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La fiducia reciproca era completa, la loro flotta si comportava in modo deciso e responsabile. E alla fine delle prime tre settimane Mazer mostrò a Ender una rielaborazione delle loro più recenti battaglie, con la differenza che stavolta erano osservate dal punto di vista del nemico.

— Così è come vi vedono quando li attaccate. Come giudichi la tua flotta? La vedi veloce e coordinata?

— Direi di sì. Proprio come una flotta degli Scorpioni.

— Infatti qui siete arrivati a eguagliarli. Reagite con la loro stessa rapidità. E ora qui… guarda questo.

Ender studiò i suoi squadroni che filavano contro obiettivi diversi, ciascuno nella sua situazione particolare, tutti inseriti nella strategia generale preordinata da Ender, ma chi osando di più, chi di meno, chi improvvisando varianti, e ognuno capace di agire con un’iniziativa personale sconosciuta alle astronavi degli Scorpioni.

— La mente-alveare degli Scorpioni è abilissima, ma può concentrarsi su una sola cosa alla volta. I tuoi squadroni si dedicano invece a vari obiettivi contemporaneamente, e la loro manovra è coordinata da un cervello sveglio. Vedi dunque che qui tu hai un vantaggio. Armamento superiore, anche se non di troppo, identica velocità di manovra e un serbatoio d’intelligenza a cui puoi attingere molto meglio. Ecco dove sarai superiore. L’inconveniente, invece, è che sarai sempre in netta inferiorità numerica, e che dopo ogni battaglia il nemico ti conoscerà meglio; saprà come combatti, e le sue contromisure saranno immediate.

Ender attese un commento conclusivo.

— Da ora in poi — disse invece Mazer, — ricominceremo daccapo il tuo addestramento. Abbiamo programmato il computer per simulare il genere di situazioni che potremo ragionevolmente aspettarci una volta giunti a contatto del nemico. Come base useremo gli schemi tattici che gli abbiamo visto mettere in atto nella Seconda Invasione. Ma invece di usarli contro di te meccanicamente, al controllo della simulazione del nemico ci sarò io. Dapprima ti troverai in situazioni in cui ci si aspetta che tu vinca a mani basse. Impara da esse, perché io sarò sempre lì, un passo più avanti di te, a programmare maggiori difficoltà e tattiche più evolute per spingerti ai limiti delle tue capacità.

— E anche oltre?

— Il tempo stringe. Devi imparare più in fretta che puoi. Quando mi imbarcai per quel viaggio a velocità relativistica, in modo da poter esser vivo negli anni cruciali del nostro attacco, lasciai dietro di me mia moglie e i miei figli. Al mio ritorno era già morti da un pezzo, e restavano soltanto dei nipoti già della mia età. Non avremmo avuto molto da dirci in ogni caso. Ero stato tagliato fuori da tutto ciò che conoscevo e dalle persone che amavo, e fui costretto a vivere in questa catacomba extraterrestre senza di meglio da fare che insegnare a uno studente dopo l’altro… tutti bravi ragazzi pieni di speranza. Anche tu sei molto promettente, come già tanti altri prima di te, e come loro potresti avere nella mente o nel cuore il germe del fallimento. Il mio compito è di scoprirlo… distruggendoti, se dovrò farlo. E credimi, Ender, se tu sei nato per essere schiacciato io ti schiaccerò.

— Così, non sono il primo.

— Naturalmente no. Che ti aspettavi? Ma sei l’ultimo. Se non impari, non ci sarà tempo di cercare nessun altro. E se io spero in te è solo perché non c’è rimasto nessun altro in cui sperare.

— E gli altri, i miei comandanti di squadrone?

— Chi di loro è tagliato per sostituirti?

— Alai.

— Sii sincero.

Ender non seppe cosa rispondergli e tacque.

— Io non sono un uomo felice, Ender. La razza umana non ci ha promesso nessuna felicità. E in cambio ci obbliga a mettere tutte le nostre facoltà al suo servizio. Prima per la sua sopravvivenza, poi per la sua sicurezza e comodità. Perciò, ragazzo, spero che durante l’addestramento tu non venga a seccarmi l’anima lagnandoti che non sei felice. Prendi il piacere che puoi nei tuoi rari momenti liberi, ma prima di questo dovrà venire il tuo lavoro, la tua istruzione, la tua capacità di vincere. La vittoria è tutto, perché senza di essa non ci sarà più niente. Solo se tu fossi in grado di ridarmi mia moglie e i miei figli, solo allora avresti il diritto di venire a lamentarti di quanto ti costa tutto questo.

