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"È stato il suo amante, quando lei era adulta" pensò il Console.

— Non so — rispose. — Cerco di tornare in tempo per aiutarla, se posso.

Melio Arundez annuì, si sistemò sul sedile di guida, indicò al Console di salire a bordo. — Tenteremo di arrivare allo spazioporto. Non sarà facile, con gli scontri lì intorno.

Il Console si abbandonò contro lo schienale; sentì i lividi, i tagli, la stanchezza, mentre il sedile lo avvolgeva. — Dobbiamo portare Theo… il governatore generale… al consolato o alla casa del governo o come diavolo la chiamano adesso.

Arundez scosse la testa e diede energia ai repulsori. — Ah-ha. Il consolato non esiste più, colpito da un missile vagante, secondo il bollettino sul canale di emergenza. Tutti i funzionari dell'Egemonia sono andati allo spazioporto per l'evacuazione, ancora prima che il suo amico venisse a cercarla.

Il Console guardò Theo Lane, ancora semisvenuto. — Andiamo — disse piano ad Arundez.

Quando attraversarono il fiume, lo skimmer si trovò sotto il fuoco di armi di piccolo calibro, ma le fléchettes si limitarono a grandinare contro lo scafo e l'unico raggio di energia passò sotto di loro e sollevò a dieci metri di altezza uno schizzo di vapore. Arundez guidava come un pazzo: ondeggiava, sobbalzava, si tuffava in picchiata, imbardava e di tanto in tanto faceva dei testa-coda, come se lo skimmer fosse un vassoio sopra un tappeto di biglie. Le imbottiture del sedile si strinsero intorno al Console, ma questi si sentì ugualmente sul punto di dare di stomaco. Sullo strapuntino posteriore, Theo aveva perso i sensi: la testa si muoveva liberamente da una parte e dall'altra.

— Il centro città è un disastro! — gridò Arundez, per superare il ruggito dei repulsori. — Seguirò l'antico viadotto fino all'autostrada dello spazioporto e poi taglierò per la campagna, tenendomi basso. — Girarono intorno a un edificio in fiamme che il Console riconobbe tardivamente come la casa in cui aveva abitato.

— L'autostrada per lo spazioporto è aperta?

Arundez scosse la testa. — Non ce la faremmo mai. Lì, nell'ultima mezz'ora, i paracadutisti non hanno smesso un attimo di scendere.

— Gli Ouster cercano di distruggere la città?

— No. Potevano farlo restando in orbita, senza tutto questo casino. Pare che vogliano assediare la capitale. Gran parte delle loro navette e dei paracadutisti atterra almeno a dieci chilometri di distanza.

— Sono i reparti della FAD, a resistere?

Arundez rise, mettendo in mostra denti candidi contro pelle abbronzata. — Quelli ormai sono a metà strada per Endymion e Port Romance… anche se rapporti di dieci minuti fa, prima che le linee di trasmissione fossero disturbate, dicono che pure queste due città sono sotto attacco. No, quel po' di resistenza che vede proviene da qualche decina di marines della FORCE lasciati indietro a proteggere la città e lo spazioporto.

— Allora gli Ouster non l'hanno distrutto né occupato?

— Non ancora. Almeno, fino a qualche minuto fa. Fra poco vedremo di persona. Si regga forte!

La corsa di dieci chilometri fino allo spazioporto, sull'autostrada VIP o le corsie aeree superiori, richiedeva normalmente qualche minuto; ma la manovra aggirante di Arundez, su e giù per le alture, fra le vallate e in mezzo agli alberi, aggiunse tempo al viaggio e lo rese più movimentato. Il Console girò la testa per guardare i fianchi montuosi e le catapecchie del campo profughi in fiamme passare come un lampo alla sua destra. Uomini e donne si acquattarono contro i massi e sotto gli alberi, coprendosi la testa al passaggio dello skimmer. Una volta il Console vide una squadra della FORCE:Marines trincerata sulla cima di un colle, ma l'attenzione dei soldati era rivolta a un'altura più a nord, dalla quale proveniva il fuoco di lance laser. Nello stesso istante anche Arundez scorse i marines e lanciò bruscamente a zigzag lo skimmer verso sinistra, infilandosi in una stretta gola una frazione di secondo prima che le cime degli alberi sulla cresta più in alto fossero tagliate di netto come da cesoie invisibili.

