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Ender separò gli altri due incrociatori e li mandò dietro ad Alai a distanza di sicurezza. Bean era già fuori dal campo del simulatore, e durante l’avvicinamento lui continuò a contattarlo per avere la sua posizione. Era Alai, però, a giocare il ruolo più delicato contro un avversario stranamente immobile e sospettoso. La sua formazione a cuneo giunse a un migliaio di chilometri da quella sferica e cominciò a essere a portata delle armi avversarie. Ma al suo avvicinarsi le navi degli Scorpioni retrocedevano, come per attirarlo verso quella centrale. Alai deviò lateralmente, e la successiva nave nemica che si trovò a portata indietreggiò senza far fuoco, tornando a riassumere il suo posto dopo il passaggio dei terrestri.

Finte, ritirate, deviazioni all’esterno, ancora attacchi soltanto accennati, e infine Ender ordinò: — Vai là dentro, Alai.

La formazione a cuneo scattò avanti, e Alai disse con calma: — Sai che vogliono lasciarmi passare solo per poi circondarmi e mangiarmi vivo, no?

— Tu limitati a ignorare la nave al centro.

— Tutto quello che vuoi, boss.

La formazione sferica cominciò a contrarsi. Ender portò avanti il resto della flotta, e le astronavi nemiche si spostarono sulla circonferenza del loro globo schematico per far fronte ai due incrociatori in arrivo. — Attaccali qui, dove si stanno concentrando! — disse Ender.

— Questo manda a gambe all’aria quattromila anni di storia militare — commentò Alai, mandando avanti gli astrocaccia. — Si suppone che il nemico vada attaccato nel suo punto debole, non è così?

— In questa battaglia è ovvio che loro non sanno ciò che possono fare le nostre armi. Funzionerà una volta sola, ma voglio che funzioni in modo spettacolare. Fuoco a volontà.

Alai puntò i due raggi convergenti. Il simulatore ne costruì l’effetto creando un globo azzurrino dove essi si toccarono: prima una nave, poi due, quindi una dozzina, e infine la maggior parte di quelle nemiche si disgregarono in vampate di pulviscolo man mano che il globo si espandeva in quella stretta formazione. — State alla larga — ordinò Ender.

Le astronavi sul lato opposto della formazione non furono colpite dalla reazione a catena, ma la loro resistenza risultò inutile e la nuova arma le distrusse. Bean attaccò poi l’ultima, fuggita quasi nella sua direzione, e la battaglia finì. Era stata molto più facile di tutte le loro più recenti esercitazioni.

Quando Ender glielo fece osservare, Mazer scosse le spalle. — Quella era la simulazione della loro prima strategia di attacco. Doveva essere una battaglia in cui non sapevano quali fossero le nostre possibilità. Ora comincerai a impegnarti di più. E cerca di non fare troppo il gradasso quando avvisti il nemico: presto avrai pane per i tuoi denti.

Ender portò a dieci le ore di pratica giornaliera con i comandanti di squadrone, dando loro un intervallo pomeridiano di tre ore per riposare. Le battaglie simulate in cui Mazer supervisionava il nemico avvenivano ogni due o tre giorni, e com’era previsto si fecero sempre più difficili. Gli Scorpioni non tentarono più di accerchiare le sue navi, e impararono quale distanza tenere fra le loro per evitare le esplosioni a catena. Ogni volta c’era qualcosa di nuovo e situazioni inaspettatamente dure. Talvolta Ender disponeva soltanto di un piccolo incrociatore e di otto astrocaccia, talaltra il nemico lo costringeva a battersi in una cintura di asteroidi, oppure poteva capitare che gli Scorpioni lo lasciassero avvicinare a planetoidi fortificati che d’improvviso esplodevano, o a campi minati che sfuggivano ai rilevamenti e distruggevano alcune delle astronavi terrestri. — Tu non puoi permetterti queste perdite! — sbraitò Mazer dopo una di queste battaglie. — In una vera guerra non avrai il lusso di infiniti rimpiazzi con cui affrontare lo scontro successivo. Avrai quello che ti sarai portato dietro, e nient’altro. Devi imparare a combattere senza inutili perdite.

— Inutili è una parola dura — replicò Ender. — Ma non posso vincere una battaglia se il terrore di perdere una nave o due mi impedisce di affrontare ogni rischio.

Mazer sorrise. — Molto bene, Ender. Stai cominciando a imparare. Ma in una vera campagna bellica avrai alle spalle gli alti comandi, per non parlare della popolazione civile che ti strillerà le stesse cose. Ora, se oggi ti fossi trovato di fronte un nemico molto abile, ti avrebbe colpito qui annientando lo squadrone di Tom. — Ripassarono insieme la registrazione della battaglia. Nell’addestramento successivo Ender avrebbe dovuto ripetere ogni correzione di Mazer ai suoi comandanti e far sì che imparassero a metterle in atto consci del loro significato.