— Non sto cercando di scaricarmi di nessun peso.

— Ma vorrai poterlo fare, Ender. Perché io ho intenzione di stritolarti nella polvere, se ci riuscirò. Ti colpirò con tutti i mezzi che potrò immaginare, e non avrò pietà, perché quando affronterai gli Scorpioni loro ti aggrediranno in modi che io non posso immaginare. E hanno meno pietà e lealtà dell’insetto che ci ha costretti a dar loro questo nome.

— Lei non può stritolarmi, Mazer.

— Oh, non posso? Guarda, e perché?

— Perché io sono più forte di lei.

Mazer sogghignò. — Ne riparleremo quando morderai la polvere, Ender.

Mazer lo tirò giù dal letto molto prima del solito. L’orologio segnava 0340 quando Ender si avviò in corridoio, stordito e insonnolito, alle spalle del vecchio. — Presto a letto e presto alzato — recitò Mazer, — dell’uomo sano ne fa un malato.

Ma Ender non si lamentò della levataccia; aveva sognato che gli Scorpioni lo stavano vivisezionando. Solo che invece di tirargli fuori le budella gli estraevano i ricordi dal cranio con un paio di pinze, appendendoli poi ad asciugare come fotografie e cercando di analizzarne il significato. Era stato un vero e proprio delirio onirico, e non riuscì a scacciarlo del tutto dalla mente neppure lungo il tunnel che portava alla sala del simulatore. Gli Scorpioni lo tormentavano durante il sonno, e da sveglio Mazer non gli dava un attimo di requie. Fra gli uni e l’altro, le sue giornate erano un calvario. Si costrinse a svegliarsi un po’ di più. Evidentemente Mazer lo intendeva alla lettera quando s’era detto deciso a schiacciarlo, perché portarlo a combattere ancora mezzo instupidito dal sonno era proprio il genere di sleale espediente che c’era da aspettarsi da lui. Be’, oggi il trucco non funzionerà, signor mio.

Sedette davanti al simulatore e appena ebbe la cuffia in testa scoprì che i suoi comandanti di squadrone erano già sulla breccia, in attesa. Il nemico non c’era ancora, cosicché li divise in due gruppi e cominciò una finta battaglia, limitandosi a guardare come se la cavavano lasciati a se stessi. All’inizio ebbero qualche incertezza, ma presto stabilirono tattiche precise e si batterono con decisione.

Poi il campo olografico del simulatore si spense, le astronavi scomparvero e la scena cambiò completamente. Sul lato più vicino del campo gli allievi poterono scorgere le forme, azzurrine nella luce polarizzata, di tre incrociatori terrestri, ciascuno dei quali capace di lanciare dodici astrocaccia. Il nemico, ovviamente conscio della loro presenza, aveva già formato un globo con una singola nave al centro. Ender non s’illudeva di certo che questa portasse a bordo una regina. Gli Scorpioni erano superiori per due a uno, ma s’erano raggruppati in una formazione insolitamente stretta. Il Dr. Device avrebbe fatto loro molti più danni di quel che s’aspettavano.

Ender scelse un incrociatore, ne fece lampeggiare l’immagine olografica e inserì il microfono. — Alai, questo è tuo. Assegna Petra e Vlad agli astrocaccia, a tuo giudizio. — Nominò gli altri due comandanti, poi distolse un astrocaccia da ciascuno dei tre incrociatori e li affidò a Bean. — Gira al largo e portati sotto di loro, Bean. Se cercano di avvicinarti rientra immediatamente nelle nostre linee, altrimenti piazzati in qualche posto da cui io possa farti intervenire in fretta. Alai, punta dritto su di loro tenendo presso di tre gli astrocaccia. Non far fuoco finché non te lo dico. Cerchiamo di non farli allargare.

— Non ci sono difficoltà, Ender — disse Alai.

— E perché non essere cauti ugualmente? Voglio avere il minor numero possibile di perdite.