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— Lance da una nave torcia classe Bowers - disse l'ammiraglio Singh, nel silenzio. — O l'equivalente Ouster.

La città bruciava, esplodeva, era arata in macerie dalle colonne di luce e poi era di nuovo fatta a pezzi. Non c'erano canali audio, su quelle immagini astrotel, ma Gladstone credette di udire le urla.

A una a una, le telecamere a terra si spensero. L'inquadratura della Stazione Generatrice di Atmosfera scomparve in un lampo luminoso. Le telecamere aeree erano già saltate. Quelle al suolo, un'altra ventina, cominciarono a spegnersi; una trasmise una terribile esplosione rosso cremisi che costrinse tutti nella stanza a strofinarsi gli occhi.

— Esplosione al plasma — disse Van Zeidt. — A basso livello di megatoni. — La telecamera era quella di un complesso difensivo della FORCE:Marines di stanza a nord del Canale Intercity.

Di colpo tutte le immagini scomparvero. Il flusso dati terminò. Le luci della sala si accesero per compensare il buio tanto improvviso da mozzare il fiato a tutti.

— Il trasmettitore astrotel primario è saltato — disse il generale Morpurgo. — Si trovava alla base principale della FORCE, nei pressi della Porta Grande. Protetto dal nostro campo di contenimento più robusto, da cinquanta metri di roccia e da dieci metri di lega in fibracciaio.

— Cariche nucleari sagomate? — domandò Barbre Dan-Gyddis.

— Come minimo — rispose Morpurgo.

Il senatore Kolchev si alzò: pareva robusto come un orso, col suo fisico di lusiano. — E va bene. Questo non è un maledetto gioco di negoziati. Gli Ouster hanno appena distrutto un mondo della Rete. Questa è guerra totale, senza condizioni. È in ballo la sopravvivenza della civiltà. Cosa facciamo?

Tutti gli occhi si girarono verso Meina Gladstone.

Il Console estrasse dal relitto dello skimmer Theo Lane semisvenuto e barcollò per cinquanta metri, trascinandolo a spalla, prima di crollare su un tratto di erba sotto gli alberi lungo la riva dell'Hoolie. Lo skimmer non aveva preso fuoco, ma si era accartocciato alla base del muro di pietra abbattuto al termine della lunga scivolata. Frammenti di metallo e di polimeri di ceramica erano disseminati lungo la riva del fiume e il viale abbandonato.

La città era in fiamme. Il fumo impediva di vedere al di là dell'Hoolie e in quella parte di Jacktown, la Zona Vecchia, sembrava che avessero acceso numerose pire dove spesse colonne di fumo nero si alzavano verso il basso soffitto di nuvole. Laser da combattimento e scie di missili continuavano a rigare la foschia, a volte esplodevano contro navette di assalto, paracadutisti e bolle di sospensione che continuavano a scendere dalle nuvole come pula soffiata da un campo mietuto di recente.

— Theo, stai bene?

Il governatore generale annuì; mosse il dito per spingere più in alto gli occhiali e si bloccò, confuso, quando si rese conto di non averli più. Il sangue gli rigava la fronte e le braccia. — Ho battuto la testa — disse Theo, intontito.

— Ci serve il tuo comlog — disse il Console. — Chiamiamo qualcuno che venga a prenderci.

Theo annuì, alzò il braccio, guardò il polso e si accigliò. — Sparito — disse. — Comlog sparito. Dobbiamo guardare nello skimmer. — Cercò di tirarsi in piedi.

Il Console lo spinse giù. Loro due erano al riparo di alcuni alberi ornamentali, ma lo skimmer era esposto e l'atterraggio di fortuna non era passato inosservato. Mentre lo skimmer atterrava di pancia e si schiantava, il Console aveva scorto parecchi soldati in armatura muoversi lungo una via adiacente. Potevano essere FAD, Ouster o perfino marines dell'Egemonia; ma certo non vedevano l'ora di premere il grilletto, da qualsiasi parte stessero.

— Lascia perdere il comlog — disse. — Troveremo un telefono. Chiameremo il consolato. — Si guardò intorno, riconobbe la sezione di magazzini e di edifici di pietra in cui erano precipitati. A qualche centinaio di metri, più a monte, c'era la vecchia cattedrale abbandonata: la sala capitolare in rovina sporgeva sulla riva del fiume.

— So dove siamo — disse il Console. — A un paio di isolati da Cicero. Andiamo. — Si passò sulle spalle il braccio di Theo e tirò in piedi l'amico ferito.