Finalmente superarono con un rombo un'ultima cresta e videro più avanti i cancelli occidentali e le palizzate dello spazioporto. Il perimetro risplendeva del bagliore azzurro e viola dei campi di contenimento e di interdizione. A un chilometro dallo spazioporto, un raggio laser compatto e visibile saettò e li agganciò; dalla radio uscì una voce: — Skimmer non identificato, atterrate immediatamente o sarete distrutti.

Arundez atterrò.

La linea di alberi, dieci metri più avanti, parve scintillare; all'improvviso furono circondati da spettri in polimero mimetico attivato. Arundez aveva aperto le torrette dell'abitacolo e ora fucili di assalto prendevano di mira lui e il Console.

— Venite via dalla macchina — disse una voce disincarnata, dietro uno scintillio mimetico.

— Abbiamo con noi il governatore generale — disse il Console. — Dobbiamo entrare.

— All'inferno — disse bruscamente una voce con la cadenza della Rete. — Fuori!

Il Console e Arundez si affrettarono a sganciare le reti di sicurezza; stavano per scendere, quando dallo strapuntino posteriore provenne una voce. — Tenente Mueller, è lei?

— Ah, sì, signore.

— Mi conosce, tenente?

Lo scintillio mimetico si depolarizzò: un giovane marine in completa tenuta da guerra era fermo a meno di un metro dallo skimmer. Il viso era niente di più di un visore nero, ma la voce era giovanile. — Sì, signore… ah… governatore. Senza occhiali, non l'ho riconosciuta subito. Ma lei è ferito, signore.

— Lo so, tenente. Proprio per questo mi hanno accompagnato qui. Non riconosce l'ex Console dell'Egemonia su Hyperion?

— Mi spiace, signore — disse il tenente Mueller, rimandando i suoi uomini al riparo degli alberi. — La base è chiusa.

— Certo che è chiusa — disse Theo, a denti stretti. — Ho controfirmato io gli ordini. Ma ho anche autorizzato l'evacuazione di tutto il personale essenziale dell'Egemonia. Lei ha lasciato passare quegli skimmer, vero, tenente Mueller?

Una mano corazzata si alzò come per grattarsi la testa coperta di casco e di visore. — Ah… sì, signore. Certo. Ma è stato un'ora fa, signore. Le navette di evacuazione sono partite e…

— Per l'amor del cielo, Mueller, usi il canale tattico e si faccia dare dal colonnello Gerasimov l'autorizzazione a lasciarci entrare.

— Il colonnello è morto, signore. C'è stata una navetta di assalto al perimetro est…

— Dal capitano Llewellyn, allora — disse Theo. Barcollò e si sorresse allo schienale del sedile del Console. Il viso, sotto le macchie di sangue, era pallidissimo.

— Ah… i canali tattici non funzionano, signore. Gli Ouster disturbano le bande, con…

— Tenente — sbottò Theo, in un tono che il Console non gli aveva mai udito usare. — Lei mi ha identificato a vista e ha controllato la mia ID impiantata. Ci faccia entrare o ci spari.

Il marine in tuta blindata lanciò uno sguardo alla fila di alberi, come se volesse ordinare ai suoi uomini di aprire il fuoco. — Le navette sono partite tutte, signore. Non ne verranno altre.

Theo annuì. Il sangue gli si era coagulato sulla fronte, ma ora un rivoletto nuovo iniziò a colare dall'attaccatura dei capelli. — La nave in quarantena è ancora al Pozzo Nove, giusto?

— Sì, signore — rispose Mueller, scattando finalmente sull'attenti. — Ma è una nave civile e non riuscirebbe mai a raggiungere lo spazio, con tutti gli Ouster…

Con un gesto Theo zittì il tenente e indicò ad Arundez di dirigersi al perimetro. Il Console lanciò un'occhiata alle linee insuperabili, ai campi di interdizione, di contenimento e probabilmente di mine a pressione, che lo skimmer avrebbe raggiunto nel giro di dieci secondi. Il tenente agitò il braccio e nei campi di energia comparve un diaframma a iride. Nessuno aprì il fuoco. Nel giro di mezzo minuto attraversavano lo spazioporto. Nel perimetro nord qualcosa di grosso bruciava. A sinistra si vedeva un cumulo di rimorchi e di moduli comando della FORCE, ridotti a una pozza di plastica ribollente.