunnel umido e buio, per la prima volta nella sua vita, il Console si sentì sopraffatto dalla claustrofobia. Trovò difficile respirare. Era sicuro di avere alle spalle qualcosa che gli toglieva l'aria e bloccava l'unica via di ritirata. Udiva quasi il battito del proprio cuore, nello stretto passaggio di pietra dove si poteva solo procedere strisciando.

Respirò lentamente, si asciugò di nuovo il viso, respinse il panico. — Potrebbe uccidere Brawne — disse, fra una lenta boccata d'aria e l'altra.

Nesuna risposta. Il Console chiamò di nuovo, ma qualcosa aveva reciso il tenue legame comlog.

— Esco — annunciò nello strumento muto e si girò, facendo correre il raggio luminoso lungo il basso tunnel. Il cavo/tentacolo si era mosso, o si trattava di un semplice gioco di luce?

Il Console iniziò a strisciare rifacendo il percorso dell'andata.

Avevano trovato Het Masteen al tramonto, qualche minuto prima che la tempesta temporale si scatenasse. Il Templare barcollava, quando il Console, Sol e Duré l'avevano visto; ed era caduto privo di sensi, prima che lo raggiungessero.

— Portiamolo nella Sfinge — disse Sol.

In quel momento, come se il sole al tramonto avesse progettato la coreografia, le maree del tempo fluirono su di loro come un'ondata di nausea e di déjà vu. I tre caddero sulle ginocchia. Rachel si svegliò e si mise a piangere col vigore di una creatura appena nata e atterrita.

— All'imbocco della valle — ansimò il Console, tenendo in spalla Het Masteen. — Dobbiamo… uscire… dalla valle.

I tre si mossero verso l'imboccatura della valle e oltrepassarono la prima tomba, la Sfinge, ma le maree del tempo peggiorarono, soffiarono contro di loro come un orribile vento di vertigine. Dopo trenta metri, non riuscirono più a procedere. Caddero sulle mani e sulle ginocchia, Het Masteen rotolò sul sentiero di terra battuta. Rachel aveva smesso di piangere e si agitò a disagio.

— Indietro — ansimò Paul Duré. — Giù nella valle. Era… meglio… di sotto.

Ripercorsero la strada già fatta, barcollarono lungo il sentiero come tre ubriachi, portando ciascuno un carico troppo prezioso per lasciarlo cadere. Si riposarono un momento sotto la Sfinge, con la schiena contro un masso, mentre il tessuto stesso dello spazio e del tempo sembrava mutare e deformarsi intorno a loro. Era come se il mondo fosse stato una bandiera che qualcuno avesse srotolato con un gesto rabbioso. La realtà parve gonfiarsi e ripiegarsi, poi tuffarsi lontano e rifluire su se stessa come un'onda. Il Console lasciò il Templare disteso contro il masso e cadde ginocchioni, ansimò, artigliò in preda al panico il terreno.

— Il cubo di Moebius — disse il Templare, agitandosi, sempre a occhi chiusi. — Dobbiamo prendere il cubo di Moebius.

— Maledizione — riuscì a dire il Console. Scosse con rudezza Het Masteen. — A cosa ci serve? Masteen, a cosa ci serve? — La testa del Templare ciondolò, inerte. L'uomo era svenuto di nuovo.

— Lo prendo io — disse Duré. Il prete parve vecchissimo e malato, con il viso e le labbra livide.

Il Console annuì, si mise in spalla Het Masteen, aiutò Sol a rialzarsi, barcollò giù nella valle; le correnti di risucchio dei campi anti-entropici si indebolirono, mentre loro si allontanavano dalla Sfinge.

Padre Duré aveva risalito il sentiero e la lunga scalinata; barcollò fino all'ingresso della Sfinge, aggrappandosi alle pietre scabre come un marinaio si afferrerebbe alla gomena lanciatagli nel mare infuriato. La Sfinge parve traballare sopra di lui, prima s'inclinò di trenta gradi da una parte, poi di cinquanta dall'altra. Duré capì che era solo la violenza delle maree del tempo a distorcergli i sensi, ma questo bastò a farlo cadere in ginocchio e vomitare sulla pietra.

Le maree s'interruppero un momento, come una risacca violenta che recedesse tra un'ondata e l'altra; Duré si ritrovò in piedi, si pulì la bocca con il dorso della mano ed entrò incespicando nella tomba buia.

Non aveva portato una torcia; trovò a tentoni la strada, atterrito dalla duplice fantasticheria di toccare nel buio qualcosa di viscido e freddo o di incappare nella stanza dov'era rinato e di trovarvi il proprio cadavere in via di decomposizione. Duré urlò, ma il grido si perse nel ruggito da tornado delle proprie pulsazioni, mentre le maree del tempo tornavano in forze.

La camera dove avevano dormito era buia, di quel terribile buio che significa totale assenza di luce, ma gli occhi di Duré si adattarono e il prete capì che il cubo di Moebius stesso riluceva debolmente, fra un palpitare di spie luminose.

Attraversò inciampando la stanza ingombra, afferrò il cubo e con un improvviso flusso di adrenalina riuscì a sollevarlo. Le note del Console avevano parlato di quel misterioso bagaglio di Masteen durante il pellegrinaggio e del fatto che si credeva contenesse un erg, una delle creature aliene composte di campi di forza e usate per fornire energia alle navi-albero dei Templari. Duré non aveva la minima idea del perché l'erg fosse importante in quella situazione, ma afferrò la scatola e la strinse al petto, mentre ripercorreva faticosamente il corridoio, usciva, scendeva i gradini, s'inoltrava nel cuore della valle.

— Da questa parte! — chiamò il Console, dalla prima Grotta alla base della parete rocciosa. — Qui va meglio.

Duré risalì barcollando il sentiero, quasi lasciò cadere il cubo, per la confusione e per l'improvviso sfinimento. Il Console lo aiutò negli ultimi trenta metri.

Dentro la tomba andava meglio. Duré sentiva il flusso e riflusso delle maree del tempo appena al di là dell'ingresso, ma in fondo, dove la fredda luce dei fotoglobi rivelava complicate sculture, la situazione era quasi normale. Il prete si lasciò cadere accanto a Sol Weintraub e posò il cubo di Moebius accanto alla figura silenziosa di Het Masteen, che guardava con occhi fissi.

— Si è svegliato, mentre lei si avvicinava — mormorò Sol. Gli occhi della piccina erano spalancati e scurissimi, nella debole luce.

Il Console si lasciò cadere accanto al Templare. — A cosa ci serve, il cubo? Masteen, a cosa ci serve?

Lo sguardo di Het Masteen non vacillò; il Templare non batté ciglio. — Nostro alleato — bisbigliò. — Unico alleato contro il Signore della Sofferenza. — Le parole erano sottolineate dalla particolare cadenza del mondo dei Templari.

— In che modo è nostro alleato? — domandò Sol; con tutt'e due le mani afferrò il Templare per la veste. — Come lo usiamo? Quando?

Lo sguardo del Templare fissava qualcosa d'infinitamente remoto. — Abbiamo fatto a gara per avere l'onore — mormorò, con voce rauca. — La Vera Voce della Sequoia Sempervirens fu il primo a mettersi in contatto con il cìbrido Keats… ma io ebbi l'onore della luce del Muir. Fu la Yggdrasill, la mia Yggdrasill, a essere offerta in espiazione dei nostri peccati contro il Muir. — Chiuse gli occhi. Il lieve sorriso parve fuori luogo, sul suo viso severo.