— Cicero, bene — borbottò Theo. — Un goccio m'andrebbe proprio.

Dalla via a sud provenne lo strepito di fucili a fléchettes, cui rispose lo sfrigolio di armi a energia. Il Console sostenne quasi tutto il peso di Theo e barcollò nello stretto vicolo lungo il fiume.

— Oh, maledizione — mormorò il Console.

Cicero era in fiamme. Il vecchio bar e albergo, antico quanto Jacktown e molto più di gran parte della capitale, aveva perso nelle fiamme tre dei quattro edifici traballanti lungo la riva del fiume e solo una brigata di avventori armati di secchi salvava in quel momento l'ultima sezione.

— C'è Stan — disse il Console, indicando la figura massiccia di Stan Leweski, quasi all'inizio della fila di pompieri improvvisati. — Eccoci qua. — Aiutò Theo a sedersi sotto un olmo lungo la passerella. — Come va, la testa?

— Fa male.

— Torno subito con gli aiuti. — Si mosse con la massima rapidità nello stretto vicolo, verso gli uomini.

Stan Leweski lo fissò come se fosse un fantasma. L'uomo massiccio aveva il viso rigato di fuliggine e di lacrime, gli occhi sbarrati, quasi ottusi. Da sei generazioni Cicero apparteneva alla sua famiglia. In quel momento pioveva piano e l'incendio pareva domato. Uomini gridavano su e giù lungo la fila, mentre pezzi di travatura delle sezioni bruciate cadevano nelle braci della cantina.

— Perdio, è andata — disse Leweski. — Vedi? L'aggiunta di nonno Jiri? È andata.

Il Console lo afferrò per le spalle. — Stan, ci serve aiuto. Theo è laggiù. Ferito. Il nostro skimmer è precipitato. Dobbiamo andare allo spazioporto… usare il tuo telefono. È un'emergenza, Stan.

Leweski scosse la testa. — Il telefono non funziona. Le bande comlog sono disturbate. C'è la maledetta guerra. — Indicò le sezioni bruciate del vecchio albergo. — Distrutte, perdio. Distrutte!

Il Console strinse il pugno, esasperato. Altri si fecero intorno, ma lui non ne riconobbe nessuno. In vista non c'erano autorità della FORCE né della FAD. All'improvviso, alle sue spalle, una voce disse: — Posso aiutarla io. Ho uno skimmer.

Il Console si girò di scatto, vide un bell'uomo tra i cinquanta e i sessanta, col viso coperto di fuliggine e sudore che gli rigavano anche i capelli ondulati. — Magnifico — disse. — Gliene sono molto grato. — Esitò. — La conosco?

— Dottor Melio Arundez — si presentò l'uomo, muovendosi già verso l'area di parcheggio dove riposava Theo.

— Arundez — ripeté il Console, affrettandosi a raggiungerlo. Il nome gli risvegliò nella memoria un'eco bizzarra. Uno che conosceva? Che avrebbe dovuto conoscere? — Oddio, Arundez! — esclamò a un tratto. — L'amico di Rachel Weintraub, quando la ragazza venne qui, una ventina di anni fa.

— Il suo relatore universitario, a dire il vero — disse Arundez. — La conosco. Lei è andato in pellegrinaggio con Sol. — Si fermarono accanto a Theo, seduto con la testa fra le mani. — Il mio skimmer è laggiù — disse Arundez.

Il Console scorse un piccolo Vikken Zephyr biposto parcheggiato sotto gli alberi. — Magnifico. Porteremo Theo all'ospedale, poi devo andare immediatamente allo spazioporto.

— L'ospedale sembra un manicomio, tanto è pieno — disse Arundez. — Se era diretto alla nave, le suggerisco di portare con sé il governatore generale e utilizzare le attrezzature mediche di bordo.

Il Console esitò. — Come sa che ho una nave?

Arundez aprì la portiera e aiutò Theo a sistemarsi sulla stretta panca dietro i sedili anatomici frontali. — So tutto di lei e degli altri pellegrini, signor Console. Da mesi cerco di ottenere il permesso per recarmi nella Valle delle Tombe. Non immagina la rabbia che ho provato, quando ho saputo che la chiatta era partita in segreto con Sol a bordo. — Trasse un respiro profondo e rivolse al Console la domanda che ancora non aveva avuto il coraggio di formulare. — Rachel è viva?