Se avevano pensato d’essere un gruppo ben preparato, affiatato, soddisfatto dei risultati del proprio lavoro, quando il simulatore diede loro la sensazione reale d’essere uniti contro gli Scorpioni seppero che combattere insieme poteva essere esilarante. Era l’euforia semplice di chi ha un ideale alle spalle e un nemico odiato di fronte, ma questo li portava a cercare i limiti delle loro capacità. Già in quei giorni molti allievi e ufficiali di Eros affollavano i posti a sedere nelle sale dei simulatori, per osservarli. Ender pensò a come sarebbe stato avere i suoi amici lì accanto a sé, ridere con loro, vederli tesi e rigidi durante le azioni pericolose o soddisfatti dopo un attacco ben riuscito. Talora si diceva che sarebbe stata una sciocca distrazione, ma altre volte non poteva impedirsi di desiderarlo con tutto il cuore. Anche nei giorni in cui aveva oziato nel laghetto fra le colline non era mai stato così solo. Mazer Rackham era il suo compagno, il suo maestro, ma non era suo amico.

Tuttavia non ne fece parola. Mazer gli aveva detto che lì non c’era posto per la compassione, e la sua infelicità personale non significava niente per nessuno. Per la maggior parte del tempo non significava niente neppure per lui. Concentrava sul lavoro ogni sua facoltà, spremendo il massimo di informazioni dalle battaglie simulate, e non si limitava a imparare passivamente questa o quella lezione ma cercava di estrapolare ciò che gli Scorpioni avrebbero fatto se fossero stati più abili, e come lui avrebbe reagito a questi loro miglioramenti. Dentro di lui continuavano a svolgersi le ultime battaglie e si svolgevano già quelle che si aspettava nei giorni successivi, sia che dormisse o fosse sveglio, e metteva alla frusta i suoi comandanti di squadrone con una durezza che di tanto in tanto li induceva a reagire.

— Devo osservare che sei un po’ troppo mite con noi — lo provocò un giorno Alai. — Perché non fai mai fucilare chi non è al massimo della sua genialità bellica? Coccolandoci a questo modo finirai col rovinarci.

Qualcuno degli altri rise nel suo microfono. Ma l’ironia era troppo scoperta, e Ender si limitò a rispondere con un lungo silenzio. Infine decise che gli conveniva ignorare quel tipo di commenti. — Ricominciamo daccapo — ordinò. — Stavolta senza che io sia costretto a pensare che qualcuno di voi ha bisogno d’essere sostituito. — La serie di manovre fu ripetuta senza più errori.

Ma mentre il loro rispetto per le sue doti di comandante si accresceva, l’amicizia che li aveva uniti a lui nella vecchia Scuola di Guerra svaniva pian piano. Era fra loro che formavano un gruppo, era fra loro che si scambiavano confidenze. Ender rappresentava soltanto una fonte di ordini, un insegnante, una voce negli orecchi, ed era distante da loro come Mazer lo era da lui. E non meno esigente.

Questo accresceva la loro efficienza in battaglia. E aiutava Ender a concentrarsi sul suo lavoro.

Di giorno, se non altro, e la sera dopo cena, quando tornava in camera con gli avvenimenti del simulatore che gli scorrevano nella mente. Ma nel sonno erano altre le immagini da cui non sapeva liberarsi. Spesso rivedeva il corpo del Gigante in stato di avanzata putrefazione, ma non come sullo schermo del banco: era reale, solido, e torreggiava su di lui emanando l’orrido puzzo della carne morta. Il piccolo villaggio nato nei meandri della sua ossatura era adesso abitato da Scorpioni, ed essi salutavano il suo passaggio sollevando una chela, come gladiatori che onorassero il pretore romano prima di morire per il suo divertimento. In quei sogni non provava odio per gli Scorpioni, e anche quando capiva che gli stavano nascondendo la loro regina non si metteva a cercarla. S’allontanava svelto dal corpo del Gigante, e allorché giungeva sul parco dei giochi i bambini erano sempre lì, lupeschi e ghignanti. E avevano facce a lui ben note. Talora Peter, talaltra Bonzo, a volte Stilson e Bernard; ma abbastanza spesso fra quelle selvagge creature c’erano Alai e Shen, Dink e Petra, e non di rado la stessa Valentine; tuttavia nel sogno lui la gettava nel torrente come gli altri e aspettava che affogasse, tenendola sotto a viva forza. Fra le sue mani lei si divincolava, lottava per riemergere, e alla fine si abbandonava inerte. Lui la tirava fuori dal lago e la stendeva sulla zattera, poi contemplava il suo volto contratto nel rictus vacuo della morte. Allora gemeva e piangeva su di lei, gridando e continuando a gridare che quello era un gioco, un gioco, un gioco!…