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— Sì, ma non sapranno perché il nostro mondo è stato risparmiato. Toccherà a lei, portare il messaggio. Spiegare questa verità.

— Al diavolo — esclamò padre Duré. — Sono stufo di essere il messaggero di tutti. Come fa a sapere queste cose? L'arrivo dello Shrike? Il motivo della guerra?

— Ci sono profezie… — cominciò Sek Hardeen.

Duré batté il pugno sulla balaustra. Come spiegare le manipolazioni di una creatura che poteva, o almeno che era un agente della forza che poteva, manipolare il tempo stesso?

— Vedrà… — cominciò di nuovo il Templare. Quasi a sottolineare le sue parole, ci fu un rumore immane e pacato, come se un milione di persone nascoste avesse emesso un sospiro e poi un gemito sordo.

— Buon Dio — esclamò Duré. A ponente sembrava che il sole sorgesse nel punto dove era scomparso da meno di un'ora. Un vento caldo fece frusciare le foglie e gli soffiò sul viso.

Cinque nubi a fungo sbocciarono e si arricciarono sopra l'orizzonte occidentale, mutando in giorno la notte, mentre ribollivano e svanivano. D'istinto, Duré si coprì gli occhi, finché non si rese conto che le esplosioni erano troppo lontane e, per quanto vivide come il sole locale, non l'avrebbero reso cieco.

Sek Hardeen si tirò indietro il cappuccio; il vento caldo gli scompigliò i capelli, lunghi e con una bizzarra sfumatura verdastra. Duré fissò i tratti scarni, vagamente asiatici dell'uomo e si accorse che mostravano sorpresa. Sorpresa e incredulità. Nel cappuccio di Hardeen risuonarono mormorii e microchiacchiere di voci agitate.

— Esplosioni a Sierra e a Hokkaido — mormorò il Templare tra sé. — Esplosioni nucleari. Dalle navi in orbita.

Duré ricordò che Sierra era un continente, chiuso ai forestieri, a meno di ottocento chilometri dall'Albero Mondo su cui si trovavano. Gli parve che Hokkaido fosse l'isola sacra dove erano coltivate le potenziali navi-albero.

— Vittime? — domandò; ma prima che Hardeen potesse rispondere, il cielo fu tagliato da vivide luci: venti e più laser tattici, CPB e lance a fusione tracciarono una falce da orizzonte a orizzonte, muovendosi come proiettori sul tetto del mondo foresta che era Bosco Divino. E dove colpivano, eruttava una scia di fiamme.

Duré barcollò, mentre un raggio ampio cento metri scivolava come un tornado sulla foresta, a meno di un chilometro dall'Albero Mondo. L'antica foresta esplose in fiamme, creò un corridoio di fuoco che si alzava per dieci chilometri nel cielo notturno. Il vento ruggì, sfiorò Duré e Sek Hardeen, mentre l'aria si precipitava ad alimentare la tempesta di fuoco. Un altro raggio colpì da nord a sud, sfiorò l'Albero Mondo, scomparve al di là dell'orizzonte. Un'altra falce di fiamme e di fumo si alzò verso le infide stelle.

— Avevano promesso! — ansimò Sek Hardeen. — I fratelli Ouster avevano promesso!

— Avete bisogno di aiuto! — esclamò Duré. — Chieda alla Rete l'aiuto di emergenza.

Hardeen afferrò Duré per il braccio, lo tirò sull'orlo della piattaforma. La scala era di nuovo al suo posto. Sulla piattaforma inferiore, scintillava il riquadro di un teleporter.

— È solo l'avanguardia della flotta Ouster — gridò il Templare, per superare il rumore della foresta in fiamme. Cenere e fumo riempivano l'aria, vagavano tra braci ardenti. — Ma la sfera di anomalia sarà distrutta da un momento all'altro. Vada via!

— Non me ne vado senza di lei — gridò il gesuita, certo che la voce non sarebbe stata udita sopra il ruggito del vento e il terrificante scoppiettio. A un tratto, appena qualche chilometro a oriente, il perfetto cerchio azzurro di una esplosione al plasma si allargò, implose, si dilatò di nuovo nei cerchi concentrici ben visibili dell'onda di urto. Alberi alti chilometri si piegarono e si spezzarono sotto la prima onda di esplosione: la parte esposta a est scoppiò in fiamme, le foglie volarono via a milioni e s'aggiunsero alla muraglia quasi compatta di detriti che correva verso l'Albero Mondo. Dietro il cerchio di fiamme, esplose un'altra bomba al plasma. Poi una terza.

Duré e il Templare caddero giù dagli scalini e furono sospinti sulla piattaforma inferiore come foglie su un marciapiede. Il Templare si aggrappò a una balaustra di legno muir in fiamme, attanagliò in una stretta ferrea il braccio di Duré, si tirò faticosamente in piedi, si mosse verso il riquadro ancora scintillante del teleporter, come un uomo che si abbandoni alla furia di un ciclone.

Stordito, accorgendosi a malapena di essere trascinato, Duré riuscì a mettersi in piedi proprio mentre la Vera Voce dell'Albero Mondo Sek Hardeen lo tirava fin sulla soglia del portale. Duré rimase aggrappato all'intelaiatura, troppo debole per superare l'ultimo metro; al di là del teleporter vide uno spettacolo che non avrebbe più dimenticato.

Una volta, molti e molti anni prima, nei pressi dell'amata Villefranche-sur-Saône, il giovane Paul Duré si era trovato sulla cima di una scogliera, al sicuro fra le braccia del padre e al riparo di uno schermo di cemento di notevole spessore, e da una finestrella aveva guardato uno tsunami alto quaranta metri precipitarsi contro la costa dove abitavano.

Questo tsunami era alto tre chilometri, era fatto di fiamme, correva a quella che pareva la velocità della luce sull'inerme tetto della foresta verso l'Albero Mondo, Sek Hardeen e Paul Duré, distruggendo tutto ciò che toccava. L'uragano infuriò più vicino, si alzò più in alto fino a oscurare tra fiamme e frastuono il mondo e il cielo.

— No! — urlò padre Duré.

— Vada via! — gridò la Vera Voce dell'Albero Mondo e spinse il gesuita al di là del portale, mentre la piattaforma, il tronco dell'Albero Mondo e la tonaca del Templare prendevano fuoco.

Il teleporter si spense proprio mentre Duré lo varcava rotolando; si contrasse e tagliò di netto il tacco della scarpa del prete. Duré sentì che i timpani gli scoppiavano e le vesti prendevano fuoco; cadde, con la nuca colpì qualcosa di duro e precipitò nel buio totale.

Gladstone e gli altri guardarono in silenzio, inorriditi, le immagini inviate tramite relè teleporter dai satelliti civili, con gli spasmi di agonia di Bosco Divino.

— Dobbiamo farla saltare subito! — gridò l'ammiraglio Singh, per superare lo scoppiettio delle foreste in fiamme. Meina Gladstone credette di udire le urla di esseri umani e degli innumerevoli primati arboricoli che vivevano sul pianeta dei Templari.

— Non possiamo lasciarli avvicinare ancora! — gridò di nuovo Singh. — Abbiamo solo i telecomandi, per far saltare la sfera.

— Sì — disse Gladstone; anche se aveva mosso le labbra, non udì alcun suono.

Singh si girò e rivolse un cenno a un colonnello della FORCE:spazio. Il colonnello toccò la consolle tattica. Le foreste in fiamme sparirono, le enormi olografie divennero totalmente scure, ma chissà come il suono delle grida rimase. Gladstone capì che era il rombo del suo stesso sangue nelle orecchie.

Si girò verso Morpurgo. — Quanto manca… — Si schiarì la voce. — Generale, quanto manca all'attacco di Mare Infinitum?

— Tre ore e cinquantadue minuti, signora — rispose il generale.

Gladstone si girò verso l'ex capitano William Ajunta Lee. — La sua unità operativa è pronta, ammiraglio?

— Sì, signora — disse Lee, pallido sotto l'abbronzatura.

— Quante navi saranno impegnate nell'azione?

— Settantaquattro, signora.

— E li colpirà lontano da Mare Infinitum?

— Appena dentro la Nube di Oört, signora.

— Bene — disse Gladstone. — Buona caccia, ammiraglio.

Il giovane ritenne l'augurio un'imbeccata per salutare e uscire dalla sala. L'ammiraglio Singh si sporse a mormorare qualcosa al generale Van Zeidt.

Sedeptra Akasi si chinò verso Gladstone e disse: — La sicurezza della Casa del Governo riferisce che un uomo si è appena teleportato nel terminex privato usando un codice di priorità sorpassato. L'uomo era ferito ed è stato ricoverato nell'infermeria dell'Ala Est.